Omelia di Benedetto XVI
Per la chiusura del Congresso Eucaristico nazionale
Pubblichiamo
l’omelia pronunciata da Benedetto XVI domenica 29 maggio durante la
Messa che ha presieduto sulla spianata di Marisabella chiudendo il
XXIV Congresso Eucaristico Nazionale Italiano. Riaffermata dal Papa la
priorità dell'impegno ecumenico: «Ecumenismo, "impegno
fondamentale" che esige non solo parole ma "gesti
concreti" ».
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Noterete evidenziato, nel testo, il forte
richiamo all'unità che risuona in un momento di
particolare solennità e in un luogo, già definito da Giovanni
Paolo II, "porta dell'Oriente".
Bari è la
metafora di tutti i Sud del mondo. È la porta dell'Oriente che
ha accolto i fratelli ortodossi, e che in tempi lontanissimi è
stata violata dai saraceni in nome di Maometto. Bari è il
moderno che preme e l'antico che non si rassegna a lasciare il
passo (ma perché poi dovrebbe?).
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“Glorifica il
Signore, Gerusalemme, loda, Sion, il tuo Dio”.
L’invito del Salmista, che riecheggia anche nella Sequenza, esprime
molto bene il senso di questa Celebrazione eucaristica: ci siamo
raccolti per lodare e benedire il Signore. È questa la ragione che ha
spinto la Chiesa italiana a ritrovarsi qui, a Bari, per il Congresso
Eucaristico Nazionale. Anch’io ho voluto unirmi oggi a tutti voi per
celebrare con particolare rilievo la Solennità del Corpo e del Sangue
di Cristo, e così rendere omaggio a Cristo nel Sacramento del suo
amore, e rafforzare al tempo stesso i vincoli di comunione che mi
legano alla Chiesa che è in Italia e ai suoi Pastori. A questo
importante appuntamento ecclesiale avrebbe voluto essere presente
anche il mio venerato Predecessore, il Papa Giovanni Paolo II.
Sentiamo che Egli è vicino a noi e con noi glorifica il Cristo, buon
Pastore, che egli può ormai contemplare direttamente.
Saluto con affetto tutti voi che partecipate a questa solenne
liturgia: il Cardinale Camillo Ruini e gli altri Cardinali presenti,
l’Arcivescovo di Bari, Monsignor Francesco Cacucci, i Vescovi della
Puglia e quelli convenuti numerosi da ogni parte d’Italia; i
sacerdoti, i religiosi, le religiose e i laici; in particolare quanti
in vari modi hanno cooperato all’organizzazione del Congresso.
Saluto altresì le Autorità, che con la loro gradita presenza
evidenziano anche come i Congressi Eucaristici facciano parte della
storia e della cultura del popolo italiano.
Questo Congresso Eucaristico, che oggi giunge alla sua conclusione, ha
inteso ripresentare la domenica come “Pasqua settimanale”,
espressione dell’identità della comunità cristiana e centro della
sua vita e della sua missione. Il tema scelto – “Senza la
domenica non possiamo vivere” ci riporta all'anno 304, quando
l’imperatore Diocleziano proibì ai cristiani, sotto pena di morte,
di possedere le Scritture, di riunirsi la domenica per celebrare
l’Eucaristia e di costruire luoghi per le loro assemblee. Ad Abitene,
una piccola località nell’attuale Tunisia, 49 cristiani furono
sorpresi una domenica mentre, riuniti in casa di Ottavio Felice,
celebravano l’Eucaristia sfidando i divieti imperiali. Arrestati,
vennero condotti a Cartagine per essere interrogati dal Proconsole
Anulino. Significativa, tra le altre, la risposta che Emerito diede al
Proconsole che gli chiedeva perché mai avessero trasgredito
l’ordine dell'imperatore. Egli disse: “Sine dominico non
possumus”: senza riunirci in assemblea la domenica per celebrare
l’Eucaristia non possiamo vivere. Ci mancherebbero le forze per
affrontare le difficoltà quotidiane e non soccombere. Dopo atroci
torture, i 49 martiri di Abitene furono uccisi. Confermarono così,
con l’effusione del sangue, la loro fede. Morirono, ma vinsero: noi
ora li ricordiamo nella gloria del Cristo risorto.
E’ un’esperienza, quella dei martiri di Abitene, sulla quale
dobbiamo riflettere anche noi, cristiani del ventunesimo secolo.
