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"Arriverà il giorno in cui le nostre due Chiese convergeranno
pienamente"
di Bartolomeo I
Il testo integrale del discorso del patriarca ecumenico di
Costantinopoli al sinodo dei vescovi della Chiesa cattolica,
pronunciato nella Cappella Sistina sabato 18 ottobre 2008
Santità, Padri Sinodali, è al contempo motivo di disagio e di ispirazione
essere cortesemente invitato da Vostra Santità a rivolgermi alla XII Assemblea
Generale Ordinaria di questo ben augurante Sinodo dei Vescovi, storico incontro
dei Vescovi della Chiesa Cattolica da ogni parte del mondo, riuniti in un unico
luogo per meditare su "la Parola di Dio" e deliberare sull'esperienza e
sull'espressione di tale Parola "nella vita e nella missione della Chiesa".
Il gentile invito di Vostra Santità alla nostra modesta persona è un gesto colmo
di contenuto e di significato – abbiamo l'ardire di considerarlo come evento
storico in se stesso. Si tratta della prima volta nella storia che ad un
Patriarca Ecumenico è offerta l'opportunità di rivolgersi ad un Sinodo dei
Vescovi della Chiesa Cattolica, e così esser parte a così alto livello della
vita di questa Chiesa sorella. Consideriamo questo come una manifestazione dello
Spirito Santo che guida le nostre Chiese ad una relazione sempre più stretta e
profonda fra noi, un passo importante per la restaurazione della nostra piena
comunione.
È ben noto come la Chiesa Ortodossa attribuisca al sistema sinodale
un'importanza ecclesiologica fondamentale. Insieme con il primato, la sinodalità
costituisce la spina dorsale del governo e dell'organizzazione della Chiesa.
Come la nostra Commissione Internazionale Congiunta sul Dialogo Teologico fra le
nostre Chiese lo ha espresso nel documento di Ravenna, tale interdipendenza fra
sinodalità e primato percorre tutti i livelli della vita della Chiesa: locale,
regionale ed universale. Avendo, pertanto, oggi il privilegio di rivolgerci al
Vostro Sinodo, aumentano le nostre speranze che arriverà il giorno in cui le
nostre due Chiese convergeranno pienamente sul ruolo del primato e della
sinodalità nella vita della Chiesa, argomento al quale la nostra comune
Commissione Teologica attualmente dedica il proprio studio.
Il tema che affronta questo Sinodo episcopale è di significato cruciale non
soltanto per la Chiesa Cattolica, ma anche per tutti quelli che sono chiamati a
dar testimonianza di Cristo nel nostro tempo. La missione e l'evangelizzazione
restano un obbligo permanente della Chiesa in tutti i tempi ed in ogni luogo. Di
più: esse sono parte della natura stessa della Chiesa, dato che essa è chiamata
"Apostolica" sia nel senso della sua fedeltà all'insegnamento originale degli
Apostoli, sia in quello di proclamare la Parola di Dio in ogni contesto
culturale e in ogni tempo. La Chiesa ha bisogno, pertanto, di riscoprire la
Parola di Dio in ogni generazione e porla a guida con rinnovato vigore e
capacità persuasiva anche nel nostro mondo contemporaneo, il quale, nelle sue
più intime profondità, ha sete del messaggio di Dio, messaggio di pace, speranza
e carità.
Questo compito di evangelizzare avrebbe potuto essere grandemente favorito e
rafforzato, è ovvio, se tutti i cristiani fossero stati in grado di realizzarlo
ad una sola voce e come Chiesa pienamente unita. Nella sua preghiera al Padre,
poco prima della propria Passione, nostro Signore ha messo in chiaro che l'unità
della Chiesa è inscindibilmente correlata con la sua missione "affinché il mondo
creda" (Giovanni 17, 21). È pertanto quanto mai appropriato che questo Sinodo
abbia aperto le proprie porte ai delegati ecumenici fraterni, così che tutti
diventiamo coscienti del nostro comune dovere dell'evangelizzazione, come pure
delle difficoltà e dei problemi della sua realizzazione nel mondo odierno.
