Nel discorso ai
diplomatici Benedetto XVI parla di Israele e Palestina, condanna il
terrorismo, evoca il pericolo dello scontro di civiltà, lamenta la
mancanza di libertà religiosa in tanti Paesi, condanna il commercio
di armi ed esseri umani, ricorda la necessità di rispettare la libertà di
informazione.
Eccellenze,
Signore e Signori,
Vi accolgo tutti con gioia in questo tradizionale incontro con il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Dopo la
celebrazione delle grandi feste cristiane del Natale e dell’Epifania,
la Chiesa vive ancora della loro gioia: è una gioia grande, perché
sorge dalla presenza dell’Emmanuele – Dio con noi –, ma è anche
una gioia raccolta, quale vissuta tra le mura domestiche della Sacra
Famiglia, di cui la Chiesa in questo tempo ripercorre con intima
partecipazione la storia semplice ed esemplare; è una gioia al
contempo bisognosa di comunicazione, perché la vera gioia non
potrebbe isolarsi senza affievolirsi e spegnersi.
A tutti voi dunque,
Signore e Signori Ambasciatori, ai Popoli ed ai Governi che voi
degnamente rappresentate, alle vostre care famiglie, ai vostri
distinti Collaboratori, va il mio augurio di gioia cristiana. Sia essa
la gioia dell’universale fratellanza portata da Cristo, una gioia
ricca dei veri valori ed aperta alla generosa condivisione. Essa vi
accompagni e cresca in ogni giorno dell’anno che da poco si è
aperto.
Il vostro Decano, Signore e Signori Ambasciatori, ha espresso i
voti augurali del Corpo Diplomatico, interpretando con finezza i
vostri sentimenti. A lui e a voi il mio ringraziamento. Egli ha
accennato anche ai non pochi e non lievi problemi che agitano il mondo
di oggi. Essi sono oggetto della vostra sollecitudine come di quella
della Santa Sede e della Chiesa Cattolica in tutto il mondo, solidale
con ogni dolore, con ogni speranza e con ogni sforzo che accompagna il
cammino umano. Ci sentiamo così uniti come in una comune missione,
che ci pone sempre di fronte a nuove formidabili sfide. Noi le
affrontiamo tuttavia con fiducia, nella volontà di sostenerci a
vicenda – ciascuno secondo il compito suo proprio – verso grandi
finalità comuni.
Ho detto “nostra comune missione”. E qual è essa, se non
quella della pace? La Chiesa null’altro fa che diffondere il
messaggio di Cristo, venuto – come scrive l’Apostolo Paolo nella
Lettera agli Efesini – ad annunziare la pace a coloro che erano
lontani ed a coloro che erano vicini (cfr 2,17). E voi, esimi
Rappresentanti diplomatici dei vostri Popoli, secondo lo statuto che
vi è proprio avete tra i vostri nobili scopi quello di promuovere
relazioni internazionali amichevoli, di cui appunto la pace si
sostanzia (Convenzione di Vienna sulle Relazioni Diplomatiche, del 18
aprile 1961, art. 3, 1, e).
La pace – lo constatiamo con dolore – resta in molte parti del
mondo impedita o ferita o minacciata. Qual è la via verso la pace?
Nel Messaggio
che ho rivolto per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace
di quest’anno ho ritenuto di poter affermare: “Dove e quando l’uomo
si lascia illuminare dallo splendore della verità, intraprende quasi
naturalmente la via della pace” (n. 3). Nella verità, la pace.
Guardando alla situazione del mondo di oggi, in cui accanto a
funesti scenari di conflitti bellici, aperti o latenti, o solo
apparentemente sopiti, si può – grazie a Dio – rilevare uno
sforzo coraggioso e tenace da parte di tanti uomini e di tante
istituzioni in favore della pace, vorrei, quasi a fraterno
incoraggiamento, proporre qualche riflessione, che enucleo in alcuni
semplici enunciati.
Il primo: l’impegno per la verità è l’anima della
giustizia. Chi è impegnato per la verità non può non rifiutare
la legge del più forte, che vive di menzogna e che – a livello
nazionale ed internazionale – ha tante volte segnato di tragedie la
storia dell’uomo. La menzogna si ammanta spesso di un’apparenza di
verità, ma in realtà è sempre selettiva e tendenziosa,
egoisticamente rivolta a strumentalizzare l’uomo e, in definitiva a
sopraffarlo. Sistemi politici del passato, ma non solo del passato, ne
sono un’amara esemplificazione. Sul versante opposto si collocano la
verità e la veracità, che portano all’incontro dell’altro, al
suo riconoscimento ed all’intesa: per quello splendore che le è
proprio – lo splendor veritatis –, la verità non può non
diffondersi; e l’amore del vero è, per suo intrinseco dinamismo,
tutto rivolto alla comprensione imparziale ed equanime ed alla
condivisione, nonostante qualsiasi difficoltà.
