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 Celebrazione dei Vespri in Chiusura dell'Anno Paolino
S. Paolo fuori le Mura, 28 giugno 2009

Una presenza ormai tradizionale, quella della delegazione del Patriarcato di Costantinopoli per la Solennità dei Santi Pietro e Paolo e - quest'anno - della conclusione dell’Anno Paolino, “segno – ha spiegato il Papa – di fraternità ecclesiale”, a evidenziare l’impegno comune delle due Chiese sorelle “nella ricerca della piena comunione”. La delegazione era composta: dal metropolita greco-ortodosso di Francia Emmanuel, direttore dell'Ufficio della Chiesa ortodossa presso l'Unione europea; dal vescovo di Sinope Athenagoras, assistente del metropolita del Belgio; dal diacono Ioakim Billis, della sede patriarcale al Fanar.

All'Angelus del 29 giugno il Papa ha detto: "...L’odierna solennità riveste anche un carattere universale: esprime l’unità e la cattolicità della Chiesa....Saluto altresì con viva cordialità la Delegazione del Patriarcato di Costantinopoli, che, come ogni anno, è giunta a Roma per la celebrazione dei Santi Pietro e Paolo. La comune venerazione di questi Martiri sia pegno di comunione sempre più piena e sentita fra i cristiani di ogni parte del mondo. Invochiamo per questo la materna intercessione di Maria, Madre dell’unica Chiesa di Cristo, con la consueta recita dell’Angelus."


Omelia di Benedetto XVI
Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Illustri membri della Delegazione del Patriarcato ecumenico,
Cari fratelli e sorelle,


rivolgo a ciascuno il mio saluto cordiale. In particolare, saluto il Cardinale Arciprete di questa Basilica e i suoi collaboratori, saluto l’Abate e la comunità monastica benedettina; saluto pure la Delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. L’anno commemorativo della nascita di san Paolo si conclude stasera.

Siamo raccolti presso la tomba dell’Apostolo, il cui sarcofago, conservato sotto l’altare papale, è stato fatto recentemente oggetto di un’attenta analisi scientifica: nel sarcofago, che non è stato mai aperto in tanti secoli, è stata praticata una piccolissima perforazione per introdurre una speciale sonda, mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino. E’ stata anche rilevata la presenza di grani d’incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree. Inoltre, piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all’esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona vissuta tra il I e il II secolo. Ciò sembra confermare l’unanime e incontrastata tradizione che si tratti dei resti mortali dell’apostolo Paolo. Tutto questo riempie il nostro animo di profonda emozione.

Molte persone hanno, durante questi mesi, seguito le vie dell’Apostolo – quelle esteriori e più ancora quelle interiori, che egli ha percorso durante la sua vita: la via di Damasco verso l’incontro con il Risorto; le vie nel mondo mediterraneo, che egli ha attraversato con la fiaccola del Vangelo, incontrando contraddizione e adesione, fino al martirio, per il quale appartiene per sempre alla Chiesa di Roma. Ad essa ha indirizzato anche la sua Lettera più grande ed importante.
 

L’Anno Paolino si conclude, ma essere in cammino insieme con Paolo, con lui e grazie a lui venir a conoscenza di Gesù e, come lui, essere illuminati e trasformati dal Vangelo – questo farà sempre parte dell’esistenza cristiana. E sempre, andando oltre l’ambiente dei credenti, egli rimane il “maestro delle genti”, che vuol portare il messaggio del Risorto a tutti gli uomini, perché Cristo li ha conosciuti ed amati tutti; è morto e risorto per tutti loro. Vogliamo quindi ascoltarlo anche in questa ora in cui iniziamo solennemente la festa dei due Apostoli uniti fra loro da uno stretto legame.

