Siamo raccolti presso la tomba dell’Apostolo, il cui
sarcofago, conservato sotto l’altare papale, è stato
fatto recentemente oggetto di un’attenta analisi
scientifica: nel sarcofago, che non è stato mai
aperto in tanti secoli, è stata praticata una
piccolissima perforazione per introdurre una
speciale sonda, mediante la quale sono state
rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino
colorato di porpora, laminato con oro zecchino e di
un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino.
E’ stata anche rilevata la presenza di grani
d’incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree.
Inoltre, piccolissimi frammenti ossei, sottoposti
all’esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari
della loro provenienza, sono risultati appartenere a
persona vissuta tra il I e il II secolo. Ciò sembra
confermare l’unanime e incontrastata tradizione che
si tratti dei resti mortali dell’apostolo Paolo.
Tutto questo riempie il nostro animo di profonda
emozione.
Molte persone hanno, durante questi mesi, seguito le
vie dell’Apostolo – quelle esteriori e più ancora
quelle interiori, che egli ha percorso durante la
sua vita: la via di Damasco verso l’incontro con il
Risorto; le vie nel mondo mediterraneo, che egli ha
attraversato con la fiaccola del Vangelo,
incontrando contraddizione e adesione, fino al
martirio, per il quale appartiene per sempre alla
Chiesa di Roma. Ad essa ha indirizzato anche la sua
Lettera più grande ed importante.
L’Anno Paolino si conclude, ma essere in cammino
insieme con Paolo, con lui e grazie a lui venir a
conoscenza di Gesù e, come lui, essere illuminati e
trasformati dal Vangelo – questo farà sempre parte
dell’esistenza cristiana. E sempre, andando oltre
l’ambiente dei credenti, egli rimane il “maestro
delle genti”, che vuol portare il messaggio del
Risorto a tutti gli uomini, perché Cristo li ha
conosciuti ed amati tutti; è morto e risorto per
tutti loro. Vogliamo quindi ascoltarlo anche in
questa ora in cui iniziamo solennemente la festa dei
due Apostoli uniti fra loro da uno stretto legame.
Fa parte della struttura delle Lettere di Paolo che
esse – sempre in riferimento al luogo ed alla
situazione particolare – spieghino innanzitutto il
mistero di Cristo, ci insegnino la fede. In una
seconda parte, segue l’applicazione alla nostra
vita: che cosa consegue a questa fede? Come essa
plasma la nostra esistenza giorno per giorno?
Nella Lettera ai Romani, questa seconda parte
comincia con il dodicesimo capitolo, nei primi due
versetti del quale l’Apostolo riassume subito il
nucleo essenziale dell’esistenza cristiana. Che cosa
dice a noi san Paolo in quel passaggio? Innanzitutto
afferma, come cosa fondamentale, che con Cristo è
iniziato un nuovo modo di venerare Dio – un nuovo
culto. Esso consiste nel fatto che l’uomo vivente
diventa egli stesso adorazione, “sacrificio” fin nel
proprio corpo. Non sono più le cose ad essere
offerte a Dio. È la nostra stessa esistenza che deve
diventare lode di Dio.
Ma come avviene questo?
Nel secondo versetto ci vien data la risposta: “Non
conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi
trasformare rinnovando il vostro modo di pensare,
per poter discernere la volontà di Dio…” (12, 2).
Le due parole decisive di questo versetto sono:
“trasformare” e “rinnovare”. Dobbiamo diventare
uomini nuovi, trasformati in un nuovo modo di
esistenza.
Il mondo è sempre alla ricerca di novità, perché con
ragione è sempre scontento della realtà concreta.
Paolo ci dice: il mondo non può essere rinnovato
senza uomini nuovi. Solo se ci saranno uomini nuovi,
ci sarà anche un mondo nuovo, un mondo rinnovato e
migliore. All’inizio sta il rinnovamento dell’uomo.
Questo vale poi per ogni singolo. Solo se noi stessi
diventiamo nuovi, il mondo diventa nuovo. Ciò
significa anche che non basta adattarsi alla
situazione attuale.
L’Apostolo ci esorta ad un non-conformismo.
Nella nostra Lettera si dice: non sottomettersi allo
schema dell’epoca attuale. Dovremo tornare su questo
punto riflettendo sul secondo testo che stasera
voglio meditare con voi. Il “no” dell’Apostolo è
chiaro ed anche convincente per chiunque osservi lo
“schema” del nostro mondo. Ma diventare nuovi – come
lo si può fare? Ne siamo davvero capaci? Con la
parola circa il diventare nuovi, Paolo allude alla
propria conversione: al suo incontro col Cristo
risorto, incontro di cui nella Seconda Lettera ai
Corinzi dice: “Se uno è in Cristo, è una nuova
creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne
sono nate di nuove” (5, 17). Era tanto sconvolgente
per lui questo incontro con Cristo che dice al
riguardo: “Sono morto” (Gal 2, 19; cfr Rm 6). Egli è
diventato nuovo, un altro, perché non vive più per
se stesso e in virtù di se stesso, ma per Cristo ed
in Lui. Nel corso degli anni, però, ha anche visto
che questo processo di rinnovamento e di
trasformazione continua per tutta la vita.
