Santità, Padri Sinodali, è al contempo
motivo di disagio e di ispirazione essere
cortesemente invitato da Vostra Santità a
rivolgermi alla XII Assemblea Generale
Ordinaria di questo ben augurante Sinodo dei
Vescovi, storico incontro dei Vescovi della
Chiesa Cattolica da ogni parte del mondo,
riuniti in un unico luogo per meditare su
"la Parola di Dio" e deliberare
sull'esperienza e sull'espressione di tale
Parola "nella vita e nella missione della
Chiesa".
Il gentile invito di Vostra Santità alla
nostra modesta persona è un gesto colmo di
contenuto e di significato – abbiamo
l'ardire di considerarlo come evento storico
in se stesso. Si tratta della prima volta
nella storia che ad un Patriarca Ecumenico è
offerta l'opportunità di rivolgersi ad un
Sinodo dei Vescovi della Chiesa Cattolica, e
così esser parte a così alto livello della
vita di questa Chiesa sorella. Consideriamo
questo come una manifestazione dello Spirito
Santo che guida le nostre Chiese ad una
relazione sempre più stretta e profonda fra
noi, un passo importante per la
restaurazione della nostra piena comunione.
È ben noto come la Chiesa Ortodossa
attribuisca al sistema sinodale
un'importanza ecclesiologica fondamentale.
Insieme con il primato, la sinodalità
costituisce la spina dorsale del governo e
dell'organizzazione della Chiesa. Come la
nostra
Commissione Internazionale Congiunta
sul Dialogo Teologico fra le nostre Chiese
lo ha espresso nel
documento di Ravenna,
tale interdipendenza fra sinodalità e
primato percorre tutti i livelli della vita
della Chiesa: locale, regionale ed
universale. Avendo, pertanto, oggi il
privilegio di rivolgerci al Vostro Sinodo,
aumentano le nostre speranze che arriverà il
giorno in cui le nostre due Chiese
convergeranno pienamente sul ruolo del
primato e della sinodalità nella vita della
Chiesa, argomento al quale la nostra comune
Commissione Teologica attualmente dedica il
proprio studio.
Il tema che affronta questo Sinodo
episcopale è di significato cruciale non
soltanto per la Chiesa Cattolica, ma anche
per tutti quelli che sono chiamati a dar
testimonianza di Cristo nel nostro tempo. La
missione e l'evangelizzazione restano un
obbligo permanente della Chiesa in tutti i
tempi ed in ogni luogo. Di più: esse sono
parte della natura stessa della Chiesa, dato
che essa è chiamata "Apostolica" sia nel
senso della sua fedeltà all'insegnamento
originale degli Apostoli, sia in quello di
proclamare la Parola di Dio in ogni contesto
culturale e in ogni tempo. La Chiesa ha
bisogno, pertanto, di riscoprire la Parola
di Dio in ogni generazione e porla a guida
con rinnovato vigore e capacità persuasiva
anche nel nostro mondo contemporaneo, il
quale, nelle sue più intime profondità, ha
sete del messaggio di Dio, messaggio di
pace, speranza e carità.
Questo compito di evangelizzare avrebbe
potuto essere grandemente favorito e
rafforzato, è ovvio, se tutti i cristiani
fossero stati in grado di realizzarlo ad una
sola voce e come Chiesa pienamente unita.
Nella sua preghiera al Padre, poco prima
della propria Passione, nostro Signore ha
messo in chiaro che l'unità della Chiesa è
inscindibilmente correlata con la sua
missione "affinché il mondo creda" (Giovanni
17, 21). È pertanto quanto mai appropriato
che questo Sinodo abbia aperto le proprie
porte ai delegati ecumenici fraterni, così
che tutti diventiamo coscienti del nostro
comune dovere dell'evangelizzazione, come
pure delle difficoltà e dei problemi della
sua realizzazione nel mondo odierno.
Questo Sinodo, indubbiamente, si è dedicato
a studiate il soggetto "Parola di Dio" in
profondità ed in tutti i suoi aspetti, sia
teologici che pratici e pastorali. Nel
nostro umile intervento di fronte a voi ci
limiteremo a condividere con voi alcuni
pensieri sul tema della vostra assemblea,
deducendoli dal modo in cui la tradizione
ortodossa lo ha affrontato attraverso i
secoli e, in particolare, nell'insegnamento
patristico greco.
