È con piacere che vi accolgo oggi, per questa
tradizionale cerimonia di scambio degli auguri. Benché essa si rinnovi ogni
anno, non si tratta tuttavia di una semplice formalità, ma di un’occasione
per affermare la nostra speranza e per impegnarci sempre di più al servizio
della pace e dello sviluppo delle persone e dei popoli.
In primo luogo, desidero ringraziare il vostro Decano, il Signor
Ambasciatore Giovanni Galassi, per le gentili parole con le quali ha
espresso i vostri auguri. Rivolgo un saluto particolare agli Ambasciatori
che partecipano per la prima volta a questo incontro. Offro a tutti i miei
auguri più cordiali e vi assicuro la mia preghiera, affinché il 2007 porti a
voi, alle vostre famiglie, ai vostri collaboratori, a tutti i popoli ed ai
loro dirigenti la felicità e la pace.
All’inizio dell’anno, siamo invitati a dare uno sguardo alla situazione
internazionale per esaminare le sfide che siamo chiamati ad affrontare
insieme. Tra le questioni essenziali, come non pensare ai milioni di
persone, specialmente alle donne e ai bambini, che mancano di acqua, di
cibo, di un tetto? Lo scandalo della fame, che tende ad aggravarsi, è
inaccettabile in un mondo che dispone dei beni, delle conoscenze e dei mezzi
per porvi fine.
Esso ci spinge a cambiare i nostri modi di vita, ci richiama
l’urgenza di eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia
mondiale e di correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di
garantire il rispetto dell’ambiente e uno sviluppo umano integrale per oggi
e soprattutto per domani.
Invito di nuovo i Responsabili della Nazioni più
ricche a prendere i provvedimenti necessari affinché i paesi poveri, spesso
pieni di ricchezze naturali, possano beneficiare dei frutti dei beni che
appartengono loro in modo proprio. Da questo punto di vista, il ritardo
nella messa in opera degli impegni presi dalla comunità internazionale nel
corso di tutti gli ultimi anni è fonte di preoccupazione. E’ necessario
augurarsi la ripresa dei negoziati commerciali del «Doha Development Round»
dell’Organizzazione Mondiale del commercio, come il proseguimento e
l’accelerazione del processo di cancellazione e di riduzione del debito dei
paesi più poveri, senza che questo sia condizionato a misure di
aggiustamento strutturale, nefaste per le popolazioni più vulnerabili.
Nell’ambito del disarmo, ugualmente, si moltiplicano sintomi di una crisi
progressiva, legata alle difficoltà di negoziati sulle armi convenzionali
così come sulle armi di distruzione di massa e, d’altra parte, all’aumento
delle spese militari su scala mondiale. Le questioni di sicurezza, aggravate
dal terrorismo, che bisogna condannare fermamente, devono essere trattate in
un approccio globale e lungimirante.
Per quanto concerne le crisi umanitarie, occorre notare che le
Organizzazioni che le affrontano hanno bisogno di un più forte sostegno,
affinché siano in grado di fornire alle vittime protezione e assistenza.
Un'altra questione che acquista sempre più rilievo è quella del movimento di
persone: milioni di uomini e di donne sono costretti a lasciare le loro case
e la loro patria a causa delle violenze oppure per ricercare condizioni di
vita più dignitose. E’ illusorio pensare che i fenomeni migratori potranno
essere bloccati o controllati semplicemente attraverso la forza. Le
migrazioni e i problemi che esse creano devono essere affrontati con
umanità, giustizia e compassione.
Come non preoccuparsi dei continui attentati portati alla vita, dal
concepimento fino alla morte naturale? Non risparmiano tali attentati anche
quelle regioni dove la cultura del rispetto della vita è tradizionale, come
in Africa, dove si tenta di banalizzare surrettiziamente l’aborto attraverso
il Protocollo di Maputo, così come attraverso il Piano d’Azione adottato dai
Ministri della Sanità dell’Unione Africana, e che sarà tra poco sottoposto
al Summit dei capi di Stato e di Governo. Allo stesso modo si sviluppano
minacce contro la struttura naturale della famiglia, fondata sul matrimonio
tra un uomo e una donna, e tentativi di relativizzarla conferendole lo
stesso statuto di forme di unione radicalmente diverse. Tutto ciò
costituisce una offesa alla famiglia e contribuisce a destabilizzarla,
violandone la specificità ed il ruolo sociale unico. Altre forme di
aggressione alla vita sono talvolta commesse sotto l’apparenza della ricerca
scientifica. Si fa largo la convinzione che la ricerca non abbia altre leggi
all’infuori di quelle che vuole darsi e che non abbia alcun limite alle
proprie possibilità. E’ il caso, per esempio, dei tentativi di legittimare
la clonazione umana per ipotetici fini terapeutici.