Neppure per noi è facile vivere da cristiani. Da un punto di vista
spirituale, il mondo in cui ci troviamo, segnato spesso dal consumismo
sfrenato, dall’indifferenza religiosa, da un secolarismo chiuso alla
trascendenza, può apparire un deserto non meno aspro di quello “grande
e spaventoso” (Dt 8,15) di cui ci ha parlato la prima
lettura, tratta dal Libro del Deuteronomio. Al popolo ebreo in
difficoltà Dio venne in aiuto col dono della manna, per fargli capire
che “l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di
quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt8,3). Nel Vangelo
di oggi Gesù ci ha spiegato a quale pane Dio, mediante il dono della
manna, voleva preparare il popolo della Nuova Alleanza. Alludendo
all'Eucaristia ha detto: “Questo è il Pane disceso dal cielo,
non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia
di questo Pane vivrà in eterno” (Gv 6,58). Il Figlio di
Dio, essendosi fatto carne, poteva diventare Pane, ed essere così
nutrimento del suo popolo in cammino verso la terra promessa del
Cielo.
Abbiamo bisogno di questo Pane per affrontare le fatiche e le
stanchezze del viaggio. La Domenica, Giorno del Signore, è
l'occasione propizia per attingere forza da Lui, che è il Signore
della vita. Il precetto festivo non è quindi semplicemente un dovere
imposto dall'esterno. Partecipare alla Celebrazione domenicale e
cibarsi del Pane eucaristico è un bisogno per il cristiano, il quale
può così trovare l’energia necessaria per il cammino da
percorrere. Un cammino, peraltro, non arbitrario: la strada che Dio
indica mediante la sua Legge va nella direzione iscritta nell'essenza
stessa dell’uomo. Seguirla significa per l’uomo realizzare se
stesso; smarrirla equivale a smarrire se stesso.
Il Signore non ci lascia soli in questo cammino. Egli è con noi;
anzi, Egli desidera condividere la nostra sorte fino ad immedesimarsi
con noi. Nel colloquio che ci ha riferito poc'anzi il Vangelo Egli
dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me
e io in lui” (Gv 6,56). Come non gioire di una simile
promessa? Abbiamo sentito però che, a quel primo annuncio, la gente,
invece di gioire, cominciò a discutere e a protestare: “Come può
costui darci la sua carne da mangiare?” (Gv 6,52). Per la
verità, quell'atteggiamento s'è ripetuto tante altre volte nel corso
della storia. Si direbbe che, in fondo, la gente non voglia avere Dio
così vicino, così alla mano, così partecipe delle sue vicende. La
gente lo vuole grande e, in definitiva, piuttosto lontano da sé. Si
sollevano allora questioni che vogliono dimostrare, alla fine, che una
simile vicinanza è impossibile. Ma restano in tutta la loro icastica
chiarezza le parole che Cristo pronunciò proprio in quella
circostanza: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la
carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in
voi la vita” (Gv 6,53). Di fronte al mormorio di
protesta, Gesù avrebbe potuto ripiegare su parole rassicuranti:
“Amici, avrebbe potuto dire, non preoccupatevi! Ho parlato di carne,
ma si tratta soltanto di un simbolo. Ciò che intendo è solo una
profonda comunione di sentimenti”. Ma Gesù non ha fatto ricorso a
simili addolcimenti. Ha mantenuto ferma la propria affermazione, anche
di fronte alla defezione di molti suoi discepoli (cfr. Gv
6,66). Anzi, Egli si è dimostrato disposto ad accettare persino la
defezione degli stessi suoi apostoli, pur di non mutare in nulla la
concretezza del suo discorso: “Forse anche voi volete
andarvene?” (Gv 6,67), ha domandato. Grazie a Dio Pietro
ha dato una risposta che anche noi, oggi, con piena consapevolezza
facciamo nostra: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita
eterna” (Gv 6,68).
Nell'Eucaristia Cristo è realmente presente tra noi. La sua non è
una presenza statica. E' una presenza dinamica, che ci afferra per
farci suoi, per assimilarci a sé. Lo aveva ben compreso Agostino,
che, provenendo da una formazione platonica, aveva stentato molto ad
accettare la dimensione "incarnata" del cristianesimo. In
particolare, egli reagiva di fronte alla prospettiva del "pasto
eucaristico", che gli sembrava indegno di Dio: nei pasti comuni,
infatti, l’uomo risulta il più forte, in quanto è lui ad
assimilare il cibo, facendone un elemento della propria realtà
corporea. Solo in un secondo tempo Agostino capì che
nell’Eucaristia le cose andavano nel senso esattamente opposto: il
centro è Cristo che ci attira a sé, ci fa uscire da noi stessi per
fare di noi una cosa sola con lui (cfr. Confess. , VII,10,16).
