Un
Continente che non vuol restare l’«eterna speranza» della Chiesa.
E per risolvere le sue contraddizioni vuole ripartire
dall’evangelizzazione (nell’era delle sette) e dalla promozione
umana (tra i dimenticati del mondo). Benedetto XVI ha incontrato ieri
in Vaticano la presidenza del Celam, l'organismo che riunisce le
Conferenze episcopali della regione. Già indetta per inizio 2007 la
quinta assemblea
Grande,
tormentata, vitale. Ricca di ambizioni e di attese, ma pressata da
problemi e contraddizioni infinite. Forse perfino stanca
dell'appellativo Continente della speranza che, cinquecento
anni dopo il primo riconoscimento sulle carte geografiche, sembra
volerla consegnare ab aeternum al ruolo di promessa non
mantenuta. Eppure, di cammino, l'America Latina ne ha compiuto. E
tanto. Cammino in cui la Chiesa ha avuto ruolo e peso determinanti. Ne
avrà certamente parlato ieri Benedetto XVI con la delegazione del
Celam, l'organismo che raduna le Conferenze episcopali
latinoamericane, ricevuta in udienza con il suo presidente, il
cardinale arcivescovo di Santiago del Cile Francisco Javier Errázuriz
Ossa.
Un incontro con un importante appuntamento già sullo sfondo: la
quinta assemblea generale del Celam che Giovanni Paolo II aveva
convocato per il febbraio 2007.
Un'occasione, dunque, per fare il
punto sulle luci e sulle ombre di questa area del mondo. «Credo che
il nostro continente - commenta il cardinale Claudio Hummes,
arcivescovo di San Paolo del Brasile - sia l'esempio che il
secolarismo non necessariamente è l'elemento predominante in una
società che si modernizza. L'America Latina si sta modernizzando, ma
non ha perso la religione e la pratica della religione. E questa è
una testimonianza importante, la prova che non bisogna desistere dal
risollevare le sorti della religione nei Paesi ricchi e
scristianizzati, perché la religiosità non si perde a causa della
modernità». Per questo, aggiunge, «c'è bisogno di dare molta
attenzione all'America Latina, che in questo momento è abbastanza
dimenticata».
Parole «pesanti», quelle di Hummes. Esagerate?
Davvero non sembra. Per almeno tre decenni, dagli anni Sessanta in
avanti, al Continente latinoamericano s'è guardato come a una sorta
di gigantesco laboratorio politico, sociale, religioso. Poi, col
crollo del muro, anche l'interesse è crollato. Ma sono rimasti i
problemi. Quelli vecchi: « Siamo passati dalle dittature militari
molto repressive a una democrazia che potremmo chiamare
"formale" - spiega il cardinale cardinale Nicolas de Jesus
Lopez Rodriguez, arcivescovo di Santo Domingo -.
Quel che si
percepisce oggi in America Latina è proprio il fatto che l'aver
conquistato la democrazia non ha significato necessariamente il
risanamento della vita politica. Abbiamo ottenuto la libertà, ma
quella libertà e quella democrazia non sono state tradotte in fatti
concreti, per esempio, sotto l'aspetto dell'equità distributiva».
E
problemi nuovi: «Abbiamo perso un decennio (gli anni Novanta, ndr)
e il problema del debito estero è esploso - rileva il cardinale Jaime
Lucas Ortega Y Alamino, arcivescovo dell'Avana -. E si vorrebbe che la
Chiesa accettasse le campagne demografiche presentate come risposta a
questo problema. Nella nostra America, a volte, si parla del grande
scandalo della conquista spagnola, che fece diminuire il numero degli
abitanti del continente, ma non arrivò ad annientarli. Oggi invece si
pretende di applicare delle politiche apparentemente molto moderne, ma
che invece sono realmente lesive della dignità dei popoli».
Per la
Chiesa, così, a quasi quarant'anni dalla Conferenza di Medellin «evangelizzazione»
e «promozione umana» restano le due piste irrinunciabili da battere.
E lo restano tanto più oggi, sotto la spinta sempre più forte da un
lato delle sette e, dall'altro, di una globalizzazione che allarga il
solco tra ricchezza di pochi e indigenza di molti.
Riproponendo la
scelta preferenziale per i poveri come bandiera dell'impegno della
Chiesa: «Le sette non sono che un'espressione del nostro tempo -
osserva il cardinale brasiliano Serafim Fernandes de Araujo,
arcivescovo di Belo Horizonte -. Il mondo ha fatto in modo che ognuno
creasse la propria religione. E questo fatto rende deboli tutte le
religioni.
Quindi l'attenzione deve essere spostata dai numeri alla
coscienza». Perché «il problema fondamentale - insiste Lopez Rodriguez - è di ordine morale, con tutte le sue proiezioni nel campo
familiare, economico, internazionale. Io penso che la grande sfida con
la quale avrà a che fare la Chiesa nel prossimo millennio sarà di
presentare con molta chiarezza e coerenza il messaggio del Vangelo».
Con chiarezza, senza nostalgie. Senza rinnegare il passato ma, anche,
senza ripercorrerne le derive: «La teologia della liberazione -
ricorda ancora Hummes - è stata uno degli ingredienti che
costituiscono il modo di essere della Chiesa rispetto alla povertà,
un modo di agire. In questo senso ha contribuito a definire le modalità
con cui la Chiesa ha agito, in termini di solidarietà verso i poveri.
Di questo c'era bisogno. Credo, come disse Papa Wojtyla nel momento di
critica più forte di quella corrente contro la Chiesa, che "è
necessaria una vera teologia della liberazione". Ciò che si
criticava in essa era l'aver adottato la dottrina marxista che
includeva una proposta rivoluzionaria, probabilmente violenta».
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[Fonte: Avvenire del 29 aprile 2005]