Questo quadro preoccupante non impedisce però di percepire gli elementi
positivi che caratterizzano la nostra epoca. Vorrei citare in primo luogo la
presa di coscienza crescente dell’importanza del dialogo tra le culture e
tra le religioni. Si tratta di una necessità vitale, in particolare a motivo
delle sfide comuni riguardanti la famiglia e la società. Rilevo del resto le
numerose iniziative in questo senso, che mirano a costruire le basi comuni
per vivere nella concordia.
Si deve anche notare lo sviluppo della presa di coscienza della comunità
internazionale nei confronti delle enormi sfide del nostro tempo, così come
gli sforzi perché si traduca in atti concreti. In seno all’Organizzazione
delle Nazioni Unite, è stato creato l’anno scorso il Consiglio dei Diritti
dell’Uomo: occorre sperare che esso impernierà la sua attività verso la
difesa e la promozione dei diritti fondamentali della persona, in
particolare il diritto alla vita e alla libertà religiosa. Parlando delle
Nazioni Unite, sento il dovere di salutare con gratitudine S.E. il Signor
Kofi Annan per l’opera compiuta nel corso del suo mandato. Formulo i
migliori auguri per il suo successore S.E. il Signor Ban Ki-moon, nel
momento in cui assume le sue funzioni.
Nel quadro dello sviluppo, sono state lanciate diverse iniziative, alle
quali la Santa Sede non ha mancato di portare il suo sostegno, richiamando
in pari tempo che questi progetti non devono sopprimere l’impegno dei paesi
sviluppati a destinare lo 0,7% del loro prodotto interno lordo all’aiuto
internazionale. Un altro elemento importante nello sforzo comune per
l’eliminazione della miseria richiede non solamente un’assistenza, della
quale non si può non desiderare l’espansione, ma anche la presa di coscienza
dell’importanza della lotta alla corruzione e la promozione del buon
governo. Occorre anche incoraggiare e proseguire gli sforzi al fine di
assicurare l’applicazione del diritto umanitario alle persone ed ai popoli
per una protezione più efficace delle popolazioni civili.
Considerando la situazione politica nei diversi continenti, troviamo ancora
motivi di preoccupazione e di speranza. Constatiamo in primo luogo che la
pace è spesso fragile e anche derisa. Non possiamo dimenticare il Continente
Africano: il dramma del Darfour prosegue e si estende alle regioni di
confine del Tchad e della Repubblica Centroafricana. La comunità
internazionale sembra impotente da ormai quattro anni, malgrado le
iniziative destinate ad alleviare le popolazioni provate e a dare una
soluzione politica. E’ solamente attraverso una collaborazione attiva tra le
Nazioni Unite, l’Unione Africana, i Governi interessati e altri protagonisti
che questi mezzi potranno divenire efficaci. Invito tutti ad agire con
determinazione: non possiamo accettare che tanti innocenti continuino a
soffrire e a morire.
La situazione nel Corno d’Africa si è recentemente aggravata con la ripresa
delle ostilità e l’internazionalizzazione del conflitto. Nel rivolgere un
appello a tutte le parti in causa ad abbandonare le armi e a scegliere il
negoziato, mi sia permesso di ricordare la memoria di suor Leonella Sgorbati
che ha donato la sua vita al servizio dei più svantaggiati, invocando il
perdono per i suoi uccisori. Che il suo esempio e la sua testimonianza
possano ispirare tutti coloro che cercano realmente il bene della Somalia!
In Uganda, occorre auspicare il progresso dei negoziati tra le parti, in
vista della fine di un conflitto crudele che vede persino l’arruolamento di
numerosi bambini costretti a farsi soldati. Ciò permetterà ai numerosi
profughi di ritornare nelle loro case e di ritrovare una vita degna. Il
contributo dei capi religiosi e la recente designazione di un Rappresentante
del Segretario Generale delle Nazioni Unite sono di buon auspicio. Lo
ripeto: non dimentichiamo l’Africa e le sue numerose situazioni di guerra e
di tensione. Occorre ricordare che solo i negoziati tra i diversi
protagonisti possono aprire la strada ad una giusta composizione dei
conflitti e fare intravedere dei progressi verso il consolidamento della
pace.