Questo Sinodo, indubbiamente, si è dedicato a studiate il soggetto "Parola di
Dio" in profondità ed in tutti i suoi aspetti, sia teologici che pratici e
pastorali. Nel nostro umile intervento di fronte a voi ci limiteremo a
condividere con voi alcuni pensieri sul tema della vostra assemblea, deducendoli
dal modo in cui la tradizione ortodossa lo ha affrontato attraverso i secoli e,
in particolare, nell'insegnamento patristico greco.
Più concretamente, vorremmo concentrarci su tre aspetti dell'argomento, e
precisamente: sull'ascoltare e proclamare la Parola di Dio attraverso le Sacre
Scritture; sul vedere la Parola di Dio nella natura e, soprattutto, nella
bellezza delle icone; e, da ultimo, sul toccare e condividere la Parola di Dio
nella comunione dei Santi e nella vita sacramentale della Chiesa. Infatti, noi
riteniamo che questi aspetti siano cruciali nella vita e nella missione della
Chiesa.
Nel far questo, cercheremo di attingere alla ricca tradizione patristica, che
risale all'inizio del terzo secolo ed espone una dottrina dei cinque sensi
spirituali, dato che ascoltare la Parola di Dio, scrutarla e toccarla sono tutte
vie spirituali per percepire l'unico mistero divino. Basandosi su Proverbi 2, 5
circa "la facoltà divina di percezione (áisthesis)", Origene di Alessandria
afferma: "Tale senso si snoda come vista per contemplare le forme immateriali,
ascolto per discernere le voci, gusto per assaporare il pane vivo, profumo per
la dolce fragranza spirituale, e tatto per maneggiare la Parola di Dio, che è
afferrata mediante ogni facoltà dell'anima".
Questi sensi spirituali vengono in vario modo descritti come "i cinque sensi
dell'anima", come "divine" o "intime facoltà", e addirittura come "facoltà del
cuore" o della "mente". Questa dottrina ha ispirato la teologia dei Cappadoci
(specialmente di Basilio Magno e Gregorio di Nissa), come quella dei Padri del
Deserto (in modo speciale di Evagrio Pontico e Macario il Grande).
1. Udire e proclamare la Parola attraverso le Scritture
In ogni celebrazione della Divina Liturgia di san Giovanni Crisostomo, il
celebrante che presiede l'Eucaristia implora affinché "siamo resi degni di
ascoltare il Santo Vangelo", poiché "ascoltare, vedere, toccare con le nostre
mani il Verbo della vita" (cfr. 1 Giovanni 1, 1) non è prima e anzitutto nostro
diritto nativo e fontale come esseri umani; è piuttosto nostro privilegio e dono
come figli del Dio vivente. La Chiesa cristiana è, al di sopra di tutto, una
Chiesa scritturistica. Anche se i metodi interpretativi possono aver variato da
Padre della Chiesa a Padre della Chiesa, da "scuola" a "scuola", e dall'est
all'ovest, tuttavia la Scrittura è sempre stata recepita come una realtà viva e
non come un libro morto.
Nel contesto di una fede viva, pertanto, la Scrittura è la testimonianza vivente
di una storia vissuta circa il rapporto di un Dio vivo con un popolo vivo. La
Parola "che ha parlato mediante i Profeti" (Credo Niceno-Costantinopolitano), ha
parlato per essere udita e produrre effetto, è primariamente una comunicazione
orale e diretta rivolta a destinatari umani. Il testo scritturistico è perciò
derivato e secondario, poiché il testo scritturistico serve sempre la parola
parlata; non viene trasmesso meccanicamente, ma comunicato di generazione in
generazione come una parola vivente. Mediante il Profeta Isaia, il Signore
promette: "Come la pioggia e la neve scendono dal cielo per irrigare la terra...
così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto,
senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata" (cfr. 55, 10-11).
