«Armeni ed Europa.
Ankara al bivio»
Edoardo Castagna su Avvenire 24 novembre 2006
Per lo storico Taner Akçam, in esilio per aver
discusso del genocidio del 1915, «la Turchia fonda l’identità nazionale
sulla negazione del passato. Ma senza autocritica una vera democrazia è
impossibile»
Orhan Pamuk e Elif Shafak se la sono
cavata con qualche seccatura. I processi intentati contro di loro in
Turchia per aver «offeso l'identità nazionale» - avevano parlato
apertamente del genocidio compiuto contro gli armeni durante la Grande
guerra - si sono chiusi con un nulla di fatto. Taner Akçam, invece, in
carcere c'è finito davvero. Arrestato esattamente trent'anni fa e
condannato a dieci anni di reclusione, nel 1977 riuscì a fuggire e a
rifugiarsi prima in Germania, ad Amburgo, poi negli Stati Uniti, dove
insegna all'Università del Minnesota. Primo storico turco ad aver
discusso apertamente i fatti del 1915, continua a richiamare i suoi
compatrioti al dovere etico e politico di fare altrettanto, secondo lo
stretto legame che nel suo recente Nazionalismo turco, genocidio
armeno (Guerini, pagine 284, euro 24,00) ha individuato tra
assunzione di responsabilità per il passato e sviluppo della
democrazia per il futuro.
Che cosa si sa, oggi in Turchia, del genocidio armeno?
«La politica di Stato nega tutto, e questa negazione è radicata
fin dalla nascita della repubblica; intanto, la vasta maggioranza dei
turchi ignora completamente ciò che accadde. E poi ci sono coloro che
vivono nell'Anatolia orientale - curdi, soprattutto - e che parlano
apertamente di che cosa avvenne agli armeni, tramandando una
narrazione orale».
Che forma assume il negazionismo di Stato?
«Secondo la teoria ufficiale, gli armeni durante la Prima guerra
mondiale avrebbero complottato con la Russia nemica, così l'esercito e
il governo turco avrebbero deciso di ricollocarli dal confine a un
posto sicuro. Poi, a causa delle condizioni di guerra e dei disagi, un
certo numero di armeni morì, ma non ci sarebbe stata un'azione di
Stato pianificata. Questo il governo turco: tuttavia, oggi abbiamo in
mano prove a sufficienza che mostrano chiaramente come la politica del
governo ottomano mirasse ad annichilire la popolazione armena, non
soltanto presso i confini russi ma in tutta l'Anatolia. Primo, gli
armeni non furono deportati soltanto dalle province orientali, ma
dall'intera Turchia. Secondo, il governo non prese nessuna misura di
protezione. E, terzo, il partito Unione e Progresso creò alcune
paramilitari per attaccare e uccidere gli armeni durante il loro
cammino».
Perché tutto questo?
«La ragione di fondo fu il desiderio di creare uno Stato nazionale
turco musulmano ed etnicamente omogeneo. Tanto che non furono prese
iniziative soltanto contro gli armeni, ma contro l'intera popolazione
cristiana dell'Anatolia. Alcuni furono espulsi - è il caso dei greci
-, altri furono uccisi sul posto - gli assiri -, altri ancora furono
prima deportati e poi uccisi - gli armeni».
Allora riterrà giuste leggi come quella francese, che puniscono chi
mette in dubbio il genocidio...
«Assolutamente no. Io mi oppongo veementemente a quella legge, e
per più di una ragione. È contro ogni norma democratica, non si può
punire o criminalizzare la discussione sulla storia. La negazione è sì
un crimine, ma un crimine morale, non uno punibile a norma di legge.
Capisco che abbiamo bisogno di alcune misure precauzionali contro il
neonazismo in Germania o, in Turchia, contro il nazionalismo
anti-armeno ma sono sufficienti le normali misure contro l'istigazione
all'odio o contro il razzismo».
E poi?