La regione dei Grandi Laghi è stata insanguinata da anni da guerre senza
pietà. E’ con interesse e speranza che occorre accogliere i recenti sviluppi
positivi, in particolare la conclusione della fase di transizione politica
nel Burundi e più recentemente nella Repubblica Democratica del Congo. E’
tuttavia urgente che i Paesi si impegnino per il ritorno al funzionamento
delle istituzioni dello stato di diritto, per porre un freno a tutti gli
arbitrii e per permettere lo sviluppo sociale. Mi auguro che in Rwanda il
lungo processo di riconciliazione nazionale dopo il genocidio trovi il suo
sbocco nella giustizia, ma anche nella verità e nel perdono. La Conferenza
Internazionale sulla Regione dei Grandi Laghi, con la partecipazione di una
delegazione della Santa Sede e dei rappresentanti di numerose conferenze
episcopali nazionali e regionali dell’Africa centrale e orientale, lascia
intravedere nuove speranze. Infine, vorrei menzionare la Costa d’Avorio,
esortando le parti in causa a creare un clima di fiducia reciproca che possa
condurre al disarmo e alla pacificazione, come pure l’Africa Australe: in
questi paesi milioni di persone sono ridotte ad una situazione di grande
vulnerabilità, che esige l’attenzione e l’appoggio della comunità
internazionale.
Segnali positivi per l’Africa vengono anche dalla volontà espressa dalla
comunità internazionale di mantenere questo continente al centro della sua
attenzione, e anche dal rafforzamento delle istituzioni continentali e
regionali, che testimoniano l’intenzione dei paesi coinvolti di diventare
sempre più responsabili del loro proprio destino. Occorre anche lodare
l’atteggiamento degno delle persone che, ogni giorno, s’impegnano con
determinazione a promuovere progetti che contribuiscano allo sviluppo e
all’organizzazione della vita economica e sociale.
Il viaggio apostolico che effettuerò nel prossimo mese di maggio in Brasile
mi dà l’occasione di volgere il mio sguardo verso questo grande paese, che
mi attende con gioia, e verso tutta l’America Latina e i Caraibi. Il
miglioramento di alcuni indici economici, l’impegno nella lotta contro il
traffico di droga e contro la corruzione, i diversi processi di
integrazione, gli sforzi per migliorare l’accesso all’educazione, per
combattere la disoccupazione e per ridurre le disuguaglianze nella
distribuzione dei redditi, costituiscono degli indizi da rilevare con
soddisfazione. Se queste evoluzioni dovessero consolidarsi, potrebbero
contribuire in maniera determinante a vincere la povertà che affligge vasti
settori della popolazione e ad accrescere la stabilità istituzionale.
Parlando delle elezioni che si sono svolte l’anno scorso in molti paesi,
occorre sottolineare che la democrazia è chiamata a considerare le
aspirazioni dell’insieme dei cittadini, a promuovere lo sviluppo nel
rispetto di tutte le componenti della società, secondo i principi della
solidarietà, della sussidiarietà e della giustizia. Bisogna però mettere in
guardia contro il rischio che l’esercizio della democrazia si trasformi
nella dittatura del relativismo, proponendo modelli antropologici
incompatibili con la natura e la dignità dell’uomo.
La mia attenzione si volge in modo particolare verso alcuni paesi,
segnatamente la Colombia, dove il lungo conflitto interno ha provocato una
crisi umanitaria, soprattutto per ciò che concerne i profughi. Si devono
fare tutti gli sforzi per pacificare il paese, per restituire alle famiglie
i loro parenti che sono stati rapiti, per ridare sicurezza e una vita
normale a milioni di persone. Tali segni daranno fiducia a tutti, ivi
compresi coloro che sono stati coinvolti nella lotta armata. Il nostro
sguardo si rivolge anche verso Cuba. Auspicando che ciascuno dei suoi
abitanti possa realizzare le sue aspirazioni legittime nell’impegno per il
bene comune, permettetemi di ripetere l’appello del mio venerato
Predecessore: “Che Cuba si apra al mondo e il mondo a Cuba”. L’apertura
reciproca con gli altri paesi non potrà che essere a beneficio di tutti. Non
lontano da lì, il popolo haitiano vive sempre in una grande povertà e nella
violenza. Formulo voti affinché l’interesse della comunità internazionale,
manifestato tra l’altro dalle conferenze dei donatori che si sono tenute nel
2006, conduca al consolidamento delle istituzioni e permetta al popolo di
diventare artefice del proprio sviluppo, in un clima di riconciliazione e di
concordia.