Di più: come spiega san Giovanni Crisostomo, la Parola divina manifesta profonda
condiscendenza (sunkatábasis) per la diversità personale e per i contesti
culturali di quanti l'odono e la ricevono. L'adattamento della Parola divina
alla specifica disponibilità personale ed al contesto culturale particolare
definisce la dimensione missionaria della Chiesa, chiamata a trasformare il
mondo attraverso la Parola. Nel silenzio o nella proclamazione, nella preghiera
o nell'azione, la Parola divina si rivolge al mondo intero, "ammaestrando tutte
le nazioni" (Matteo 28, 19) senza alcun privilegio o pregiudizio nei confronti
della razza, della cultura, del sesso o della classe. Quando obbediamo a questo
divino comando, siamo rassicurati: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni"
(Matteo 28, 20). Siamo chiamati ad annunciare la Parola divina in tutte le
lingue "facendoci tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno" (cfr. 1
Corinzi 9, 22).
Quali discepoli della Parola di Dio, dunque è oggi più doveroso che mai che noi
offriamo una prospettiva unica – al di là del sociale, del politico o
dell'economico – circa la necessità di sradicare la povertà, di offrire
equilibrio in un mondo globalizzato, di combattere il fondamentalismo o il
razzismo, di sviluppare la tolleranza religiosa in un mondo di conflitti. Nel
dar risposta alle necessità dei poveri del mondo, a quanti sono vulnerabili ed
emarginati, la Chiesa può dimostrarsi un baluardo che definisce lo spazio e il
carattere della comunità globale. Se da un lato il linguaggio teologico della
religione e della spiritualità differisce dal vocabolario tecnico dell'economia
e della politica, dall'altro le barriere che di primo acchito sembrano separare
le preoccupazioni religiose (come, ad esempio, il peccato, la salvezza e la
spiritualità) dagli interessi pratici (quali la contrattazione, lo scambio di
merci e la politica) non sono impenetrabili, e crollano di fronte alle
molteplici sfide della giustizia sociale e della globalizzazione.
Sia che si tratti di ambiente o di pace, di povertà o di fame, di educazione o
di sanità, vi è oggi un accresciuto senso del comune coinvolgimento e della
comune responsabilità, che viene percepita in maniera particolarmente acuta
dalle persone di fede, ma anche da quanti hanno una prospettiva manifestamente
secolare. Il nostro impegno in simili ambiti ovviamente non minaccia in alcuna
maniera né abolisce le differenze fra le diverse discipline né le discordanze
nei confronti di quanti guardano al mondo in modi differenti. E tuttavia i segni
crescenti di un comune impegno per il benessere dell'umanità e della vita del
mondo sono incoraggianti: è un incontro tra singoli ed istituzioni che promette
bene per il mondo. Ed è un impegno che pone in risalto la suprema vocazione e
missione dei discepoli e di quanti aderiscono alla Parola di Dio per trascendere
le differenze politiche o religiose, al fine di trasformare l'intero mondo
visibile a gloria dell'invisibile Dio.
2. Vedere la Parola di Dio. La bellezza delle icone e della natura
In nessun altro luogo l'invisibile viene reso piu visibile che nella bellezza
dell'iconografia e nella meraviglia del creato. Nelle parole di quel campione
delle sacre immagini che fu san Giovanni Damasceno: "Quale creatore del cielo e
della terra, Dio Verbo fu Lui stesso a dipingere e a raffigurare icone". Ogni
tratto del pennello dell'iconografo – al pari di ogni parola di una definizione
teologica, di ogni nota musicale cantata nella salmodia e di ogni pietra
scolpita in una piccola cappella o in una magnifica cattedrale – articola il
Verbo divino nella creazione, la quale rende lode a Dio in ogni essere vivente
ed in ogni vivente realtà (cfr. Salmi 150, 6).
Nell'affermare la liceità delle sacre immagini, il settimo Concilio Ecumenico di
Nicea non si preoccupò dell'arte religiosa; era la continuazione e la conferma
di definizioni precedenti riguardanti la pienezza dell'umanità del Verbo di Dio.