La vostra esperienza di diplomatici non può non confermare che,
anche nei rapporti internazionali, la ricerca della verità riesce ad
individuare le diversità fin nelle più sottili sfumature, e le
relative esigenze, e per ciò stesso anche i limiti da rispettare e da
non oltrepassare, nella tutela di ogni legittimo interesse delle
parti. Questa medesima ricerca della verità vi porta al contempo ad
affermare con forza ciò che vi è di comune, di appartenente alla
medesima natura delle persone, di ogni popolo e di ogni cultura, e che
dev’essere parimenti rispettato. E quando questi aspetti, distinti e
complementari – la diversità e l’uguaglianza – sono conosciuti
e riconosciuti, allora i problemi possono risolversi ed i dissidi
ricomporsi secondo giustizia, e sono possibili intese profonde e
durevoli, mentre quando uno di essi viene misconosciuto o non tenuto
nel debito conto, è allora che subentra l’incomprensione, lo
scontro, la tentazione della violenza e della sopraffazione.
Quasi con evidenza esemplare tali considerazioni mi sembrano
applicabili in quel punto nevralgico della scena mondiale, che resta
la Terra Santa. In essa lo Stato d’Israele deve poter sussistere
pacificamente in conformità alle norme del diritto internazionale; in
essa, parimenti, il Popolo palestinese deve poter sviluppare
serenamente le proprie istituzioni democratiche per un avvenire libero
e prospero.
Tali considerazioni assumono più vasta applicazione nell’odierno
contesto mondiale, in cui non a torto si è ravvisato il pericolo di
uno scontro delle civiltà. Il pericolo è reso più acuto dal
terrorismo organizzato, che si estende ormai a livello planetario.
Numerose e complesse ne sono le cause, non ultime quelle
ideologico-politiche, commiste ad aberranti concezioni religiose. Il
terrorismo non esita a colpire persone inermi, senza alcuna
distinzione, o a porre in essere ricatti disumani, inducendo nel
panico intere popolazioni, al fine di costringere i responsabili
politici ad assecondare i disegni dei terroristi stessi. Nessuna
circostanza vale a giustificare tale attività criminosa, che copre di
infamia chi la compie, e che è tanto più deprecabile quando si fa
scudo di una religione, abbassando così la pura verità di Dio alla
misura della propria cecità e perversione morale.
L’impegno per la verità da parte delle Diplomazie, sia a livello
bilaterale che plurilaterale, può dare un contributo essenziale,
perché le innegabili diversità che caratterizzano popoli di
differenti parti del mondo e le loro culture possano ricomporsi non
solo in una coesistenza tollerante, ma in un più alto e più ricco
disegno di umanità. In secoli passati gli scambi culturali tra
giudaismo ed ellenismo, tra mondo romano e mondo germanico e mondo
slavo, come anche tra mondo arabo e mondo europeo, hanno fecondato la
cultura e favorito le scienze e le civiltà. Così oggi dovrebbe
essere di nuovo, ed in maggior misura, essendo di fatto le
possibilità di scambio e di reciproca comprensione assai più
favorevoli. Per questo ciò che oggi si richiede è, anzitutto, che si
tolga ogni ostacolo all’accesso all’informazione a mezzo della
stampa e dei moderni mezzi informatici, ed, inoltre, che si
intensifichino gli scambi di docenti e di studenti tra le discipline
umanistiche delle università delle diverse regioni culturali.
Il secondo enunciato che vorrei proporre suona: l’impegno per
la verità dà fondamento e vigore al diritto di libertà. La
grandezza unica dell’essere umano ha la sua ultima radice in questo:
l’uomo può conoscere la verità. E l’uomo la vuole conoscere. Ma
la verità può essere raggiunta solo nella libertà. Ciò vale per
tutte le verità, come appare dalla storia delle scienze; ma è vero
in maniera eminente per le verità in cui è in giuoco l’uomo stesso
in quanto tale, le verità dello spirito: quelle che riguardano il
bene ed il male, le grandi mete e prospettive di vita, il rapporto con
Dio. Perché esse non si possono attingere senza che ne derivino
profondi riflessi sulla conduzione della propria vita. Ed una volta
liberamente fatte proprie, hanno poi bisogno di spazi di libertà per
poter essere vissute secondo tutte le dimensioni della vita umana.