Fa parte della struttura delle Lettere di Paolo che esse – sempre in riferimento al luogo ed alla situazione particolare – spieghino innanzitutto il mistero di Cristo, ci insegnino la fede. In una seconda parte, segue l’applicazione alla nostra vita: che cosa consegue a questa fede? Come essa plasma la nostra esistenza giorno per giorno?
Nella Lettera ai Romani, questa seconda parte comincia con il dodicesimo capitolo, nei primi due versetti del quale l’Apostolo riassume subito il nucleo essenziale dell’esistenza cristiana. Che cosa dice a noi san Paolo in quel passaggio? Innanzitutto afferma, come cosa fondamentale, che con Cristo è iniziato un nuovo modo di venerare Dio – un nuovo culto. Esso consiste nel fatto che l’uomo vivente diventa egli stesso adorazione, “sacrificio” fin nel proprio corpo. Non sono più le cose ad essere offerte a Dio. È la nostra stessa esistenza che deve diventare lode di Dio.

Ma come avviene questo?

Nel secondo versetto ci vien data la risposta: “Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio…” (12, 2).
Le due parole decisive di questo versetto sono: “trasformare” e “rinnovare”. Dobbiamo diventare uomini nuovi, trasformati in un nuovo modo di esistenza.

Il mondo è sempre alla ricerca di novità, perché con ragione è sempre scontento della realtà concreta. Paolo ci dice: il mondo non può essere rinnovato senza uomini nuovi. Solo se ci saranno uomini nuovi, ci sarà anche un mondo nuovo, un mondo rinnovato e migliore. All’inizio sta il rinnovamento dell’uomo. Questo vale poi per ogni singolo. Solo se noi stessi diventiamo nuovi, il mondo diventa nuovo. Ciò significa anche che non basta adattarsi alla situazione attuale.

L’Apostolo ci esorta ad un non-conformismo.

Nella nostra Lettera si dice: non sottomettersi allo schema dell’epoca attuale. Dovremo tornare su questo punto riflettendo sul secondo testo che stasera voglio meditare con voi. Il “no” dell’Apostolo è chiaro ed anche convincente per chiunque osservi lo “schema” del nostro mondo. Ma diventare nuovi – come lo si può fare? Ne siamo davvero capaci? Con la parola circa il diventare nuovi, Paolo allude alla propria conversione: al suo incontro col Cristo risorto, incontro di cui nella Seconda Lettera ai Corinzi dice: “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove” (5, 17). Era tanto sconvolgente per lui questo incontro con Cristo che dice al riguardo: “Sono morto” (Gal 2, 19; cfr Rm 6). Egli è diventato nuovo, un altro, perché non vive più per se stesso e in virtù di se stesso, ma per Cristo ed in Lui. Nel corso degli anni, però, ha anche visto che questo processo di rinnovamento e di trasformazione continua per tutta la vita. Diventiamo nuovi, se ci lasciamo afferrare e plasmare dall’Uomo nuovo Gesù Cristo. Egli è l’Uomo nuovo per eccellenza. In Lui la nuova esistenza umana è diventata realtà, e noi possiamo veramente diventare nuovi se ci consegniamo alle sue mani e da Lui ci lasciamo plasmare.

Paolo rende ancora più chiaro questo processo di “rifusione” dicendo che diventiamo nuovi se trasformiamo il nostro modo di pensare. Ciò che qui è stato tradotto con “modo di pensare”, è il termine greco “nous”. È una parola complessa. Può essere tradotta con “spirito”, “sentimenti”, “ragione” e, appunto, anche con “modo di pensare”. La nostra ragione deve diventare nuova. Questo ci sorprende.

Avremmo forse aspettato che riguardasse piuttosto qualche atteggiamento: ciò che nel nostro agire dobbiamo cambiare, un precetto di alterazione. Ma no: il rinnovamento deve andare fino in fondo. Il nostro modo di vedere il mondo, di comprendere la realtà – tutto il nostro pensare deve mutarsi a partire dal suo fondamento.