Le icone sono un ricordo visibile della nostra vocazione celeste; sono un invito
ad innalzarci al di sopra delle nostre preoccupazioni meschine e dei servili
modi riduttivi del mondo. Ci incoraggiano a ricercare lo straordinario proprio
nell'ordinario, ad essere ripieni della medesima meraviglia che caratterizzò il
divino stupore nella Genesi: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa
molto buona" (Genesi 1, 30-31). La parola greca (dei LXX) per "bontà", è "kállos",
che implica – etimologicamente e simbolicamente – un senso di "chiamare". Le
icone sottolineano che la missione fondamentale della Chiesa è di riconoscere
che ogni persona ed ogni cosa sono create e chiamate ad essere "buone" e
"belle".
Certamente le icone ci ricordano un altro modo di vedere le cose, un'altra
maniera di far esperienza della realtà, un altro modo di risolvere i conflitti.
Siamo chiamati ad assumere ciò che l'innologia della domenica di Pasqua chiama
"un altro modo di vivere". Ci siamo infatti comportati in maniera arrogante e
sconsiderata verso la creazione naturale. Ci siamo rifiutati di obbedire alla
Parola di Dio negli oceani del pianeta, negli alberi dei continenti, e negli
animali della terra. Abbiamo rinnegato la nostra stessa natura, che ci invita a
chinarci sufficientemente in basso per udire la Parola di Dio nella creazione,
se vogliamo "divenire partecipi della natura divina" (2 Pietro 1, 4). Come
possiamo ignorare le piu vaste implicazioni del Verbo divino che ha assunto la
carne? Perché non siamo in grado di percepire la natura creata quale estensione
del corpo di Cristo?
I teologi dell'Oriente cristiano hanno sempre sottolineato le proporzioni
cosmiche dell'incarnazione divina. Il Verbo incarnato è intrinseco alla
creazione, che è venuta all'esistenza attraverso un divino pronunciamento. San
Massimo il Confessore insiste sulla presenza della Parola divina in ogni cosa
(cfr. Colossesi 3, 11); il Logos divino è al centro del mondo, rivelando in modo
misterioso il suo originale principio e ultimo scopo (cfr. 1 Pietro 1, 20). Tale
mistero viene descritto da sant'Atanasio di Alessandria: "Come Verbo – scrive –
Egli non è contenuto da nulla e, tuttavia, contiene tutto. È in tutto e,
tuttavia, al di fuori di tutto... il Primogenito del mondo intero in ogni suo
aspetto".
L'intero mondo è un prologo al Vangelo di Giovanni e quando la Chiesa è incapace
di riconoscere le dimensioni più ampie, cosmiche della Parola di Dio,
restringendo le proprie preoccupazioni ad argomenti puramente spirituali,
trascura la propria missione di implorare Dio per la trasformazione – sempre e
dovunque, "in ogni luogo del dominio del Signore – dell'intero cosmo inquinato.
Non è da meravigliarsi, quindi, che nella domenica di Pasqua, quando la
celebrazione pasquale raggiunge il suo culmine, i cristiani ortodossi cantino:
"Ora tutto è riempito di luce divina: cielo e terra, ed ogni cosa sotto terra.
Si rallegri, pertanto, l'intera creazione".
Ogni genuina "ecologia profonda" è pertanto collegata intrinsecamente con la
teologia profonda: "Anche una pietra – scrive Basilio Magno – reca in sé il
marchio della Parola di Dio. Ciò vale per una formica, un'ape ed una mosca, le
più piccole fra le creature. Perché Egli apre gli ampi cieli e stese l'immenso
mare, ed Egli creò la piccola custodia del pungiglione dell'ape". Ricordare la
nostra piccolezza nell'ampia e splendida creazione di Dio sottolinea
semplicemente il nostro ruolo centrale nel piano di Dio per la salvezza del
mondo intero.
3. Toccare e condividere la Parola di Dio. La comunione dei Santi e i
Sacramenti della vita.
La Parola di Dio costantemente "esce fuori di Se stessa in estasi" (Dionigi
Aeropagita), cercando in maniera appassionata di "dimorare in noi" (Giovanni 1,
14), perché il mondo abbia la vita in abbondanza (Giovanni 10, 10). La
compassionevole misericordia di Dio viene riversata e condivisa "affinché
vengano moltiplicati gli oggetti della Sua beneficenza" (Gregorio il Teologo).