L’Asia presenta prima di tutto paesi che sono caratterizzati da una
popolazione molto numerosa e da un grande sviluppo economico. Penso alla
Cina e all’India, paesi in piena espansione, auspicando che la loro
crescente presenza sulla scena internazionale determini dei benefici per le
stesse popolazioni e per le altre nazioni. Così pure formulo voti augurali
al Viet-Nâm, rammentando la sua recente adesione all’Organizzazione Mondiale
del Commercio. Il mio pensiero si volge ora alle comunità cristiane. Nella
maggior parte dei paesi dell’Asia si tratta spesso di comunità piccole ma
vivaci, che desiderano legittimamente poter vivere e agire in un clima di
libertà religiosa. È al tempo stesso un diritto naturale e una condizione
che permetterà loro di contribuire al progresso materiale e spirituale della
società, e di essere elemento di coesione e di concordia.
A Timor Est, la Chiesa cattolica intende continuare ad offrire il suo
contributo in particolare nei settori dell’educazione, della sanità e della
riconciliazione nazionale. La crisi politica attraversata da questo giovane
Stato, come del resto, anche da altri paesi della regione, mette in evidenza
una certa fragilità dei processi di democratizzazione. Pericolosi focolai di
tensione covano nella penisola della Corea. L’obiettivo della
riconciliazione del popolo coreano e della de-nuclearizzazione della
Penisola, che avranno degli effetti benefici in tutta la regione, devono
essere perseguiti nel quadro dei negoziati. Occorre evitare gesti che
possano compromettere le trattative, senza tuttavia condizionare ai
risultati gli aiuti umanitari destinati agli strati più vulnerabili della
popolazione.
Vorrei attirare la vostra attenzione su altri due paesi asiatici che sono
motivo di preoccupazione. In Afghanistan, nel corso degli ultimi mesi,
occorre ahimè deplorare un aumento notevole della violenza e degli attacchi
terroristici, che rendono difficile il cammino verso l’uscita dalla crisi e
che pesano gravemente sulla popolazione locale. In Sri Lanka il fallimento
dei negoziati di Ginevra tra il Governo e il Movimento Tamil ha prodotto una
intensificazione del conflitto, che provoca immense sofferenze tra la
popolazione civile. Solo la via del dialogo potrà assicurare un futuro
migliore e più sicuro per tutti.
Anche il Medio Oriente è fonte di grandi inquietudini. Per questo ho voluto
indirizzare una lettera ai cattolici della regione in occasione del Natale,
per esprimere la mia solidarietà e la mia vicinanza spirituale con tutti, e
per incoraggiarli a proseguire la loro presenza nella regione, sicuro che la
loro testimonianza sarà un aiuto e un sostegno in vista di un futuro di pace
e di fraternità. Rinnovo il mio pressante appello a tutte le parti in causa
nel complesso scacchiere politico della regione, con la speranza che si
consolidino i segni positivi tra Israeliani e Palestinesi registrati nel
corso delle ultime settimane. La Santa Sede non smetterà di ripetere che le
soluzioni militari non conducono a nulla, come si è potuto vedere in Libano
l’estate scorsa. Il futuro di questo paese passa necessariamente attraverso
l’unità di tutte le sue componenti e attraverso le relazioni fraterne tra i
diversi gruppi religiosi e sociali. Ciò costituisce un messaggio di speranza
per tutti. Non è possibile accontentarsi di soluzioni parziali o
unilaterali. Per porre termine alla crisi e alle sofferenze che essa causa
nelle popolazioni, bisogna procedere attraverso un approccio globale, che
non escluda nessuno dalla ricerca di una soluzione negoziata e che tenga
conto delle aspirazioni e degli interessi legittimi dei diversi popoli
coinvolti; in modo particolare, i Libanesi hanno diritto a vedere rispettata
l’integrità e la sovranità del loro paese; gli Israeliani hanno il diritto
di vivere in pace nel loro Stato, i Palestinesi hanno il diritto ad una
patria libera e sovrana. Se ciascuno dei popoli della regione vede le sue
aspettative prese in considerazione e si sente meno minacciato, la fiducia
reciproca si rafforzerà. Questa stessa fiducia si svilupperà se un paese
come l’Iran, specialmente per quanto concerne il suo programma nucleare,
accettasse una risposta soddisfacente alle preoccupazioni legittime della
comunità internazionale. Dei passi compiuti in questo senso avranno senza
alcun dubbio un effetto positivo per la stabilizzazione di tutta la regione,
e dell’Iraq in particolare, mettendo fine alla spaventosa violenza che
insanguina questo paese, e offrendo la possibilità di rilanciare la sua
ricostruzione e la riconciliazione tra tutti i suoi abitanti.