In questo modo Egli ci inserisce anche nella comunità dei fratelli.
Qui tocchiamo un’ulteriore dimensione dell’Eucaristia, che vorrei
ancora raccogliere prima di concludere. Il Cristo che incontriamo nel
Sacramento è lo stesso qui a Bari come a Roma, qui in Europa come in
America, in Africa, in Asia, in Oceania. È l’unico e medesimo
Cristo che è presente nel Pane eucaristico di ogni luogo della terra.
Questo significa che noi possiamo incontrarlo solo insieme con tutti
gli altri. Possiamo riceverlo solo nell’unità. Non è forse questo
che ci ha detto l’apostolo Paolo nella lettura ascoltata poc’anzi?
Scrivendo ai Corinzi egli afferma: “Poiché c'è un solo pane,
noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti
partecipiamo dell'unico pane” (1 Cor 10,17). La
conseguenza è chiara: non possiamo comunicare con il Signore, se non
comunichiamo tra noi. Se vogliamo presentarci a Lui, dobbiamo anche
muoverci per andare gli uni incontro agli altri. Per questo bisogna
imparare la grande lezione del perdono: non lasciar lavorare
nell’animo il tarlo del risentimento, ma aprire il cuore alla
magnanimità dell’ascolto dell’altro, della comprensione nei suoi
confronti, dell’eventuale accettazione delle sue scuse, della
generosa offerta delle proprie.
L’Eucaristia – ripetiamolo – è sacramento dell’unità. Ma
purtroppo i cristiani sono divisi, proprio nel sacramento dell’unità.
Tanto più dobbiamo, sostenuti dall’Eucaristia, sentirci stimolati a
tendere con tutte le forze a quella piena unità che Cristo ha
ardentemente auspicato nel Cenacolo. Proprio qui, a Bari, città che
custodisce le ossa di San Nicola, terra di incontro e di dialogo con i
fratelli cristiani dell’Oriente, vorrei ribadire la mia volontà di
assumere come impegno fondamentale quello di lavorare con tutte le
energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i
seguaci di Cristo. Sono cosciente che per questo non bastano le
manifestazioni di buoni sentimenti. Occorrono gesti concreti che
entrino negli animi e smuovano le coscienze, sollecitando ciascuno a
quella conversione interiore che è il presupposto di ogni progresso
sulla via dell’ecumenismo (cfr Ai
rappresentanti delle Chiese e comunità cristiane e di altre religioni
non cristiane, 25 aprile 2005). Chiedo a voi tutti di prendere
con decisione la strada di quell’ecumenismo spirituale, che nella preghiera
apre le porte allo Spirito Santo, che solo può creare l’unità.
Cari amici venuti a Bari da varie parti d’Italia per celebrare
questo Congresso eucaristico, noi dobbiamo riscoprire la gioia della
domenica cristiana. Dobbiamo riscoprire con fierezza il privilegio di
poter partecipare all’Eucaristia, che è il sacramento del mondo
rinnovato. La risurrezione di Cristo avvenne il primo giorno della
settimana, che per gli ebrei era il giorno della creazione del mondo.
Proprio per questo la domenica era considerata dalla primitiva comunità
cristiana come il giorno in cui ha avuto inizio il mondo nuovo, quello
in cui, con la vittoria di Cristo sulla morte, è iniziata la nuova
creazione. Raccogliendosi intorno alla mensa eucaristica, la comunità
veniva modellandosi come nuovo popolo di Dio. Sant’Ignazio di
Antiochia qualificava i cristiani come “coloro che sono giunti alla
nuova speranza”, e li presentava come persone “viventi secondo la
domenica” (“iuxta dominicam viventes”). In tale
prospettiva il Vescovo antiocheno si domandava: “Come potremmo
vivere senza di Lui, che anche i profeti hanno atteso?” (Ep. ad
Magnesios, 9,1-2).
“Come potremmo vivere senza di Lui?”. Sentiamo echeggiare in
queste parole di Sant’Ignazio l’affermazione dei martiri di
Abitene: “Sine dominico non possumus”. Proprio di qui
sgorga la nostra preghiera: che anche i cristiani di oggi ritrovino la
consapevolezza della decisiva importanza della Celebrazione domenicale
e sappiano trarre dalla partecipazione all’Eucaristia lo slancio
necessario per un nuovo impegno nell’annuncio al mondo di Cristo “nostra
pace” (Ef 2,14). Amen!
[Testo originale: Italiano]
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