Più concretamente, vorremmo concentrarci su
tre aspetti dell'argomento, e precisamente:
sull'ascoltare e proclamare la Parola di Dio
attraverso le Sacre Scritture; sul vedere la
Parola di Dio nella natura e, soprattutto,
nella bellezza delle icone; e, da ultimo,
sul toccare e condividere la Parola di Dio
nella comunione dei Santi e nella vita
sacramentale della Chiesa. Infatti, noi
riteniamo che questi aspetti siano cruciali
nella vita e nella missione della Chiesa.
Nel far questo, cercheremo di attingere alla
ricca tradizione patristica, che risale
all'inizio del terzo secolo ed espone una
dottrina dei cinque sensi spirituali, dato
che ascoltare la Parola di Dio, scrutarla e
toccarla sono tutte vie spirituali per
percepire l'unico mistero divino. Basandosi
su Proverbi 2, 5 circa "la facoltà divina di
percezione (áisthesis)", Origene di
Alessandria afferma: "Tale senso si snoda
come vista per contemplare le forme
immateriali, ascolto per discernere le voci,
gusto per assaporare il pane vivo, profumo
per la dolce fragranza spirituale, e tatto
per maneggiare la Parola di Dio, che è
afferrata mediante ogni facoltà dell'anima".
Questi sensi spirituali vengono in vario
modo descritti come "i cinque sensi
dell'anima", come "divine" o "intime
facoltà", e addirittura come "facoltà del
cuore" o della "mente". Questa dottrina ha
ispirato la teologia dei Cappadoci
(specialmente di Basilio Magno e Gregorio di
Nissa), come quella dei Padri del Deserto
(in modo speciale di Evagrio Pontico e
Macario il Grande).
1. Udire e proclamare la Parola attraverso
le Scritture
In ogni celebrazione della Divina Liturgia
di san Giovanni Crisostomo, il celebrante
che presiede l'Eucaristia implora affinché
"siamo resi degni di ascoltare il Santo
Vangelo", poiché "ascoltare, vedere, toccare
con le nostre mani il Verbo della vita"
(cfr. 1 Giovanni 1, 1) non è prima e
anzitutto nostro diritto nativo e fontale
come esseri umani; è piuttosto nostro
privilegio e dono come figli del Dio
vivente. La Chiesa cristiana è, al di sopra
di tutto, una Chiesa scritturistica. Anche
se i metodi interpretativi possono aver
variato da Padre della Chiesa a Padre della
Chiesa, da "scuola" a "scuola", e dall'est
all'ovest, tuttavia la Scrittura è sempre
stata recepita come una realtà viva e non
come un libro morto.
Nel contesto di una fede viva, pertanto, la
Scrittura è la testimonianza vivente di una
storia vissuta circa il rapporto di un Dio
vivo con un popolo vivo. La Parola "che ha
parlato mediante i Profeti" (Credo
Niceno-Costantinopolitano), ha parlato per
essere udita e produrre effetto, è
primariamente una comunicazione orale e
diretta rivolta a destinatari umani. Il
testo scritturistico è perciò derivato e
secondario, poiché il testo scritturistico
serve sempre la parola parlata; non viene
trasmesso meccanicamente, ma comunicato di
generazione in generazione come una parola
vivente. Mediante il Profeta Isaia, il
Signore promette: "Come la pioggia e la neve
scendono dal cielo per irrigare la terra...
così sarà della parola uscita dalla mia
bocca: non ritornerà a me senza effetto,
senza aver compiuto ciò per cui l'ho
mandata" (cfr. 55, 10-11).
Di più: come spiega san Giovanni Crisostomo,
la Parola divina manifesta profonda
condiscendenza (sunkatábasis) per la
diversità personale e per i contesti
culturali di quanti l'odono e la ricevono.