Il pensiero dell’uomo vecchio, il modo di pensare comune è rivolto in genere verso il possesso, il benessere, l’influenza, il successo, la fama e così via. Ma in questo modo ha una portata troppo limitata. Così, in ultima analisi, resta il proprio “io” il centro del mondo. Dobbiamo imparare a pensare in maniera più profonda. Che cosa ciò significhi, lo dice san Paolo nella seconda parte della frase: bisogna imparare a comprendere la volontà di Dio, così che questa plasmi la nostra volontà. Affinché noi stessi vogliamo ciò che vuole Dio, perché riconosciamo che ciò che Dio vuole è il bello e il buono. Si tratta dunque di una svolta nel nostro spirituale orientamento di fondo. Dio deve entrare nell’orizzonte del nostro pensiero: ciò che Egli vuole e il modo secondo cui Egli ha ideato il mondo e me. Dobbiamo imparare a prendere parte al pensare e al volere di Gesù Cristo. È allora che saremo uomini nuovi nei quali emerge un mondo nuovo.

Lo stesso pensiero di un necessario rinnovamento del nostro essere persona umana, Paolo lo ha illustrato ulteriormente in due brani della Lettera agli Efesini, sui quali pertanto vogliamo ancora riflettere brevemente. Nel quarto capitolo della Lettera l’Apostolo ci dice che con Cristo dobbiamo raggiungere l’età adulta, un’umanità matura.
Non possiamo più rimanere “fanciulli in balia delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina…” (4, 14).

Paolo desidera che i cristiani abbiano una fede matura, una “fede adulta”. La parola “fede adulta” negli ultimi decenni è diventata uno slogan diffuso. Lo s’intende spesso nel senso dell’atteggiamento di chi non dà più ascolto alla Chiesa e ai suoi Pastori, ma sceglie autonomamente ciò che vuol credere e non credere – una fede “fai da te”, quindi.

E lo si presenta come “coraggio” di esprimersi contro il Magistero della Chiesa. In realtà, tuttavia, non ci vuole per questo del coraggio, perché si può sempre essere sicuri del pubblico applauso. Coraggio ci vuole piuttosto per aderire alla fede della Chiesa, anche se questa contraddice lo “schema” del mondo contemporaneo. È questo non-conformismo della fede che Paolo chiama una “fede adulta”.

Qualifica invece come infantile il correre dietro ai venti e alle correnti del tempo. Così fa parte della fede adulta, ad esempio, impegnarsi per l’inviolabilità della vita umana fin dal primo momento, opponendosi con ciò radicalmente al principio della violenza, proprio anche nella difesa delle creature umane più inermi.

Fa parte della fede adulta riconoscere il matrimonio tra un uomo e una donna per tutta la vita come ordinamento del Creatore, ristabilito nuovamente da Cristo.
La fede adulta non si lascia trasportare qua e là da qualsiasi corrente. Essa s’oppone ai venti della moda. Sa che questi venti non sono il soffio dello Spirito Santo; sa che lo Spirito di Dio s’esprime e si manifesta nella comunione con Gesù Cristo. Tuttavia, anche qui Paolo non si ferma alla negazione, ma ci conduce al grande “sì”.
Descrive la fede matura, veramente adulta in maniera positiva con l’espressione: “agire secondo verità nella carità” (cfr Ef 4, 15). Il nuovo modo di pensare, donatoci dalla fede, si volge prima di tutto verso la verità. Il potere del male è la menzogna. Il potere della fede, il potere di Dio è la verità. La verità sul mondo e su noi stessi si rende visibile quando guardiamo a Dio. E Dio si rende visibile a noi nel volto di Gesù Cristo. Guardando a Cristo riconosciamo un’ulteriore cosa: verità e carità sono inseparabili. In Dio, ambedue sono inscindibilmente una cosa sola: è proprio questa l’essenza di Dio. Per questo, per i cristiani verità e carità vanno insieme. La carità è la prova della verità. Sempre di nuovo dovremo essere misurati secondo questo criterio, che la verità diventi carità e la carità ci renda veritieri.

Ancora un altro pensiero importante appare nel versetto di san Paolo. L’Apostolo ci dice che, agendo secondo verità nella carità, noi contribuiamo a far sì che il tutto – l’universo – cresca tendendo a Cristo.