È qui che si inserisce naturalmente l’attività di ogni Stato,
così come l’attività diplomatica inter-statale. Negli odierni
sviluppi del diritto internazionale si avverte con crescente
sensibilità che nessun Governo può dispensarsi dal compito di
garantire ai propri cittadini adeguate condizioni di libertà, senza
pregiudicare per ciò stesso la propria credibilità come
interlocutore nelle questioni internazionali. E ciò è giusto:
perché nella tutela dei diritti inerenti alla persona in quanto tale,
internazionalmente garantiti, non si può non riservare una
valutazione prioritaria allo spazio dato ai diritti di libertà all’interno
dei singoli Stati, sia nella vita pubblica come in quella privata, sia
nei rapporti economici come in quelli politici, in quelli culturali
come in quelli religiosi.
A questo proposito vi è ben noto, Signore e Signori Ambasciatori,
come l’attività della diplomazia della Santa Sede sia per natura
sua rivolta a promuovere, tra i vari ambiti in cui la libertà deve
realizzarsi, l’aspetto della libertà di religione. Purtroppo in
alcuni Stati, anche tra quelli che pure possono vantare tradizioni
culturali plurisecolari, essa, lungi dall’essere garantita, è anzi
gravemente violata, in particolare nei confronti delle minoranze. In
merito vorrei solo ricordare quanto stabilito con grande chiarezza
nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. I diritti
fondamentali dell’uomo sono i medesimi sotto tutte le latitudini; e
tra di essi un posto di primo piano deve essere riconosciuto al
diritto di libertà di religione, perché riguarda il rapporto umano
più importante, il rapporto con Dio. A tutti i responsabili della
vita delle Nazioni vorrei dire: se non temete la verità, non potete
temere la libertà! La Santa Sede, nel chiedere per la Chiesa
Cattolica, ovunque, condizioni di vera libertà, le chiede parimenti
per tutti.
Vorrei venire ad un terzo enunciato: l’impegno per la verità
apre la via al perdono ed alla riconciliazione. Alla necessaria
connessione tra l’impegno per la verità e la pace si solleva un’obiezione:
le convinzioni diverse sulla verità danno luogo a tensioni, ad
incomprensioni, a dispute, tanto più forti quanto più profonde sono
le convinzioni stesse. Nel corso della storia esse hanno dato luogo
anche a violente contrapposizioni, a conflitti sociali e politici e
addirittura a guerre di religione. È vero, e non lo si può negare;
ma ciò è sempre avvenuto per una serie di cause concomitanti, poco o
nulla aventi a che fare con la verità e la religione, e sempre
comunque perché ci si volle avvalere di mezzi in realtà non
conciliabili con il puro impegno per la verità né con il rispetto
della libertà richiesta dalla verità. Per quanto poi riguarda
specificamente la Chiesa Cattolica, in quanto anche da parte di suoi
membri e di sue istituzioni sono stati compiuti gravi errori in
passato, essa li condanna, e non ha esitato a chiedere perdono. Lo
esige l’impegno per la verità.
La richiesta di perdono, e la concessione del perdono, parimenti
dovuta – perché per tutti vale il monito di Nostro Signore: chi
è senza peccato scagli la prima pietra! (cfr. Gv. 8, 7) –
sono elementi indispensabili per la pace. La memoria ne resta
purificata, il cuore rasserenato, e si fa limpido lo sguardo su ciò
che la verità esige per sviluppare pensieri di pace. Non posso non
ricordare le parole luminose di Giovanni Paolo II: “Non c’è pace
senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”. Io le ripeto,
umilmente e con profondo amore, ai responsabili delle Nazioni, in
particolare di quelle dove più brucianti sono le ferite fisiche e
morali dei conflitti e più impellente il bisogno di pace. Il pensiero
va spontaneamente alla terra dove è nato Gesù Cristo, il Principe
della Pace, che per tutti ha avuto parole di pace e di perdono; va al
Libano, la cui popolazione deve ritrovare, anche con il sostegno della
solidarietà internazionale, la sua vocazione storica alla
collaborazione sincera e fruttuosa tra le comunità di diversa fede; e
va a tutto il Medio Oriente, in particolare all’Iraq, culla di
grandi civiltà, in questi anni quotidianamente funestato da
sanguinosi atti terroristici. Esso va all’Africa, e soprattutto a
Paesi della Regione dei Grandi Laghi, dove ancora si sentono le
tragiche conseguenze delle guerre fratricide degli anni passati; va
alle inermi popolazioni del Darfur, colpite da esecrabile ferocia, con
pericolose ripercussioni internazionali; va a tante altre terre, in
diverse parti del mondo, che sono teatro di cruenti contese.
