«La strada per Roma
degli Anglicani»
Paolo Gulisano
Paolo Gulisano è uno scrittore e saggista, esperto
del mondo britannico. Ha pubblicato diversi volumi su Tolkien, Lewis,
Chesterton e Belloc.
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Un secolo fa lo scrittore inglese
Hilaire Belloc pubblicava un volume dal titolo “The path to Rome”, la
strada per Roma (Il volume sarà preso rieditato in Italia). Si trattava
del resoconto del pellegrinaggio a piedi effettuato dallo stesso autore
da Toul, in Francia, fino alla Città Santa. Tale viaggio era tuttavia
anche una trasparente metafora del cammino verso il Centro della Chiesa,
verso Roma, che tutta l’Europa è chiamata a fare se non vuole smarrire
definitivamente la propria anima e la propria identità. Belloc era un
cattolico inglese, figlio di una illustre convertita che apparteneva al
movimento di rinascita cattolica in Inghilterra che aveva avuto i suoi
protagonisti nel cardinale Manning e soprattutto nel cardinale John
Henry Newman, prossimo Beato.
La via per Roma indicata cento anni fa da Belloc, che fu protagonista
della cultura britannica e fautore della conversione al cattolicesimo di
un personaggio come Gilbert Keith Chesterton, è quella che hanno deciso
di percorrere ora anche altri anglicani, i fedeli della "Traditional
Anglican Communion", che già da tempo avevano fatto richiesta al
Vaticano di entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica.
Si trattava di una richiesta epocale: per lungo tempo, da Newman a Tony
Blair, la conversione dall’Anglicanesimo al Cattolicesimo aveva
rappresentato una scelta individuale, personale, spesso sofferta perché
facente seguito al tentativo - sempre frustrato - di lavorare
“all’interno” della Confessione Anglicana per portarla all’unità con
Roma. Ora invece siamo di fronte al passaggio di intere comunità
anglicane alla piena comunione con Roma.
Una richiesta maturata negli ultimi anni e che aveva quasi messo in
difficoltà la stessa Chiesa cattolica in Inghilterra, tanto che ora la
materia è stata oggetto di una trattativa congiunta tra il Primate
cattolico e quello anglicano, sotto la supervisione della Congregazione
per la Dottrina della Fede, retta – come noto – da un prelato di cultura
anglo-sassone qual è l’americano cardinale William Levada e che produrrà
una Costituzione Apostolica, un documento ad hoc per consentire
il passaggio di queste comunità al cattolicesimo.
Siamo dunque di fronte ad una svolta storica, per cui da parte cattolica
non si ha più il timore di essere accusati di “indebito proselitismo”, e
da parte anglicana si accetta che una parte organizzata dei propri
fedeli possa effettuare una scelta di questo tipo.
È un ecumenismo “dal basso”, che rappresenta
certo una grossa novità rispetto a quello che per lungo tempo è stato
interpretato solo da organismi preposti, spesso orientati solo a cercare
un “minimo comun denominatore” tra le due confessioni cristiane, con
l’effetto di dimenticare che l’obiettivo di un vero dialogo ecumenico è
il riconoscimento della Verità.
Occorre anche evidenziare che questi fedeli anglicani, dipinti come
tradizionalisti dalla grande stampa, ovvero una sorta di lefevriani
anglicani, sono in realtà cristiani che guardano al Cattolicesimo come
la Chiesa in cui intendono non solo entrare individualmente, ma far
rientrare la propria storia e la propria tradizione, riconciliandola con
quella di Roma. Infatti il documento congiunto dei due primati afferma:
"La Costituzione apostolica è un ulteriore riconoscimento della
sostanziale coincidenza nella fede, nella dottrina e nella spiritualità
della Chiesa cattolica e della tradizione anglicana".