L'adattamento della Parola divina alla
specifica disponibilità personale ed al
contesto culturale particolare definisce la
dimensione missionaria della Chiesa,
chiamata a trasformare il mondo attraverso
la Parola. Nel silenzio o nella
proclamazione, nella preghiera o
nell'azione, la Parola divina si rivolge al
mondo intero, "ammaestrando tutte le
nazioni" (Matteo 28, 19) senza alcun
privilegio o pregiudizio nei confronti della
razza, della cultura, del sesso o della
classe. Quando obbediamo a questo divino
comando, siamo rassicurati: "Ecco, io sono
con voi tutti i giorni" (Matteo 28, 20).
Siamo chiamati ad annunciare la Parola
divina in tutte le lingue "facendoci tutto a
tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno"
(cfr. 1 Corinzi 9, 22).
Quali discepoli della Parola di Dio, dunque
è oggi più doveroso che mai che noi offriamo
una prospettiva unica – al di là del
sociale, del politico o dell'economico –
circa la necessità di sradicare la povertà,
di offrire equilibrio in un mondo
globalizzato, di combattere il
fondamentalismo o il razzismo, di sviluppare
la tolleranza religiosa in un mondo di
conflitti. Nel dar risposta alle necessità
dei poveri del mondo, a quanti sono
vulnerabili ed emarginati, la Chiesa può
dimostrarsi un baluardo che definisce lo
spazio e il carattere della comunità
globale. Se da un lato il linguaggio
teologico della religione e della
spiritualità differisce dal vocabolario
tecnico dell'economia e della politica,
dall'altro le barriere che di primo acchito
sembrano separare le preoccupazioni
religiose (come, ad esempio, il peccato, la
salvezza e la spiritualità) dagli interessi
pratici (quali la contrattazione, lo scambio
di merci e la politica) non sono
impenetrabili, e crollano di fronte alle
molteplici sfide della giustizia sociale e
della globalizzazione.
Sia che si tratti di ambiente o di pace, di
povertà o di fame, di educazione o di
sanità, vi è oggi un accresciuto senso del
comune coinvolgimento e della comune
responsabilità, che viene percepita in
maniera particolarmente acuta dalle persone
di fede, ma anche da quanti hanno una
prospettiva manifestamente secolare. Il
nostro impegno in simili ambiti ovviamente
non minaccia in alcuna maniera né abolisce
le differenze fra le diverse discipline né
le discordanze nei confronti di quanti
guardano al mondo in modi differenti. E
tuttavia i segni crescenti di un comune
impegno per il benessere dell'umanità e
della vita del mondo sono incoraggianti: è
un incontro tra singoli ed istituzioni che
promette bene per il mondo. Ed è un impegno
che pone in risalto la suprema vocazione e
missione dei discepoli e di quanti
aderiscono alla Parola di Dio per
trascendere le differenze politiche o
religiose, al fine di trasformare l'intero
mondo visibile a gloria dell'invisibile Dio.
2. Vedere la Parola di Dio. La bellezza
delle icone e della natura
In nessun altro luogo l'invisibile viene
reso piu visibile che nella bellezza
dell'iconografia e nella meraviglia del
creato. Nelle parole di quel campione delle
sacre immagini che fu san Giovanni
Damasceno: "Quale creatore del cielo e della
terra, Dio Verbo fu Lui stesso a dipingere e
a raffigurare icone". Ogni tratto del
pennello dell'iconografo – al pari di ogni
parola di una definizione teologica, di ogni
nota musicale cantata nella salmodia e di
ogni pietra scolpita in una piccola cappella
o in una magnifica cattedrale – articola il
Verbo divino nella creazione, la quale rende
lode a Dio in ogni essere vivente ed in ogni
vivente realtà (cfr. Salmi 150, 6).