Tra i grandi compiti della diplomazia deve essere sicuramente
annoverato quello di far comprendere a tutte le parti in conflitto
che, se sono amanti della verità, non possono non riconoscere gli
errori – e non solo quelli degli altri – né possono rifiutare di
aprirsi al perdono, richiesto e concesso. L’impegno per la verità
– che certo sta loro a cuore – li convoca, attraverso il perdono,
alla pace. Il sangue versato non grida vendetta, ma invoca rispetto
della vita, e pace! A questa fondamentale esigenza dell’umanità
possa la Peacebuilding Commission, recentemente istituita dall’ONU,
rispondere efficacemente con volenterosa cooperazione da parte di
tutti.
Un ultimo enunciato vorrei proporvi, Signore e Signori
Ambasciatori: l’impegno per la pace apre a nuove speranze. È
quasi una logica conclusione di quanto ho cercato di illustrare
finora. Perché l’uomo è capace di verità! Lo è sui grandi
problemi dell’essere, come sui grandi problemi dell’agire: nella
sfera individuale e nei rapporti sociali, a livello di un popolo come
dell’umanità intera. La pace, alla quale tale suo impegno può e
deve portarlo, non è solo il silenzio delle armi; è, ben più, una
pace, che favorisce il formarsi di nuovi dinamismi nei rapporti
internazionali, dinamismi che a loro volta si trasformano in fattori
di mantenimento della pace stessa. Ed essi sono tali solo se
rispondenti alla verità dell’uomo e della sua dignità. E per
questo non si può dire pace, là dove l’uomo non ha nemmeno l’indispensabile
per vivere in dignità. Penso qui alle turbe sterminate di popolazioni
che soffrono la fame. Non è pace, la loro, anche se non sono in
guerra: della guerra, anzi, esse sono vittime inermi. Alla mente si
affacciano spontaneamente anche le immagini sconvolgenti dei grandi
campi di profughi o di rifugiati - in diverse parti del mondo -
raccolti in condizioni di fortuna, per scampare a sorte peggiore, ma
di tutto bisognosi. Non sono questi esseri umani nostri fratelli e
sorelle? Non sono i loro bambini venuti al mondo con le stesse
legittime attese di felicità degli altri? Il pensiero va anche a
tutti coloro che condizioni di vita non degne spingono ad emigrare,
lontano dal loro Paese e dai loro cari, nella speranza di una vita
più umana. Né possiamo dimenticare la piaga del traffico di persone,
che resta una vergogna del nostro tempo.
Di fronte a queste “emergenze umanitarie”, così come ad altri
drammatici problemi dell’uomo, molte persone di buona volontà,
diverse istituzioni internazionali ed organizzazioni non governative
non sono rimaste inerti. Ma si richiede un accresciuto sforzo
congiunto delle Diplomazie per individuare nella verità, e superare
con coraggio e generosità, gli ostacoli che tuttora si frappongono a
soluzioni efficaci e degne dell’uomo. E verità vuole che nessuno
degli Stati prosperi si sottragga alle proprie responsabilità ed al
dovere di aiuto, attingendo con maggiore generosità alle proprie
risorse. Sulla base di dati statistici disponibili si può affermare
che meno della metà delle immense somme globalmente destinate agli
armamenti sarebbe più che sufficiente per togliere stabilmente dall’indigenza
lo sterminato esercito dei poveri. La coscienza umana ne è
interpellata. Alle popolazioni che vivono sotto la soglia della
povertà, più a causa di situazioni dipendenti dai rapporti
internazionali politici, commerciali e culturali, che non a motivo di
circostanze incontrollabili, il nostro comune impegno nella verità
può e deve dare nuova speranza.
Signore e Signori Ambasciatori!
Nel Natale di Cristo la Chiesa vede realizzata la
profezia del Salmista: “misericordia e verità si incontreranno,
giustizia e pace si baceranno; la verità germoglierà dalla terra e
la giustizia si affaccerà dal cielo” (Sal 84, 11-12).
Nel commentare queste parole ispirate, il grande Padre della Chiesa
Agostino, facendosi interprete della fede di tutta la Chiesa esclama:
«La verità è germogliata dalla terra: Cristo, che ha detto: Io sono
la Verità, è nato dalla Vergine» (Sermo 185).
È di questa verità che la Chiesa sempre vive; ma
di essa in particolare si illumina e gioisce in questa fase del suo
anno liturgico. E alla luce di questa verità queste mie parole
vogliono essere di fronte a voi e per voi, che qui rappresentate la
maggior parte delle Nazioni del mondo, al contempo testimonianza ed
augurio: nella verità, la pace!
In questo spirito, a tutti il mio augurio più cordiale di buon
anno!