Don Gianni
Colzani: il punto sulla Conferenza guardando alla delegazione
Ortodossa.
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Intervista a don Gianni
Colzani, professore di
Teologia della missione presso la Pontificia Università Urbaniana di
Roma e membro della delegazione cattolica alla Conferenza di Atene.
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Ci racconta i primi giorni della Conferenza mondiale sulla
missione, che si svolge per la prima volta in un contesto ortodosso?
L’intervento dell’Arcivescovo Christodoulos è stato un
tentativo di delimitare il tema “guarigione e riconciliazione”. È
un tema che si presenta in forma di preghiera: “Vieni, Spirito
Santo, guarisci e riconcilia!”. Ha una forma, cioè, che rimanda
alla liturgia che per gli ortodossi è la sintesi esemplare della vita
della Chiesa. L’azione liturgica presenta una struttura trinitaria e
questo aiuta a dare la giusta collocazione al tema
guarigione/riconciliazione. Christodoulos ha insistito sul fatto che
guarigione e riconciliazione, nella comprensione ortodossa, sono
legate alla mediazione liturgica e sacramentale (anche se altre forme
non sono escluse); e hanno un evidente carattere ecclesiale. I doni
dello Spirito, cioè, non creano persone individualmente carismatiche
(guaritori, profeti, sciamani…), ma danno vita a ministeri diversi
che trovano il loro spazio nella Chiesa. La dimensione ecclesiale va
tenuta presente sia come origine sia come frutto dei ministeri.
Altrimenti ci si trova di fronte a una “Chiesa di curanderos”…
Alla Conferenza partecipano anche esponenti del mondo pentecostale
e carismatico: come hanno reagito a tali osservazioni?
È vero: la presenza delle Chiese pentecostali, insieme alle altre,
è una delle caratteristiche di questo appuntamento. Ma finora non si
è vista un’opposizione radicale tra dimensione carismatica e
istituzionale. Il clima che si respira è sereno, arricchente, senza
scontri tra le diverse posizioni. Le occasioni non mancano: martedì
sera, per esempio, alla sinaxis sul tema “La Chiesa ortodossa
e la missione nel mondo” sono emersi i punti della controversia, ma
il clima non era teso. E questo non era affatto scontato. L’incontro
puntava sulla concezione ortodossa della missione. Sono venuti a galla
temi sollevati anche in passato: gli esponenti ortodossi hanno
espresso il malumore delle loro Chiese rispetto ad alcuni stili di
preghiera e di decisione all’interno del Consiglio ecumenico delle
Chiese. Sono problemi non irrilevanti, che negli anni scorsi hanno
provocato l’uscita dal CEC delle Chiese ortodosse di Georgia e
Bulgaria… D’altra parte, il lavoro di una speciale commissione che
ha cercato di sciogliere questi nodi sembra aver dato buoni frutti.
Si è parlato anche di proselitismo?
Sì, naturalmente. Gli ortodossi hanno espresso con franchezza le
proprie convinzioni sul proselitismo e sul modo di intendere la
missione. Dal loro punto di vista, riveste un’importanza notevole il
concetto di “territorio canonico”. In parole semplici, ogni Chiesa
ha un proprio territorio che è affidato ad un vescovo e a un
presbiterio: non è corretto né è segno di fraternità che altre
Chiese pretendano di intervenire in modo del tutto autonomo su tale
territorio. Hanno espresso una chiara condanna verso quelle Chiese
cristiane che rivolgono la propria azione missionaria verso cristiani
di un’altra confessione. Ma nel corso del dibattito, che – ripeto
– si è svolto serenamente, varie persone hanno sollevato obiezioni
verso questa nozione di territorio. Il cattolico Robert Schreiter,
professore di teologia negli USA, ha domandato se questa visione del
territorio canonico risponda ancora in modo adeguato all’attuale
situazione, caratterizzata da migrazioni e spostamento di milioni
persone. Non è piuttosto un concetto che andava bene in società
statiche? È un’obiezione di carattere sociologico, che non tocca
questioni di fondo a livello teologico ma mette in luce la necessità
di ripensare la cosa. Da un punto di vista più propriamente
teologico, si pone il problema di chi debba definire il territorio
canonico: la storia? la tradizione? il vescovo? Di fatto, le Chiese
non sono estranee alla storia. Col passare dei secoli cambiano e
succede che Chiese che un tempo erano in grado di evangelizzare un’ampia
regione non sono più in grado di farlo. Per di più, oggi quello che
chiamiamo “territorio” si presenta come un intreccio di livelli
differenti, per cui il rimando geografico non è più sufficiente.
Come si pongono le Chiese ortodosse di fronte alla sfida della
missione?
Si intuisce che è in corso una rinascita della missione ortodossa.
Che si svilupperà secondo caratteristiche proprie, che non si
sovrappongono al concetto occidentale di missione. Per gli ortodossi
la missione richiama l’opera dello Spirito più che l’operosità
dei missionari. E l’effusione dello Spirito rimanda ancora una volta
al Mistero celebrato: ecco perché nella visione ortodossa della
missione hanno grande importanza la liturgia e il monachesimo. È un
elemento di originalità che è stimolo per tutte le Chiese. La
prospettiva di fondo è cosmica: la missione consiste nella
trasformazione del mondo fino a rendere evidente lo splendore di Dio
sulla creazione. La Chiesa ortodossa che presenta maggiore iniziativa
missionaria è forse il Patriarcato di Alessandria d’Egitto,
responsabile di tutta l’Africa. In questi giorni si è detto, da
parte ortodossa, che i tempi stanno cambiando e maturano scelte nuove.
Di qui l’invito a non considerare gli ortodossi come un mondo chiuso
e fermo. Si profila probabilmente un rilancio della missione.
Un’ultima domanda: è possibile intrecciare il tema della
Conferenza missionaria di Atene con l’interesse della Chiesa
italiana verso la “conversione della pastorale” in senso
missionario?
Teoricamente sì. In pratica, la strada intrapresa della Chiesa
italiana è quella di tradurre la fede in cultura attraverso il
cosiddetto “progetto culturale” e l’animazione biblica, cioè la
scelta di far precedere un’autentica evangelizzazione alla “sacramentalizzazione”.
Per questo, il tema della Conferenza di Atene difficilmente
interpellerà i pastoralisti e gli addetti ai lavori. Peccato…
perché qualcosa da imparare ce l’avremmo: per esempio, nelle nostre
parrocchie si dà in genere poca attenzione alle singole persone, ai
loro bisogni (più o meno evidenti) di guarigione e riconciliazione.
[intervista raccolta ad Atene da Giovanni Giuranna]
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[Fonte: nabot.org del 12 maggio
2005]