Nell'affermare la liceità delle sacre
immagini, il settimo Concilio Ecumenico di
Nicea non si preoccupò dell'arte religiosa;
era la continuazione e la conferma di
definizioni precedenti riguardanti la
pienezza dell'umanità del Verbo di Dio. Le
icone sono un ricordo visibile della nostra
vocazione celeste; sono un invito ad
innalzarci al di sopra delle nostre
preoccupazioni meschine e dei servili modi
riduttivi del mondo. Ci incoraggiano a
ricercare lo straordinario proprio
nell'ordinario, ad essere ripieni della
medesima meraviglia che caratterizzò il
divino stupore nella Genesi: "Dio vide
quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto
buona" (Genesi 1, 30-31). La parola greca
(dei LXX) per "bontà", è "kállos", che
implica – etimologicamente e simbolicamente
– un senso di "chiamare". Le icone
sottolineano che la missione fondamentale
della Chiesa è di riconoscere che ogni
persona ed ogni cosa sono create e chiamate
ad essere "buone" e "belle".
Certamente le icone ci ricordano un altro
modo di vedere le cose, un'altra maniera di
far esperienza della realtà, un altro modo
di risolvere i conflitti. Siamo chiamati ad
assumere ciò che l'innologia della domenica
di Pasqua chiama "un altro modo di vivere".
Ci siamo infatti comportati in maniera
arrogante e sconsiderata verso la creazione
naturale. Ci siamo rifiutati di obbedire
alla Parola di Dio negli oceani del pianeta,
negli alberi dei continenti, e negli animali
della terra. Abbiamo rinnegato la nostra
stessa natura, che ci invita a chinarci
sufficientemente in basso per udire la
Parola di Dio nella creazione, se vogliamo
"divenire partecipi della natura divina" (2
Pietro 1, 4). Come possiamo ignorare le piu
vaste implicazioni del Verbo divino che ha
assunto la carne? Perché non siamo in grado
di percepire la natura creata quale
estensione del corpo di Cristo?
I teologi dell'Oriente cristiano hanno
sempre sottolineato le proporzioni cosmiche
dell'incarnazione divina. Il Verbo incarnato
è intrinseco alla creazione, che è venuta
all'esistenza attraverso un divino
pronunciamento. San Massimo il Confessore
insiste sulla presenza della Parola divina
in ogni cosa (cfr. Colossesi 3, 11); il
Logos divino è al centro del mondo,
rivelando in modo misterioso il suo
originale principio e ultimo scopo (cfr. 1
Pietro 1, 20). Tale mistero viene descritto
da sant'Atanasio di Alessandria: "Come Verbo
– scrive – Egli non è contenuto da nulla e,
tuttavia, contiene tutto. È in tutto e,
tuttavia, al di fuori di tutto... il
Primogenito del mondo intero in ogni suo
aspetto".
L'intero mondo è un prologo al Vangelo di
Giovanni e quando la Chiesa è incapace di
riconoscere le dimensioni più ampie,
cosmiche della Parola di Dio, restringendo
le proprie preoccupazioni ad argomenti
puramente spirituali, trascura la propria
missione di implorare Dio per la
trasformazione – sempre e dovunque, "in ogni
luogo del dominio del Signore – dell'intero
cosmo inquinato. Non è da meravigliarsi,
quindi, che nella domenica di Pasqua, quando
la celebrazione pasquale raggiunge il suo
culmine, i cristiani ortodossi cantino: "Ora
tutto è riempito di luce divina: cielo e
terra, ed ogni cosa sotto terra. Si
rallegri, pertanto, l'intera creazione".
Ogni genuina "ecologia profonda" è pertanto
collegata intrinsecamente con la teologia
profonda: "Anche una pietra – scrive Basilio
Magno – reca in sé il marchio della Parola
di Dio. Ciò vale per una formica, un'ape ed
una mosca, le più piccole fra le creature.
Perché Egli apre gli ampi cieli e stese
l'immenso mare, ed Egli creò la piccola
custodia del pungiglione dell'ape".
Ricordare la nostra piccolezza nell'ampia e
splendida creazione di Dio sottolinea
semplicemente il nostro ruolo centrale nel
piano di Dio per la salvezza del mondo
intero.
3. Toccare e condividere la Parola di Dio.
La comunione dei Santi e i Sacramenti della
vita.