Il problema è che negli ultimi anni la Chiesa anglicana è andata
incontro ad una tale deriva relativista da portarla lontano non solo
dalla Chiesa Cattolica, ma dalla sua stessa tradizione, quella che ora
questi fedeli vogliono ricondurre nella piena comunione coi cattolici.
Non si tratta di “conservatorismo”, o di divisioni tra anglicani: il
problema è che nella confessione instaurata cinque secoli fa dal sovrano
Enrico VIII e confermata dalla figlia Elisabetta I è diventato dominante
un pensiero non-cristiano. Potrebbe sembrare un giudizio molto severo,
ma è un dato di fatto che alla base di scelte superficialmente definite
solo “liberal”, come l’ordinazione sacerdotale delle donne, le nozze di
persone omosessuali, le battaglie ecologiste e pacifiste, c’è una vera e
propria rivoluzione antropologica. Una rivoluzione che prevede
l’abbandono della concezione dell’uomo quale essere dotato di una natura
specifica e indirizzato verso un fine. Questo distacco ha portato con sé
tutta una serie di tentativi di giustificazione dei cambiamenti in campo
morale.
Descrivendo tali cambiamenti, il filosofo cattolico scozzese Alastair
MacIntyre ha denunciato nelle sue opere - in particolare After the virtue - innanzitutto il cambiamento della concezione dell’uomo, perché
non c’è morale senza uomo né uomo senza morale. L’allontanamento dalla
visione aristotelica ci ha condotti a rappresentazioni parziali
dell’etica, a tentativi fallimentari di giudizio morale, a
interpretazioni svariate dell’uomo e dell’umanità.
Tale allontanamento è avvenuto impetuosamente nell’anglicanesimo, dove
vige un disordinato pluralismo, un miscuglio senza armonia di frammenti
ideologici male assortiti che fa capo ad un soggettivismo assoluto. Tale
soggettivismo, che si riscontra dominante nel linguaggio morale
contemporaneo, trova una corrispondenza pratica nell’“emotivismo”, una
dottrina secondo cui tutti i giudizi di valore, e più specificamente,
tutti i giudizi morali, non sono altro che espressioni di una
preferenza, espressioni di un atteggiamento o di un sentimento, e
appunto in questo consiste il loro carattere di giudizi morali o di
valore.
Il fascino che la Chiesa Cattolica ha esercitato su quegli anglicani
decisi a rifiutare questa deriva antropologica sta dunque nel fatto che
essa rappresenta l’unica realtà in grado di riproporre ancora oggi al
mondo quegli elementi capaci di ristabilire una concezione sana della
morale che stavano alla base della concezione aristotelica: le virtù, i
valori per l’uomo. A ciò si aggiunge, inoltre, la proposta che la Chiesa
cattolica fa di ristabilire una concezione della ragione che non si
identifichi semplicemente con quell’elemento capace di conoscere solo
ciò che si può esaminare in maniera sperimentabile, ma con ciò che
permette di giudicare il senso della vita dell’uomo, i suo fine e il
modo per raggiungerlo.
A sua volta la Chiesa Cattolica in Inghilterra e in tutti i paesi di
cultura anglo-sassone, dal Canada all’Australia agli Stati Uniti dove
l’anglicanesimo si definisce “episcopalismo”, trarrà certamente
arricchimento dalla nuova linfa portata da queste comunità dove
l’appartenenza a Cristo è stata oggetto di una intensa e appassionata
riflessione. Questi fedeli anglicani desiderosi dell'unione con la
Chiesa cattolica troveranno l'opportunità di portare l’esperienza di
quelle tradizioni anglicane che sono preziose per loro e conformi con la
fede cattolica. In quanto esprimono in un modo distinto la fede
professata comunemente, tali tradizioni sono un dono da condividere
nella Chiesa universale. L'unione con la Chiesa non richiede
l'uniformità che ignora le diversità culturali, come dimostra la storia
del cristianesimo, e la Chiesa Cattolica ne trarrà sicuro giovamento.
Copyright © - Zenit 23 ottobre 2009
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