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Benedetto XVI e Medio Oriente

“Dal primo momento in cui sono giunte le notizie dello scoppio dei missili degli hezbollah e delle bombe israeliane”, Benedetto XVI, “sospinto dalla grande preoccupazione per le sorti di tutte le popolazioni interessate al conflitto del Medio Oriente, “non ha cessato di ammonire e di invitare alla preghiera”, chiamando “alla mobilitazione generale le Chiese particolari come tutti i credenti del mondo” per “implorare da Dio il dono prezioso della pace” e indicendo una “giornata di preghiera e di penitenza” per domenica 23 luglio. Lo ricorda, nella nota del SIR di oggi, mons. Elio Bromuri, direttore del settimanale regionale dell’Umbria, “La Voce”.

 Dell’interessamento del Papa alla situazione mediorientale, osserva Bromuri, “si sono accorti i giornali e i telegiornali che hanno fatto titoli a sei colonne per rilanciare le dichiarazioni di Papa Ratzinger. Solo qualche studioso aduso a rincorrere personali fantasie tra ombre e sospetti può immaginarsi un Papa diverso. Che egli, insieme a tutta la diplomazia vaticana, abbia evocato la doppia colpa e ricordato la doppia responsabilità, quella dei terroristi e quella di coloro che pongono in atto la rappresaglia colpendo vittime innocenti, non significa abbandono di rapporti amichevoli con quel popolo d’Israele verso il quale Benedetto XVI - e Ratzinger prima - ha dedicato parole inconfondibili di stima, affetto e estrema vicinanza religiosa e umana, fondata sulla tradizione biblica e sulla comune prima alleanza”.

“Non amante di protagonismo, rispettoso delle competenze proprie delle Organizzazioni internazionali e delle autorità degli Stati sovrani – continua Bromuri - il Papa ha saputo indicare la via da seguire, quella indicata dal G8 e quella dell’Onu, ribadendo principi fondamentali”, ripetuti da tutti i suoi collaboratori: “Abolizione di ogni pratica terroristica che è all’origine di tutto il malessere; non cedere alla logica della rappresaglia, realizzando una difesa mirata e proporzionata che non faccia vittime innocenti e soprattutto ricorrendo a metodi non violenti, come in parte ha già fatto Israele, di prevenzione e di coraggiose azioni informative e di formazione di un’opinione pubblica favorevole agli accordi, chiedendo la collaborazione alla diplomazia internazionale”. Un principio base “è anche il rispetto di uno Stato indipendente, il Libano, che non deve essere usato come teatro di battaglia di contendenti a lui estranei”. 

Dopo tutto ciò, prosegue Bromuri, “la Chiesa piange la sorte dei cristiani presenti in quei luoghi, bersaglio dell’una e dell’altra parte in lotta”. Ma, conclude, “la forza e la presenza della Chiesa e del Papa è soprattutto da valutare sul parametro della preghiera, quella che è stata chiamata la forza debole capace di cambiare il cuore degli uomini, dal quale soltanto può sgorgare come un fiume la giustizia e la pace. Il richiamo alla giornata della preghiera e della penitenza rivolto a tutti i credenti suscita un bagliore di speranza quale fu la giornata di Assisi (27 ottobre 1986), quando le religioni del mondo si riunirono per invocare la pace”.



Les Combes 23 luglio 2006

Ha parlato a braccio Benedetto XVI, al culmine della giornata universale di preghiera per la pace in Terra Santa e nel Medio Oriente, celebrando nella chiesa di Rhemes Saint-Georges: “Libera da tutti i mali e donaci la pace, Signore, non domani o dopodomani, donaci la pace oggi”.

Perché sa bene, il Papa, che senza questo supporto fondamentale, il supporto della preghiera e della mobilitazione spirituale, non se ne esce, dall’intrico politico, militare, culturale, religioso e ideologico. Certo l’obiettivo geo-politico è chiaro e lo ha ribadito all’Angelus: “Riaffermare il diritto dei Libanesi all'integrità e sovranità del loro Paese, il diritto degli Israeliani a vivere in pace nel loro Stato e il diritto dei Palestinesi ad avere una Patria libera e sovrana”. Il Papa non entra nelle dinamiche geo-politiche, rilancia l’appello al cessate-il-fuoco, alla creazione di un corridoio umanitario, all’avvio di negoziati. Ma dice qualcosa in più.
Insiste sul registro religioso, come un antico Padre della Chiesa, pur consapevole di andare incontro a prevedibili censure e incomprensioni.

Qualche giorno fa sul “Corriere della Sera” un opinionista opinava sulla solitudine e il distacco del Papa. Curiosi questi esperti che recitano a soggetto: una volta criticano il Papa per le sue “ingerenze” politiche, un’altra per i suoi “silenzi” e le ingerenze mancate. In realtà, impancandosi a critico, non si era accorto che Benedetto XVI seguiva una linea che lo stesso, a buon diritto, potrebbe definire “profetica”, la linea dell’efficacia della preghiera, cui il Papa già aveva fatto cenno al primo Angelus.

Non è un caso che il problema politico-militare nella Regione del Monte Carmelo è posto proprio da una forza politico-militare che si proclama “partito di Dio”: “C’è ancora guerra tra cristiani, musulmani ed ebrei” – ha constatato il Papa, che così rilancia la specificità cristiana e cattolica proprio nel dinamismo per la pace: “Oggi nel mondo multiculturale e multireligioso c’è la tentazione di non parlare della specificità del cristianesimo, ma questo è sbagliato. Proprio in questo momento in cui c’è un grande abuso del nome di Dio, c’è la tentazione di non parlare della specificità del cristianesimo. Ma questo è sbagliato”. 

Proprio di fronte all’abuso del nome di Dio “occorre affermare che la croce vince con l’amore, affermare il volto di Dio che vince e porta luce e riconciliazione nel mondo”. Un atteggiamento profetico, quello del Papa, mite nel tratto, ma che va dritto alla sostanza delle cose e della dinamica della storia: “Alla violenza bisogna rispondere con l’amore che arriva fino alla morte, come quello di Cristo. Questo è il modo umile di vincere di Dio, non con un impero più forte, ma con l’amore che giunge fino alla fine. Questo è il vero modo di mettere fine alla violenza e di vincere il male”.
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[Fonte: SIR 21-23 luglio 2006]

   
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