La Parola di Dio costantemente "esce fuori
di Se stessa in estasi" (Dionigi Aeropagita),
cercando in maniera appassionata di
"dimorare in noi" (Giovanni 1, 14), perché
il mondo abbia la vita in abbondanza
(Giovanni 10, 10). La compassionevole
misericordia di Dio viene riversata e
condivisa "affinché vengano moltiplicati gli
oggetti della Sua beneficenza" (Gregorio il
Teologo). Dio assume tutto ciò che è nostro
"essendo provato in ogni cosa, come noi,
eccetto il peccato" (Ebrei 4, 15), al fine
di offrirci ogni cosa che è di Dio e
renderci dei per grazia. "Da ricco che era,
si è fatto povero, perché noi diventassimo
ricchi" (2 Corinzi 8, 9), scrive l'apostolo
Paolo, al quale questo anno è giustamente
dedicato. Questo è il Verbo di Dio: a Lui
siano rese grazie e gloria.
La parola di Dio riceve la sua piena
incorporazione nella creazione e,
soprattutto, nel sacramento della Santissima
Eucaristia. è qui che il Verbo diviene carne
e ci permette non soltanto di udirlo o
vederlo, ma di toccarlo con le nostre stesse
mani, come dichiara san Giovanni (1 Giovanni
1, 1) e di farlo parte del nostro stesso
corpo e sangue (sússomoi kai súnaimoi),
secondo le parole di san Giovanni Crisostomo.
Nella Santa Eucaristia la Parola ascoltata è
al tempo stesso veduta e condivisa (koinonía).
Non è un caso accidentale che nei primi
documenti eucaristici, come ad esempio
l'Apocalisse e la Didaché, l'Eucaristia
fosse associata con la profezia, e i Vescovi
che la presiedevano fossero visti come
successori dei profeti (ad esempio, nel
Martirio di Policarpo). Già da san Paolo
l'Eucaristia (1 Corinzi 11) veniva descritta
come "proclamazione" della morte di Cristo e
della sua Seconda Venuta. E poiché lo scopo
della Scrittura è essenzialmente la
proclamazione del Regno e l'annuncio delle
realtà escatologiche, l'Eucaristia è un
pregustamento del Regno, e in questo senso è
la proclamazione del Verbo per eccellenza.
Nell'Eucaristia, Parola e Sacramento
divengono un'unica realtà. La parola cessa
di essere "parole" e diviene una Persona,
che incarna in se stessa tutti gli esseri
umani e l'intera creazione.
Dentro la vita della Chiesa, l'indicibile
svuotamento di sé (kénosis) e la generosa
condivisione (koinonía) del Logos divino
sono riflessi nelle vite dei Santi quale
esperienza tangibile ed espressione umana
della Parola di Dio nella nostra comunità.
Così, la Parola di Dio diviene Corpo di
Cristo, crocifisso e glorificato allo stesso
tempo. Ne risulta che i Santi hanno una
relazione organica con il cielo e la terra,
con Dio e l'intera creazione. Nel
combattimento ascetico, il Santo riconcilia
la Parola con il mondo. Attraverso il
pentimento e la purificazione, il Santo
viene riempito – come insiste Abba Isacco il
Siro – di compassione per tutte le creature,
cosa che è la suprema umiltà e perfezione.
Questa è la ragione per cui il Santo ama con
ardore e ampiezza non condizionati ed
irresistibili. Nei Santi conosciamo la
Parola stessa di Dio, dato che – come
afferma san Gregorio Palamas – "Dio e i suoi
Santi condividono la medesima gloria e
splendore". Nella presenza gentile di un
Santo apprendiamo come teologia e azione
coincidano; nell'amore compassionevole del
Santo, sperimentiamo Dio come "Padre nostro"
e la sua misericordia è "ferma ed eterna"
(cfr. Salmi 135, LXX). Il Santo è consumato
dal fuoco dell'amore di Dio: questa è la
ragione per cui egli distribuisce grazia e
non può tollerare la minima manipolazione o
sfruttamento sia nella società che nella
natura. Il Santo fa semplicemente ciò che è
"appropriato e giusto" (Divina Liturgia di
san Giovanni Crisostomo), sempre
dignificando l'umanità e onorando la
creazione. "Le sue parole hanno la forza
delle azioni ed il suo silenzio la potenza
di un discorso" (sant'Ignazio di Antiochia).
