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Radicalità evangelica - Intervista all'arcivescovo Mauro Piacenza, segretario della Congregazione per il Clero

L'Anno sacerdotale non come "autocompiacimento" ma come "momento propositivo"; la "credibilità del sacerdozio" messa in pericolo da comportamenti sbagliati di alcuni, deve riacquistare la forza che le deriva "innanzitutto da Cristo Signore"; il celibato non solo come "forma disciplinare" ma come principio che "affonda le sue radici in argomentazioni teologico-spirituali" che hanno il loro "baricentro nell'imitazione di Cristo"; attribuire al celibato sacerdotale "la responsabilità di alcuni scandali" è "come attribuire alla fedeltà coniugale la responsabilità dell'adulterio". Sono alcuni degli argomenti affrontati dall'arcivescovo Mauro Piacenza, segretario della Congregazione per il Clero, nell'intervista rilasciata a "L'Osservatore Romano" alla vigilia dell'apertura dell'Anno sacerdotale.

L'Anno sacerdotale: anno celebrativo o anno propositivo?

Entrambe le cose, perché qualunque proposta nasce da una certezza. Questa è la più elementare legge dell'educazione umana, alla quale obbedisce anche l'educazione alla fede. E dove ci sono certezze, e non solo dubbi, è anche lecito, anzi doveroso, celebrare. Nella Chiesa ogni celebrazione è propositiva e ogni proposta conduce al momento celebrativo.

Certo, se la celebrazione si riducesse a vuoto autocompiacimento, non solo non sarebbe sacerdotale, ma nemmeno cristiana e, in definitiva, umana. L'uomo celebra non se stesso, ma ciò che ha ricevuto da Altro. In questo senso, certamente, l'Anno sacerdotale sarà propositivo, per potere sempre, nella gioia e nella certezza della fede, celebrare il canto di lode al Signore per questo dono straordinario, fatto alla Chiesa e al mondo, oltre che ai singoli uomini la cui sacerdotale esistenza si iscrive nel disegno divino.

L'Anno sacerdotale cade in un momento molto particolare per il sacerdozio, messo in discussione da vicende a volte contrapposte, a volte eclatanti. Come si potrà restituire al sacerdozio quella credibilità messa in dubbio dai comportamenti di pochi?

La credibilità del sacerdozio deriva innanzitutto da Cristo Signore e dalla configurazione essenziale e profonda dei sacerdoti a lui, unico eterno e sommo sacerdote. È necessario innanzitutto non lasciarsi giocare dall'amplificazione mediatica che, sistematicamente, ricevono alcune vicende nelle quali sono coinvolti pochi sacerdoti. Difficile non riconoscere, in tali amplificazioni, un preciso disegno che va ben oltre il diritto di cronaca. D'altro canto è necessario, come Chiesa, accorgersi, con sempre maggiore consapevolezza, che i nuovi mezzi di comunicazione, soprattutto internet, favoriscono una trasmissione delle informazioni globale e immediata; pertanto quello che un tempo poteva essere un problema o uno scandalo locale, diviene immediatamente globale a danno di tutto il corpo ecclesiale. La stragrande maggioranza dei sacerdoti, ai quali va una gratitudine davvero immensa, è vittima - è necessario ribadirlo - del reale o presunto comportamento indebito di alcuni confratelli. Da questo punto di vista sarà opportuno, sempre più, sviluppare il senso critico nei confronti di certa informazione, che non risparmia nulla e nessuno, come pure si dovrà recuperare il senso delle proporzioni.

La situazione impone a tutti un'ancora maggiore vigilanza e un maggior sforzo di santificazione, personale e comunitaria, che sono alla radice stessa dell'indizione dell'Anno sacerdotale. È necessario accorgersi che gli attacchi al sacerdozio, sotto il profilo morale o disciplinare, giungono dalle stesse forze che vorrebbero ridurre il sacerdote ad assistente sociale, misconoscendone il ruolo, soprannaturale, di mediatore tra Dio e gli uomini, partecipe dell'unica mediazione di Cristo.

Perché, secondo Lei, fanno tanto clamore solo le vicende che riguardano i sacerdoti cattolici? I sacerdoti ortodossi e i ministri di culto protestanti fanno meno notizia, oppure c'è qualcosa di diverso su cui riflettere?