«E poi c'è un'altra, importante ragione per opporsi alla legge
francese. Oggi in Europa tutti sanno che cosa fu la Shoah ed è
comprensibile che si mettano leggi e regolamentazioni. Ma nel caso
della Turchia siamo davanti a una larga maggioranza della società che
non sa assolutamente nulla sul genocidio: e non si può criminalizzare
l'ignoranza. Si può vincere soltanto con un pubblico e aperto
dibattito, che abbia ampio seguito in Turchia. Io avrei un
suggerimento migliore per il governo francese. Lo scriva, per favore:
se la Francia è realmente interessata a risolvere il conflitto
turco-armeno, se vuole realmente che Ankara riconosca il genocidio,
allora inizi a scusarsi per i suoi stessi atti contro gli armeni. Per
esempio, potrebbe scusarsi con gli armeni per averli lasciati soli
nella regione di Maras, occupata dai francesi: almeno ventimila
persone furono massacrate perché l'esercito francese lasciò che
l'esercito turco le massacrasse. E questo non fu un caso isolato. La
Francia dovrebbe iniziare a riconoscere il suo stesso coinvolgimento
nel processo di genocidio; questo sì che avrebbe un effetto positivo
verso una presa di coscienza turca».
Che cosa succederebbe, in Turchia, se il governo riconoscesse
pienamente il genocidio?
«Gli effetti sarebbero solo positivi. Non conosco Paesi
danneggiati dalla conoscenza della propria storia; ne conosco molti,
invece, che hanno avuto problemi perché hanno negato il male esistente
nel loro passato. In Turchia il riconoscimento sarebbe utile per la
democrazia, per la dignità nel mondo, per le relazioni con l'Armenia,
perfino per l'economia, con un nuovo turismo della memoria sostenuto
dagli armeni. Certo, ci sarebbero naturalmente discussioni sui
possibili risarcimenti; ma gli aspetti morali del problema sono più
importanti».
Anche dal punto di vista della tutela dell'identità nazionale
turca?
«Certo. Sarebbe un magnifico passo in avanti se la Turchia
sviluppasse la sua identità democratica anche su alcune dure
autocritiche, come per esempio ha fatto la Germania. L'identità
nazionale turca non dovrebbe essere costruita sulla violenza e
sull'orrore del passato, ma sui diritti umani e sulla presa di
distanza da quei massacri; se ponesse una distanza tra il presente e
il passato, allora la sfida democratica sarebbe vinta».
Allora oggi la Turchia non è ancora pronta all'ingresso nell'Unione
europea?
«La Turchia ha già ottemperato molte delle condizioni necessarie
per essere membro della Ue. Ma il problema non è se la Turchia debba o
no essere membro dell'Europa, perché l'inclusione nell'Unione è un a
questione d'identità per l'Unione stessa: che tipo di Europa abbiamo
in mente? L'esclusione della Turchia potrebbe essere un passo indietro
nella democrazia dell'Europa stessa, mentre la Turchia potrebbe essere
un Paese pienamente europeo e democratico entro pochi anni, se solo la
Ue l'aiutasse. Qui non ci sono un'Europa e una Turchia, ma due Europe
e due Turchie. C'è un'Europa che vuole escludere a ogni costo la
Turchia: perché è musulmana, perché ha una popolazione troppo
numerosa, eccetera eccetera. E c'è un'Europa che pensa al
multiculturalismo come a un importante elemento d'identità
dell'Unione. In Turchia è esattamente lo stesso: ci sono due Turchie
oggi, quella che aspira alla democrazia e alla libertà e quella dell'élite
burocratico-militare che fa di tutto per bloccare il processo. Sta
all'Europa decidere se vuole accodarsi a questi burocrati o se vuole
appoggiare la società civile e il movimento democratico in Turchia».
(Ci chiediamo a che prezzo? E comunque
constatiamo che non stiamo parlando di un'alternativa imprescindibile.
Può anche darsi il caso di una civile convivenza e rapporti economici
e politici, che non richiedono un radicale aut aut, cioè o dentro o
fuori -ndr)
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