Entro la comunione dei Santi, ciascuno di
noi è chiamato a "diventare come fuoco"
(Detti dei Padri del Deserto), a toccare il
mondo con la mistica forza della Parola di
Dio, cose che – quale esteso corpo di Cristo
– anche il mondo possa dire: "Qualcuno mi ha
toccato" (cfr. Matteo 9, 20). Il male viene
sradicato soltanto dalla santità, non dalla
durezza; la santità introduce nella società
un seme che guarisce e trasforma. Arricchiti
della vita sacramentale e della preghiera
pura, siamo in grado di entrare nel mistero
più recondito della Parola di Dio. Avviene
come per le placche tettoniche della crosta
terrestre: gli strati piu profondi devono
spostarsi solo di pochi millimetri per
scuotere la superficie del mondo. E
tuttavia, perché tale rivoluzione spirituale
avvenga, dobbiamo fare esperienza della
metánoia radicale – una conversione dei
comportamenti, delle abitudini e della
prassi – nei confronti dei modi con i quali
abbiamo travisato o mal usato la Parola di
Dio, i doni di Dio e la creazione di Dio.
Una simile conversione è, ovviamente,
impossibile senza la grazia divina; non la
si può raggiungere semplicemente attraverso
sforzi più grandi o forza di volontà umana.
"Per i mortali è impossibile, ma per Dio
ogni cosa è possibile" (Matteo 19, 26). Il
mutamento spirituale avviene quando i nostri
corpi ed anime sono innestati sulla vivente
Parola di Dio, quando le nostre cellule
contengono lo scorrere del sangue
vivificante che proviene dai Sacramenti;
quando siamo aperti a condividere ogni cosa
con ogni persona. Come ci ricorda san
Giovanni Crisostomo, il sacramento del
"nostro prossimo" non può essere isolato dal
sacramento "dell'altare". Purtroppo, abbiamo
ignorato la vocazione a condividere e il
dovere che ne consegue. L'ingiustizia
sociale e l'ineguaglianza, la povertà
globale e la guerra, l'inquinamento e il
degrado ecologico derivano dalla nostra
incapacità o non volontà di condividere. Se
affermiamo di possedere il Sacramento
dell'altare, non possiamo soprassedere o
dimenticare il sacramento del prossimo,
condizione fondamentale per realizzare la
Parola di Dio nel mondo, entro la vita e la
missione della Chiesa.
Carissimi Fratelli in Cristo,
abbiamo esplorato l'insegnamento patristico
dei sensi spirituali, percependo la potenza
dell'ascoltare e del pronunciare la Parola
di Dio nella Scrittura, del vedere la Parola
di Dio nelle icone e nella natura, come pure
del toccare e condividere la Parola di Dio
nei Santi e nei Sacramenti. Orbene, per
rimanere fedeli alla vita e alla missione
della Chiesa, dobbiamo essere personalmente
cambiati da questa Parola. La Chiesa deve
apparire quale madre, sostenuta e nutrita
attraverso il cibo che essa mangia. Tutto
ciò che non è cibo e non nutre chiunque
altro, non può sostenere neppure noi. Quando
il mondo non condivide la gioia della
Risurrezione di Cristo, ciò diventa un atto
d'accusa nei confronti della nostra stessa
integrità e del nostro impegno verso la
vivente Parola di Dio. Prima della
celebrazione di ogni Divina Liturgia, i
cristiani ortodossi pregano che tale Parola
sia "spezzata e consumata, distribuita e
condivisa" in comunione. E noi "sappiamo che
siamo passati dalla morte alla vita, perché
amiamo i nostri fratelli" e sorelle (1
Giovanni, 3, 14).
La sfida che sta di fronte a noi è il
discernimento della Parola di Dio nei
confronti del male, la trasfigurazione di
ogni più piccolo dettaglio e frammento di
questo mondo alla luce della Risurrezione.