Più vicino a noi, in Europa, nuovi paesi, la Bulgaria e la Romania, paesi di
lunga tradizione cristiana, hanno fatto il loro ingresso nell’Unione
europea. Nel momento in cui ci si appresta a celebrare il cinquantesimo
anniversario dei Trattati di Roma, una riflessione si impone sul Trattato
costituzionale. Mi auguro che i valori fondamentali che sono alla base della
dignità umana siano pienamente protetti, in particolare la libertà religiosa
in tutte le sue dimensioni e i diritti istituzionali delle Chiese. Allo
stesso modo, non si può prescindere dall’innegabile patrimonio cristiano di
questo continente, che ha largamente contribuito a modellare l’Europa delle
nazioni e l’Europa dei popoli. Il cinquantesimo anniversario
dell’insurrezione di Budapest, festeggiato nell’ottobre scorso, ci ha
ricordato gli avvenimenti drammatici del ventesimo secolo che spingono tutti
gli Europei a costruire un futuro libero da ogni oppressione e
condizionamento ideologico, a tessere legami di amicizia e di fraternità, e
a manifestare sollecitudine e solidarietà verso i più poveri e i più
piccoli: allo stesso modo, è importante purificare le tensioni del passato,
promuovendo la riconciliazione a tutti i livelli, perché essa sola permette
di costruire il futuro e di aprirsi alla speranza. Faccio appello anche a
tutti coloro che, nel continente europeo, sono tentati dal terrorismo, a
cessare ogni attività di questo tipo, perché tali comportamenti, che fanno
prevalere la violenza e che provocano paura presso le popolazioni,
costituiscono una strada senza uscita. Penso anche ai diversi «conflitti
congelati», auspicando che possano trovare rapidamente una soluzione
definitiva, e alle tensioni ricorrenti, legati ai nostri giorni soprattutto
alle risorse energetiche.
Mi auguro che la regione dei Balcani giunga alla stabilità che tutti
sperano, in particolare grazie all’integrazione delle nazioni che la
compongono nelle strutture continentali e al sostegno della comunità
internazionale. L’allacciamento di relazioni diplomatiche con la Repubblica
del Montenegro, appena entrata pacificamente nel concerto delle Nazioni, e
l’Accordo di Base firmato con la Bosnia Erzegovina, costituiscono delle
prove dell’attenzione costante della Santa Sede per la regione dei Balcani.
Mentre si avvicina il momento in cui sarà definitivo lo statuto del Kosovo,
la Santa Sede domanda a tutti coloro che sono coinvolti uno sforzo di
saggezza lungimirante, di flessibilità e di moderazione affinché sia trovata
una soluzione rispettosa dei diritti e della attese legittime di tutti.
Le situazioni che ho voluto evocare costituiscono una sfida che ci riguarda
tutti; si tratta di una sfida che consiste nel promuovere e consolidare
tutto ciò che c’è di positivo nel mondo e a superare, con buona volontà,
saggezza e tenacia, tutto ciò che ferisce, degrada e uccide l’uomo. Solo
rispettando la persona umana è possibile promuovere la pace, e solo
costruendo la pace si pongono le basi per un autentico umanesimo integrale.
Qui si trova la risposta alla preoccupazione di tanti nostri contemporanei
sul futuro. Sì, l’avvenire potrà essere sereno se lavoriamo insieme per
l’uomo. L’uomo, creato ad immagine di Dio, possiede una dignità
incomparabile; l’uomo è così degno d’amore agli occhi del Suo Creatore, che
Dio non ha esitato a donare per lui il suo proprio Figlio. E’ questo il
grande mistero del Natale, che abbiamo appena celebrato e la cui atmosfera
gioiosa si estende anche al nostro incontro odierno. Nel suo impegno al
servizio dell’uomo e alla costruzione della pace, la Chiesa si pone al
fianco di tutte le persone di buona volontà offrendo una collaborazione
disinteressata. Che insieme, ciascuno al suo posto e con i suoi propri
talenti, sappiamo lavorare alla costruzione di un umanesimo integrale che
solo può assicurare un mondo pacifico, giusto e solidale. Questo augurio si
accompagna con la preghiera che elevo al Signore per voi, per le vostre
famiglie, per i vostri collaboratori e per i popoli che rappresentate.