Diventiamo nuovi, se ci lasciamo afferrare e
plasmare dall’Uomo nuovo Gesù Cristo. Egli è l’Uomo
nuovo per eccellenza. In Lui la nuova esistenza
umana è diventata realtà, e noi possiamo veramente
diventare nuovi se ci consegniamo alle sue mani e da
Lui ci lasciamo plasmare.
Paolo rende ancora più chiaro questo processo di
“rifusione” dicendo che diventiamo nuovi se
trasformiamo il nostro modo di pensare. Ciò che qui
è stato tradotto con “modo di pensare”, è il termine
greco “nous”. È una parola complessa. Può essere
tradotta con “spirito”, “sentimenti”, “ragione” e,
appunto, anche con “modo di pensare”. La nostra
ragione deve diventare nuova. Questo ci sorprende.
Avremmo forse aspettato che riguardasse piuttosto
qualche atteggiamento: ciò che nel nostro agire
dobbiamo cambiare, un precetto di alterazione. Ma
no: il rinnovamento deve andare fino in fondo. Il
nostro modo di vedere il mondo, di comprendere la
realtà – tutto il nostro pensare deve mutarsi a
partire dal suo fondamento.
Il pensiero dell’uomo vecchio, il modo di pensare
comune è rivolto in genere verso il possesso, il
benessere, l’influenza, il successo, la fama e così
via. Ma in questo modo ha una portata troppo
limitata. Così, in ultima analisi, resta il proprio
“io” il centro del mondo. Dobbiamo imparare a
pensare in maniera più profonda. Che cosa ciò
significhi, lo dice san Paolo nella seconda parte
della frase: bisogna imparare a comprendere la
volontà di Dio, così che questa plasmi la nostra
volontà. Affinché noi stessi vogliamo ciò che vuole
Dio, perché riconosciamo che ciò che Dio vuole è il
bello e il buono. Si tratta dunque di una svolta nel
nostro spirituale orientamento di fondo. Dio deve
entrare nell’orizzonte del nostro pensiero: ciò che
Egli vuole e il modo secondo cui Egli ha ideato il
mondo e me. Dobbiamo imparare a prendere parte al
pensare e al volere di Gesù Cristo. È allora che
saremo uomini nuovi nei quali emerge un mondo nuovo.
Lo stesso pensiero di un necessario rinnovamento del
nostro essere persona umana, Paolo lo ha illustrato
ulteriormente in due brani della Lettera agli
Efesini, sui quali pertanto vogliamo ancora
riflettere brevemente. Nel quarto capitolo della
Lettera l’Apostolo ci dice che con Cristo dobbiamo
raggiungere l’età adulta, un’umanità matura.
Non possiamo più rimanere “fanciulli in balia delle
onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di
dottrina…” (4, 14).
Paolo desidera che i cristiani abbiano una fede
matura, una “fede adulta”. La parola “fede adulta”
negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso.
Lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di
chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi
Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol
credere e non credere – una fede “fai da te”,
quindi.
E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi
contro il Magistero della Chiesa. In realtà,
tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio,
perché si può sempre essere sicuri del pubblico
applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire
alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice
lo “schema” del mondo contemporaneo. È questo
non-conformismo della fede che Paolo chiama una
“fede adulta”.
Qualifica invece come infantile il correre dietro ai
venti e alle correnti del tempo. Così fa parte della
fede adulta, ad esempio, impegnarsi per
l’inviolabilità della vita umana fin dal primo
momento, opponendosi con ciò radicalmente al
principio della violenza, proprio anche nella difesa
delle creature umane più inermi.
Fa parte della fede adulta riconoscere il matrimonio
tra un uomo e una donna per tutta la vita come
ordinamento del Creatore, ristabilito nuovamente da
Cristo.
La fede adulta non si lascia trasportare qua e là da
qualsiasi corrente. Essa s’oppone ai venti della
moda. Sa che questi venti non sono il soffio dello
Spirito Santo; sa che lo Spirito di Dio s’esprime e
si manifesta nella comunione con Gesù Cristo.
Tuttavia, anche qui Paolo non si ferma alla
negazione, ma ci conduce al grande “sì”.
Descrive la fede matura, veramente adulta in maniera
positiva con l’espressione: “agire secondo verità
nella carità” (cfr Ef 4, 15). Il nuovo modo di
pensare, donatoci dalla fede, si volge prima di
tutto verso la verità. Il potere del male è la
menzogna. Il potere della fede, il potere di Dio è
la verità. La verità sul mondo e su noi stessi si
rende visibile quando guardiamo a Dio. E Dio si
rende visibile a noi nel volto di Gesù Cristo.