La vittoria è già presente nelle profondità
della Chiesa, ogni volta che sperimentiamo
la grazia della riconciliazione e della
comunione. Mentre combattiamo la nostra
battaglia – in noi stessi e nel mondo – per
riconoscere la potenza della Croce,
cominciamo ad apprezzare come ogni atto di
giustizia, ogni sprazzo di bellezza, ogni
parola di verità possano gradualmente
raschiar via la crosta del male. Tuttavia,
al di là dei nostri fragili sforzi, abbiamo
la rassicurazione dello Spirito, che "ci
sostiene nelle nostre debolezze" (Romani 8,
26) ed è al nostro fianco come avvocato e
"consolatore" (Giovanni 14, 6), penetrando
tutte le cose e "trasformandoci – come dice
san Simeone il Nuovo Teologo – in ogni cosa
che la Parola di Dio afferma circa il Regno
di Dio: perla, chicco di senape, lievito,
acqua, fuoco, pane, vita e mistica camera
delle nozze". Tale è la potenza e la grazia
dello Spirito Santo che noi invochiamo,
mentre concludiamo il nostro intervento,
estendendo a Vostra Santità la nostra
gratitudine e a ciascuno di voi qui presenti
la nostra benedizione:
Re del cielo, Consolatore, Spirito di
verità,
Presente ovunque per riempire ogni cosa;
Tesoro di bontà e datore di vita:
Vieni e dimora in noi.
Purificaci da ogni impurità;
Salva le nostre anime.
Poiché tu sei buono ed ami l'umanità.
Amen.
Il patriarca
ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I ha rivolto questo suo discorso ai padri
sinodali nel pomeriggio di sabato 18 ottobre 2008, nella Cappella Sistina, al
termine dei primi vespri della XXIX domenica del tempo ordinario presieduti
congiuntamente da Benedetto XVI e da lui, e dopo che entrambi avevano impartito
la benedizione, l'uno in latino e l'altro in greco.
Nel dare la parola al patriarca il papa si è così espresso:
"Signori cardinali, venerati fratelli nell'episcopato e nel sacerdozio, cari
fratelli e sorelle, con la celebrazione dei vespri ci siamo rivolti a Dio usando
le sue stesse parole: i salmi. La meditazione della Parola di Dio è luce che
guida i nostri passi. Abbiamo avuto la gioia di avere con noi in questa
circostanza di intenso raccoglimento il patriarca ecumenico, Sua Santità
Bartolomeo I, che saluto cordialmente anche a nome vostro. Vi invito ora ad
ascoltare le riflessioni che egli ci presenterà sul tema della Parola di Dio,
argomento del sinodo dei vescovi che si sta celebrando in questi giorni in
Vaticano.
Bartolomeo I ha tenuto il suo discorso in lingua inglese. Al termine, Benedetto
XVI lo ha così ringraziato:
"Santità, con tutto il cuore vorrei dire 'grazie' a Lei per queste sue parole.
L'applauso dei Padri era molto più che espressione di cortesia, era veramente
espressione di una profonda gioia spirituale e di una esperienza viva della
nostra comunione. In questo momento abbiamo realmente vissuto il 'sinodo': siamo
stati 'insieme in cammino' nella terra della Parola divina sotto la guida di
Vostra Santità e ne abbiamo gustato la bellezza, con la grande gioia di essere
ascoltatori della Parola di Dio, di essere posti a confronto con questo dono
della sua Parola.
"Quanto Lei ha detto era profondamente nutrito dello spirito dei Padri, della
Sacra Liturgia e proprio per questo anche fortemente contestualizzato nel nostro
tempo, con un grande realismo cristiano che ce ne fa vedere le sfide. Abbiamo
visto che andare al cuore della Sacra Scrittura, incontrare realmente la Parola
nelle parole, penetrare nella Parola di Dio apre anche gli occhi per il nostro
mondo, per la realtà di oggi.
"E questa era anche un'esperienza gioiosa, un'esperienza di unità forse non
perfetta, ma vera e profonda. Ho pensato: i vostri Padri, che Ella ha citato
ampiamente, sono anche i nostri Padri, e i nostri sono anche i vostri: se
abbiamo Padri comuni, come potremmo non essere fratelli tra noi? Grazie,
Santità. Le sue parole ci accompagneranno nel lavoro della prossima settimana,
ci illumineranno e saremo anche nella prossima settimana – e oltre – in cammino
comune con Lei.
Grazie, Santità".