Come accennavo, l'attacco mediatico al sacerdozio cattolico, ben concertato e senza precedenti, va ben oltre il diritto di cronaca e, per ragioni sia storiche, sia dogmatiche, il Corpo della Chiesa cattolica è quello più vasto, più numeroso, più visibile e l'unico ad aver mantenuto integra quell'unità di Corpo, appunto, che Gesù stesso ha voluto per la sua Chiesa, sotto un unico pastore, il vescovo di Roma, chiamato a confermare i fratelli nella fede. I poteri di questo mondo avvertono, talora con drammatico realismo e conseguente aggressività, che il mistero della Chiesa è irriducibile alle categorie secolari. La Chiesa cattolica è nel mondo, ma è altro dal mondo, i cristiani sono e rimangono cittadini del mondo, ma con lo sguardo rivolto al cielo, obbedienti alla legittima autorità terrena, ma fedeli a un'autorità sempre più grande, che è quella di Dio, unica reale garanzia anche del rispetto dei diritti umani. Come diceva Tertulliano: "Grande è l'imperatore, perché è più piccolo del cielo". Un potere temporale, esito dell'hegelismo filosofico e dello statalismo politico, che continua a negare l'esistenza stessa di Dio, e si autopropone come ultimo riferimento del vivere civile, sarà sempre in tensione con la Chiesa e cercherà di controllarne e marginalizzarne l'influenza. Non riuscendoci, tuttavia, perché, come recita anche la vostra testata, non praevalebunt.

Una differente disciplina riguardo al celibato non potrebbe essere un elemento di ulteriore discernimento, anche in ordine al numero dei sacerdoti?

Il celibato non è solo una norma disciplinare, ma affonda le proprie radici in argomentazioni teologico-spirituali, che hanno nell'imitazione di Cristo "umile povero e casto" il loro baricentro e nella riproposizione della "forma di vivere degli apostoli", la loro concreta traduzione esistenziale. L'aspetto disciplinare del celibato, in effetti, è solo la necessaria conseguenza della sua natura teologica. Anche se a causa della debolezza spirituale della formazione, o del suo sbilanciamento intellettuale, il celibato è meno compreso, ciò non autorizza a ipotizzare scenari differenti, ma impone uno sforzo in ordine alla più attenta formazione dei presbiteri e alla migliore catechesi dei laici. La Chiesa, a differenza del mondo, non obbedisce alle maggioranze, ammesso che ci siano, soprattutto quando queste sono frutto della deformazione mediatica, più che della formazione cristiana. La Chiesa obbedisce al suo Signore, alla propria storia e alla tradizione, nella quale, misteriosamente, agisce Dio stesso per mezzo dello Spirito Santo. Attribuire, poi, al celibato la responsabilità di taluni scandali, che riguardano alcuni sacerdoti, sarebbe come attribuire alla fedeltà coniugale la responsabilità dell'adulterio. Non è certamente abbassando il livello e aumentando il grado di già notevole secolarizzazione, che si risolvono le questioni. Semmai è il contrario: è innalzando il livello spirituale della formazione iniziale e permanente, osservando un attento discernimento, mai prigioniero dei numeri, ma libero e capace di valutare non solo che non ci siano ostacoli all'ordinazione sacerdotale, ma che il candidato abbia le qualità positive per esservi ammesso, fornendo una formazione filosofica capace di recuperare la centralità della metafisica, magari fenomenologicamente ed esistenzialmente riletta, e di educare innanzitutto alle certezze teologico-dottrinali, sulle quali ogni possibile dibattito successivo può innestarsi legittimamente, senza ledere il deposito della fede.

Infine, dal punto di vista numerico, è sotto gli occhi di tutti che là dove c'è spazio per la radicalità evangelica, le vocazioni fioriscono e si moltiplicano, nella fedeltà e nella bellezza, tipiche di chi si lascia affascinare e plasmare da Cristo, mentre gli ambiti più fortemente orizzontalizzati e secolarizzati, sono, in definitiva, quelli che languiscono nel deserto arido spirituale e, purtroppo, numerico.

È necessario, in un mondo sempre più assordante, creare nuovi spazi di silenzio e di ascolto, attraverso la direzione spirituale e la confessione sacramentale dei giovani, perché la voce di Dio, che sempre continua a chiamare, possa essere udita e prontamente seguita. Del resto, nel Vangelo, il Signore stesso ci ha lasciato una inequivocabile indicazione per la cosiddetta "pastorale vocazionale": "Pregate il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe" (Matteo, 9, 38).