Dio assume tutto ciò che è nostro "essendo provato in ogni cosa, come noi,
eccetto il peccato" (Ebrei 4, 15), al fine di offrirci ogni cosa che è di Dio e
renderci dei per grazia. "Da ricco che era, si è fatto povero, perché noi
diventassimo ricchi" (2 Corinzi 8, 9), scrive l'apostolo Paolo, al quale questo
anno è giustamente dedicato. Questo è il Verbo di Dio: a Lui siano rese grazie e
gloria.
La parola di Dio riceve la sua piena incorporazione nella creazione e,
soprattutto, nel sacramento della Santissima Eucaristia. è qui che il Verbo
diviene carne e ci permette non soltanto di udirlo o vederlo, ma di toccarlo con
le nostre stesse mani, come dichiara san Giovanni (1 Giovanni 1, 1) e di farlo
parte del nostro stesso corpo e sangue (sússomoi kai súnaimoi), secondo le
parole di san Giovanni Crisostomo.
Nella Santa Eucaristia la Parola ascoltata è al tempo stesso veduta e condivisa
(koinonía). Non è un caso accidentale che nei primi documenti eucaristici, come
ad esempio l'Apocalisse e la Didaché, l'Eucaristia fosse associata con la
profezia, e i Vescovi che la presiedevano fossero visti come successori dei
profeti (ad esempio, nel Martirio di Policarpo). Già da san Paolo l'Eucaristia
(1 Corinzi 11) veniva descritta come "proclamazione" della morte di Cristo e
della sua Seconda Venuta. E poiché lo scopo della Scrittura è essenzialmente la
proclamazione del Regno e l'annuncio delle realtà escatologiche, l'Eucaristia è
un pregustamento del Regno, e in questo senso è la proclamazione del Verbo per
eccellenza. Nell'Eucaristia, Parola e Sacramento divengono un'unica realtà. La
parola cessa di essere "parole" e diviene una Persona, che incarna in se stessa
tutti gli esseri umani e l'intera creazione.
Dentro la vita della Chiesa, l'indicibile svuotamento di sé (kénosis) e la
generosa condivisione (koinonía) del Logos divino sono riflessi nelle vite dei
Santi quale esperienza tangibile ed espressione umana della Parola di Dio nella
nostra comunità. Così, la Parola di Dio diviene Corpo di Cristo, crocifisso e
glorificato allo stesso tempo. Ne risulta che i Santi hanno una relazione
organica con il cielo e la terra, con Dio e l'intera creazione. Nel
combattimento ascetico, il Santo riconcilia la Parola con il mondo. Attraverso
il pentimento e la purificazione, il Santo viene riempito – come insiste Abba
Isacco il Siro – di compassione per tutte le creature, cosa che è la suprema
umiltà e perfezione.
Questa è la ragione per cui il Santo ama con ardore e ampiezza non condizionati
ed irresistibili. Nei Santi conosciamo la Parola stessa di Dio, dato che – come
afferma san Gregorio Palamas – "Dio e i suoi Santi condividono la medesima
gloria e splendore". Nella presenza gentile di un Santo apprendiamo come
teologia e azione coincidano; nell'amore compassionevole del Santo,
sperimentiamo Dio come "Padre nostro" e la sua misericordia è "ferma ed eterna"
(cfr. Salmi 135, LXX). Il Santo è consumato dal fuoco dell'amore di Dio: questa
è la ragione per cui egli distribuisce grazia e non può tollerare la minima
manipolazione o sfruttamento sia nella società che nella natura. Il Santo fa
semplicemente ciò che è "appropriato e giusto" (Divina Liturgia di san Giovanni
Crisostomo), sempre dignificando l'umanità e onorando la creazione. "Le sue
parole hanno la forza delle azioni ed il suo silenzio la potenza di un discorso"
(sant'Ignazio di Antiochia).