Paolo, in base alla sua fede, non s’interessa soltanto della nostra personale rettitudine e non soltanto della crescita della Chiesa. Egli s’interessa dell’universo: ta pánta. Lo scopo ultimo dell’opera di Cristo è l’universo – la trasformazione dell’universo, di tutto il mondo umano, dell’intera creazione. Chi insieme con Cristo serve la verità nella carità, contribuisce al vero progresso del mondo. Sì, è qui del tutto chiaro che Paolo conosce l’idea di progresso. Cristo, il suo vivere, soffrire e risorgere è stato il vero grande salto del progresso per l’umanità, per il mondo. Ora, però, l’universo deve crescere in vista di Lui. Dove aumenta la presenza di Cristo, là c’è il vero progresso del mondo. Là l’uomo diventa nuovo e così diventa nuovo il mondo.
La stessa cosa Paolo ci rende evidente ancora a partire da un’altra angolatura. Nel terzo capitolo della Lettera agli Efesini egli ci parla della necessità di essere “rafforzati nell’uomo interiore” (3, 16). Con ciò riprende un argomento che prima, in una situazione di tribolazione, aveva trattato nella Seconda Lettera ai Corinzi: “Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno” (4, 16). L’uomo interiore deve rafforzarsi – è un imperativo molto appropriato per il nostro tempo in cui gli uomini così spesso restano interiormente vuoti e pertanto devono aggrapparsi a promesse e narcotici, che poi hanno come conseguenza un ulteriore crescita del senso di vuoto nel loro intimo. Il vuoto interiore – la debolezza dell’uomo interiore – è uno dei grandi problemi del nostro tempo. Deve essere rafforzata l’interiorità – la percettività del cuore; la capacità di vedere e comprendere il mondo e l’uomo dal di dentro, con il cuore. Noi abbiamo bisogno di una ragione illuminata dal cuore, per imparare ad agire secondo la verità nella carità. Questo, tuttavia, non si realizza senza un intimo rapporto con Dio, senza la vita di preghiera. Abbiamo bisogno dell’incontro con Dio, che ci vien dato nei Sacramenti. E non possiamo parlare a Dio nella preghiera, se non lasciamo che parli prima Egli stesso, se non lo ascoltiamo nella parola, che ci ha donato. Paolo, al riguardo, ci dice: “Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza” (Ef 3, 17ss). L’amore vede più lontano della semplice ragione, è ciò che Paolo ci dice con queste parole. E ci dice ancora che solo nella comunione con tutti i santi, cioè nella grande comunità di tutti i credenti – e non contro o senza di essa – possiamo conoscere la vastità del mistero di Cristo. Questa vastità, egli la circoscrive con parole che vogliono esprimere le dimensioni del cosmo: ampiezza, lunghezza, altezza e profondità. Il mistero di Cristo ha una vastità cosmica: Egli non appartiene soltanto ad un determinato gruppo. Il Cristo crocifisso abbraccia l’intero universo in tutte le sue dimensioni. Egli prende il mondo nelle sue mani e lo porta in alto verso Dio.
A cominciare da sant’ Ireneo di Lione – dunque fin dal II secolo – i Padri hanno visto in questa parola dell’ampiezza, lunghezza, altezza e profondità dell’amore di Cristo un’allusione alla Croce. L’amore di Cristo ha abbracciato nella Croce la profondità più bassa – la notte della morte, e l’altezza suprema – l’elevatezza di Dio stesso. E ha preso tra le sue braccia l’ampiezza e la vastità dell’umanità e del mondo in tutte le loro distanze. Sempre Egli abbraccia l’universo – tutti noi.

Preghiamo il Signore, affinché ci aiuti a riconoscere qualcosa della vastità del suo amore. PreghiamoLo, affinché il suo amore e la sua verità tocchino il nostro cuore. Chiediamo che Cristo abiti nei nostri cuori e ci renda uomini nuovi, che agiscono secondo verità nella carità. Amen !


[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana. Con aggiunte a braccio a cura di ZENIT]

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