L'unica arma davvero efficace per il rilancio delle vocazioni è, dunque, la preghiera! Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, comunità parrocchiali, movimenti e associazioni, famiglie e singoli che pregano per le vocazioni, otterranno da Dio ciò che il Signore stesso vuole donare. Ogni altra presunta soluzione, che esuli da tale esplicita volontà del Signore, non può trovare legittimazione.

Quale "immagine" di sacerdote, per l'uomo di oggi, propone il Papa nella celebrazione di questo Anno? Quali modelli di sacerdoti?

Benedetto XVI ha ricordato ai sacerdoti, lo scorso 16 marzo, che "nessuno annuncia o porta se stesso, ma dentro e attraverso la propria umanità ogni sacerdote deve essere ben consapevole di portare un Altro, Dio stesso, al mondo. Dio è la sola ricchezza che, in definitiva, gli uomini desiderano trovare in un sacerdote". L'immagine del sacerdote non può essere che quella di sempre! Quella che la Chiesa e la genuina dottrina costantemente hanno proposto e che trova una sua splendida sintesi nella figura evangelica del Buon Pastore. Anche se il nostro tempo (con notevoli differenze tra occidente secolarizzato e relativista e altre parti del mondo nelle quali, invece il senso del sacro è ancora molto forte) vive alcune tentazioni che inevitabilmente intaccano il ministero sacerdotale e che, anche con l'aiuto di questo Anno sacerdotale, sarà necessario iniziare a correggere. Penso, per esempio, alla tentazione dell'attivismo, che investe non pochi sacerdoti, i quali, se pur con lodevoli intenzioni nella totale dedizione, tuttavia non di rado mettono a rischio la propria stessa vocazione e l'efficacia dell'apostolato, se non permangono stabilmente in quel rapporto vitale con Cristo che si nutre di silenzio, preghiera, lectio divina e, soprattutto, di adorazione eucaristica.

Il modello sacerdotale è quello del testimone dell'Assoluto. La vera contraddizione, oggi, non è più ricercare superficiali originalità, come può essere accaduto nei decenni passati, suscitando, nei fatti, un "breve e corto" interesse. I sacerdoti saranno davvero "segni di contraddizione", unicamente nella misura in cui, vivendo pienamente la propria identità e specificità, diverranno santi.

Guardiamo a san Giovanni Maria Vianney, san Giovanni Bosco, san Massimiliano Maria Kolbe, san Pio da Pietrelcina, san Josemaría Escrivá e tanti altri. Tutti sacerdoti, tutti diversissimi per personalità umana e storia personale, eppure tutti straordinariamente uniti dall'amore e dalla testimonianza a Cristo Signore e dall'essere stati, perciò stesso, segni davvero profetici. Non è possibile essere veramente sacerdoti, anche oggi, se si diluisce il cristianesimo, se si orizzontalizza il ministero, se si pensa che la salvezza sia solo quella immanente. Con ciò si ottiene solo il risultato di perdere fedeli e vocazioni.

I media usano l'espressione di "abuso liturgico". È un tema che l'Anno sacerdotale affronterà ?

Purtroppo gli abusi liturgici non sono certo un'invenzione dei media, magari fosse così. Credo che il punto sia sempre lo stesso: se il sacerdote è padrone o se è servo, che in greco si dice "ministro", di Dio e del popolo. Se il sacerdote si autoconcepisce come "padrone" di Dio, delle "cose di Dio" e della fede propria e del popolo, evidentemente si avrà ogni abuso, non solo liturgico, ma anche dottrinale e disciplinare, in un soggettivismo totalmente appiattito sulla contemporanea "dittatura del relativismo", più volte segnalata dal Papa. Se, al contrario, egli sarà ciò che deve essere, cioè ministro e servo di Dio e degli uomini, osserverà le indicazioni della liturgia, ricordando che è Cristo stesso il celebrante, quando il sacerdote celebra e che nessuno può arbitrariamente spadroneggiare sulla fede della Chiesa e sul diritto dei fedeli a godere della sacra liturgia, così come la Chiesa stessa intende realizzarla.


©L'Osservatore Romano - 19 giugno 2009
 

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