Entro la comunione dei Santi, ciascuno di noi è chiamato a "diventare come
fuoco" (Detti dei Padri del Deserto), a toccare il mondo con la mistica forza
della Parola di Dio, cose che – quale esteso corpo di Cristo – anche il mondo
possa dire: "Qualcuno mi ha toccato" (cfr. Matteo 9, 20). Il male viene
sradicato soltanto dalla santità, non dalla durezza; la santità introduce nella
società un seme che guarisce e trasforma. Arricchiti della vita sacramentale e
della preghiera pura, siamo in grado di entrare nel mistero più recondito della
Parola di Dio. Avviene come per le placche tettoniche della crosta terrestre:
gli strati piu profondi devono spostarsi solo di pochi millimetri per scuotere
la superficie del mondo. E tuttavia, perché tale rivoluzione spirituale avvenga,
dobbiamo fare esperienza della metánoia radicale – una conversione dei
comportamenti, delle abitudini e della prassi – nei confronti dei modi con i
quali abbiamo travisato o mal usato la Parola di Dio, i doni di Dio e la
creazione di Dio.
Una simile conversione è, ovviamente, impossibile senza la grazia divina; non la
si può raggiungere semplicemente attraverso sforzi più grandi o forza di volontà
umana. "Per i mortali è impossibile, ma per Dio ogni cosa è possibile" (Matteo
19, 26). Il mutamento spirituale avviene quando i nostri corpi ed anime sono
innestati sulla vivente Parola di Dio, quando le nostre cellule contengono lo
scorrere del sangue vivificante che proviene dai Sacramenti; quando siamo aperti
a condividere ogni cosa con ogni persona. Come ci ricorda san Giovanni
Crisostomo, il sacramento del "nostro prossimo" non può essere isolato dal
sacramento "dell'altare". Purtroppo, abbiamo ignorato la vocazione a condividere
e il dovere che ne consegue. L'ingiustizia sociale e l'ineguaglianza, la povertà
globale e la guerra, l'inquinamento e il degrado ecologico derivano dalla nostra
incapacità o non volontà di condividere. Se affermiamo di possedere il
Sacramento dell'altare, non possiamo soprassedere o dimenticare il sacramento
del prossimo, condizione fondamentale per realizzare la Parola di Dio nel mondo,
entro la vita e la missione della Chiesa.
Carissimi Fratelli in Cristo,
abbiamo esplorato l'insegnamento patristico dei sensi spirituali, percependo la
potenza dell'ascoltare e del pronunciare la Parola di Dio nella Scrittura, del
vedere la Parola di Dio nelle icone e nella natura, come pure del toccare e
condividere la Parola di Dio nei Santi e nei Sacramenti. Orbene, per rimanere
fedeli alla vita e alla missione della Chiesa, dobbiamo essere personalmente
cambiati da questa Parola. La Chiesa deve apparire quale madre, sostenuta e
nutrita attraverso il cibo che essa mangia. Tutto ciò che non è cibo e non nutre
chiunque altro, non può sostenere neppure noi. Quando il mondo non condivide la
gioia della Risurrezione di Cristo, ciò diventa un atto d'accusa nei confronti
della nostra stessa integrità e del nostro impegno verso la vivente Parola di
Dio. Prima della celebrazione di ogni Divina Liturgia, i cristiani ortodossi
pregano che tale Parola sia "spezzata e consumata, distribuita e condivisa" in
comunione. E noi "sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché
amiamo i nostri fratelli" e sorelle (1 Giovanni, 3, 14).