Guardando a Cristo riconosciamo un’ulteriore cosa:
verità e carità sono inseparabili. In Dio, ambedue
sono inscindibilmente una cosa sola: è proprio
questa l’essenza di Dio. Per questo, per i cristiani
verità e carità vanno insieme. La carità è la prova
della verità. Sempre di nuovo dovremo essere
misurati secondo questo criterio, che la verità
diventi carità e la carità ci renda veritieri.
Ancora un altro pensiero importante appare nel
versetto di san Paolo. L’Apostolo ci dice che,
agendo secondo verità nella carità, noi contribuiamo
a far sì che il tutto – l’universo – cresca tendendo
a Cristo.
Paolo, in base alla sua fede, non s’interessa
soltanto della nostra personale rettitudine e non
soltanto della crescita della Chiesa. Egli
s’interessa dell’universo: ta pánta. Lo scopo ultimo
dell’opera di Cristo è l’universo – la
trasformazione dell’universo, di tutto il mondo
umano, dell’intera creazione. Chi insieme con Cristo
serve la verità nella carità, contribuisce al vero
progresso del mondo. Sì, è qui del tutto chiaro che
Paolo conosce l’idea di progresso. Cristo, il suo
vivere, soffrire e risorgere è stato il vero grande
salto del progresso per l’umanità, per il mondo.
Ora, però, l’universo deve crescere in vista di Lui.
Dove aumenta la presenza di Cristo, là c’è il vero
progresso del mondo. Là l’uomo diventa nuovo e così
diventa nuovo il mondo.
La stessa cosa Paolo ci rende evidente ancora a
partire da un’altra angolatura. Nel terzo capitolo
della Lettera agli Efesini egli ci parla della
necessità di essere “rafforzati nell’uomo interiore”
(3, 16). Con ciò riprende un argomento che prima, in
una situazione di tribolazione, aveva trattato nella
Seconda Lettera ai Corinzi: “Se anche il nostro uomo
esteriore si va disfacendo, quello interiore invece
si rinnova di giorno in giorno” (4, 16). L’uomo
interiore deve rafforzarsi – è un imperativo molto
appropriato per il nostro tempo in cui gli uomini
così spesso restano interiormente vuoti e pertanto
devono aggrapparsi a promesse e narcotici, che poi
hanno come conseguenza un ulteriore crescita del
senso di vuoto nel loro intimo. Il vuoto interiore –
la debolezza dell’uomo interiore – è uno dei grandi
problemi del nostro tempo. Deve essere rafforzata
l’interiorità – la percettività del cuore; la
capacità di vedere e comprendere il mondo e l’uomo
dal di dentro, con il cuore. Noi abbiamo bisogno di
una ragione illuminata dal cuore, per imparare ad
agire secondo la verità nella carità. Questo,
tuttavia, non si realizza senza un intimo rapporto
con Dio, senza la vita di preghiera. Abbiamo bisogno
dell’incontro con Dio, che ci vien dato nei
Sacramenti. E non possiamo parlare a Dio nella
preghiera, se non lasciamo che parli prima Egli
stesso, se non lo ascoltiamo nella parola, che ci ha
donato. Paolo, al riguardo, ci dice: “Cristo abiti
per mezzo della fede nei vostri cuori, e così,
radicati e fondati nella carità, siate in grado di
comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza,
la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di
conoscere l’amore di Cristo che supera ogni
conoscenza” (Ef 3, 17ss). L’amore vede più lontano
della semplice ragione, è ciò che Paolo ci dice con
queste parole. E ci dice ancora che solo nella
comunione con tutti i santi, cioè nella grande
comunità di tutti i credenti – e non contro o senza
di essa – possiamo conoscere la vastità del mistero
di Cristo. Questa vastità, egli la circoscrive con
parole che vogliono esprimere le dimensioni del
cosmo: ampiezza, lunghezza, altezza e profondità. Il
mistero di Cristo ha una vastità cosmica: Egli non
appartiene soltanto ad un determinato gruppo. Il
Cristo crocifisso abbraccia l’intero universo in
tutte le sue dimensioni. Egli prende il mondo nelle
sue mani e lo porta in alto verso Dio.
A cominciare da sant’ Ireneo di Lione – dunque fin
dal II secolo – i Padri hanno visto in questa parola
dell’ampiezza, lunghezza, altezza e profondità
dell’amore di Cristo un’allusione alla Croce.
L’amore di Cristo ha abbracciato nella Croce la
profondità più bassa – la notte della morte, e
l’altezza suprema – l’elevatezza di Dio stesso. E ha
preso tra le sue braccia l’ampiezza e la vastità
dell’umanità e del mondo in tutte le loro distanze.
Sempre Egli abbraccia l’universo – tutti noi.
Preghiamo il Signore, affinché ci aiuti a
riconoscere qualcosa della vastità del suo amore.
PreghiamoLo, affinché il suo amore e la sua verità
tocchino il nostro cuore. Chiediamo che Cristo abiti
nei nostri cuori e ci renda uomini nuovi, che
agiscono secondo verità nella carità. Amen !
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