La sfida che sta di fronte a noi è il discernimento della Parola di Dio nei
confronti del male, la trasfigurazione di ogni più piccolo dettaglio e frammento
di questo mondo alla luce della Risurrezione. La vittoria è già presente nelle
profondità della Chiesa, ogni volta che sperimentiamo la grazia della
riconciliazione e della comunione. Mentre combattiamo la nostra battaglia – in
noi stessi e nel mondo – per riconoscere la potenza della Croce, cominciamo ad
apprezzare come ogni atto di giustizia, ogni sprazzo di bellezza, ogni parola di
verità possano gradualmente raschiar via la crosta del male. Tuttavia, al di là
dei nostri fragili sforzi, abbiamo la rassicurazione dello Spirito, che "ci
sostiene nelle nostre debolezze" (Romani 8, 26) ed è al nostro fianco come
avvocato e "consolatore" (Giovanni 14, 6), penetrando tutte le cose e
"trasformandoci – come dice san Simeone il Nuovo Teologo – in ogni cosa che la
Parola di Dio afferma circa il Regno di Dio: perla, chicco di senape, lievito,
acqua, fuoco, pane, vita e mistica camera delle nozze". Tale è la potenza e la
grazia dello Spirito Santo che noi invochiamo, mentre concludiamo il nostro
intervento, estendendo a Vostra Santità la nostra gratitudine e a ciascuno di
voi qui presenti la nostra benedizione:
Re del cielo, Consolatore, Spirito di verità,
Presente ovunque per riempire ogni cosa;
Tesoro di bontà e datore di vita:
Vieni e dimora in noi.
Purificaci da ogni impurità;
Salva le nostre anime.
Poiché tu sei buono ed ami l'umanità.
Amen.
Il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I ha rivolto questo suo
discorso ai padri sinodali nel pomeriggio di sabato 18 ottobre 2008, nella
Cappella Sistina, al termine dei primi vespri della XXIX domenica del tempo
ordinario presieduti congiuntamente da Benedetto XVI e da lui, e dopo che
entrambi avevano impartito la benedizione, l'uno in latino e l'altro in greco.
Nel dare la parola al patriarca il papa si è così espresso:
"Signori cardinali, venerati fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, cari
fratelli e sorelle, con la celebrazione dei vespri ci siamo rivolti a Dio usando
le sue stesse parole: i salmi. La meditazione della Parola di Dio è luce che
guida i nostri passi. Abbiamo avuto la gioia di avere con noi in questa
circostanza di intenso raccoglimento il patriarca ecumenico, Sua Santità
Bartolomeo I, che saluto cordialmente anche a nome vostro. Vi invito ora ad
ascoltare le riflessioni che egli ci presenterà sul tema della Parola di Dio,
argomento del sinodo dei vescovi che si sta celebrando in questi giorni in
Vaticano.
Bartolomeo I ha tenuto il suo discorso in lingua inglese. Al termine, Benedetto
XVI lo ha così ringraziato:
"Santità, con tutto il cuore vorrei dire 'grazie' a Lei per queste sue parole.
L'applauso dei Padri era molto più che espressione di cortesia, era veramente
espressione di una profonda gioia spirituale e di una esperienza viva della
nostra comunione. In questo momento abbiamo realmente vissuto il 'sinodo': siamo
stati 'insieme in cammino' nella terra della Parola divina sotto la guida di
Vostra Santità e ne abbiamo gustato la bellezza, con la grande gioia di essere
ascoltatori della Parola di Dio, di essere posti a confronto con questo dono
della sua Parola.
"Quanto Lei ha detto era profondamente nutrito dello spirito dei Padri, della
Sacra Liturgia e proprio per questo anche fortemente contestualizzato nel nostro
tempo, con un grande realismo cristiano che ce ne fa vedere le sfide. Abbiamo
visto che andare al cuore della Sacra Scrittura, incontrare realmente la Parola
nelle parole, penetrare nella Parola di Dio apre anche gli occhi per il nostro
mondo, per la realtà di oggi.
"E questa era anche un'esperienza gioiosa, un'esperienza di unità forse non
perfetta, ma vera e profonda. Ho pensato: i vostri Padri, che Ella ha citato
ampiamente, sono anche i nostri Padri, e i nostri sono anche i vostri: se
abbiamo Padri comuni, come potremmo non essere fratelli tra noi? Grazie,
Santità. Le sue parole ci accompagneranno nel lavoro della prossima settimana,
ci illumineranno e saremo anche nella prossima settimana – e oltre – in cammino
comune con Lei.
Grazie, Santità".
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