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Il Papa in Germania. L'ecumenismo: la preghiera di mille «fratelli»

Appuntamento di spicco nel cammino ecumenico sarà la funzione liturgica del vespro ecumenico della sera di martedì 12 settembre, alle 18,30, nel duomo di Ratisbona. C'è molta attesa per questo momento, perché è previsto un intervento di benedetto XVI proprio sui temi dell'incontro con le altre confessioni cristiane. Invitati alla liturgia sono oltre 1000 rappresentanti di tutte le chiese cristiane: greco-ortodosse, evangelico-luterane, vecchi cattolici, battisti e molti altri membri della cmunità di lavoro con la Chiesa cattolica. «La predica del Santo Padre avrà un grosso impatto e significato», anticipa il vicario del duomo Werner Schrüfer, che ha organizzato l'incontro. «La cattedrale di Ratisbona in questo giorno rappresenterà una luce risplendente nel cammino ecumenico dei cristiani». Insieme al papa saranno presenti sull'altare anche i rappresentanti delle altre confessioni. 
 
Ratisbona ha sempre avuto un ruolo nel mondo tedesco come ponte d'incontro tra cattolici ed evangelici. Anche ai tempi della Riforma e degli scontri di religione qui convivevano comunità differenti in pace e in dialogo fra loro.
 
Vespri a  Regensburg, “Diventare vedenti per dare testimonianza". La fede come forza dell'amore.

La fede in Gesù come Figlio di Dio, l’essere testimoni e l’agape sono i tre aspetti che il Papa ha sottolineato, stasera, durante la celebrazione dei vespri nel duomo di Regensburg. Innanzitutto, è “la fede nel fatto che Gesù è il Figlio di Dio venuto nella carne” che “ci distingue come cristiani”. “Nell'epoca degli incontri multireligiosi – ha avvertito Benedetto XVI - siamo facilmente tentati di attenuare un po' questa confessione centrale o addirittura di nasconderla. Ma con ciò non rendiamo un servizio all'incontro, né al dialogo. Con ciò rendiamo soltanto Dio meno accessibile, per gli altri e per noi stessi”. “In questa nostra comune confessione e in questo nostro comune compito – ha aggiunto il Santo Padre - non esiste alcuna divisione tra noi”. In realtà, “la confessione deve diventare testimonianza”; anzi, “il testimone di Gesù Cristo deve affermare la sua testimonianza con l'intera sua esistenza, con la vita e con la morte”. Richiamando la I Lettera di San Giovanni, il quale spiega che “perché ha veduto, può essere testimone”, il Papa ha evidenziato che ciò “presuppone, però, che anche noi – le generazioni successive – siamo capaci di diventare vedenti, al fine di potere, come vedenti, dare testimonianza”. Oltre a pregare il Signore “di renderci vedenti”, Benedetto XVI ha esortato ad aiutarci “a vicenda a sviluppare questa capacità, per poter rendere vedenti anche gli uomini del nostro tempo, così che a loro volta, attraverso tutto il mondo da loro stessi costruito, riescano a riscoprire Dio”.

Per il Papa, oggi “solo mediante l'incontro con Gesù Cristo la vita diventa veramente vita”. “Essere testimone di Gesù Cristo significa soprattutto”, perciò, “essere testimone di un determinato modo di vivere”. “In un mondo pieno di confusione – ha chiarito Benedetto XVI - noi dobbiamo dare nuovamente testimonianza degli orientamenti che rendono una vita veramente vita. Questo importante compito comune a tutti i credenti lo dobbiamo affrontare con grande decisione: è responsabilità dei cristiani, in questa ora, di rendere visibili quegli orientamenti di un giusto vivere, che a noi si sono chiariti in Gesù Cristo”. Agape-amore è la terza parola evidenziata dal Santo Padre. “Agape – ha detto - non significa nulla di sentimentale e nulla di esaltato; è qualcosa di totalmente sobrio e realistico”. Insomma, “l’agape (l'amore) è veramente la sintesi della Legge e dei Profeti. In essa è ‘avviluppato’ tutto; un tutto, però, che nel quotidiano deve sempre di nuovo essere ‘sviluppato’”. “All'amore l'uomo può credere”, ha proseguito il Papa, richiamando il versetto 16 della I Lettera di San Giovanni, in cui “si trova la parola meravigliosa: ‘Noi abbiamo creduto all'amore’”. “Testimoniamo la nostra fede – ha concluso - così che appaia come forza dell'amore, ‘perché il mondo creda’”.
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[Fonte: SIR 12 settembre 2006]


Testo integrale del discorso

Cari fratelli e sorelle in Cristo!

Ci siamo riuniti – cristiani ortodossi, cattolici e protestanti – per cantare insieme le Lodi serali di Dio. Il cuore di questa liturgia sono i salmi, nei quali confluiscono l'Antica e la Nuova Alleanza e la nostra preghiera si unisce all'Israele credente che vive nella speranza. Questa è un'ora di gratitudine per il fatto che noi possiamo così pregare insieme e nel nostro rivolgerci al Signore, possiamo crescere contemporaneamente nell'unità anche tra noi.

Tra i partecipanti a questi Vespri vorrei salutare cordialmente innanzitutto i rappresentanti della Chiesa ortodossa. Ritengo già da sempre un grande dono della Provvidenza il fatto che, come professore a Bonn, ho avuto modo di conoscere e di amare la Chiesa ortodossa, per così dire, personalmente, cioè nelle persone di due giovani Archimandriti, diventati poi Metropoliti, Stylianos Harkianakis e Damaskinos Papandreou. A Ratisbona, grazie alle iniziative del Vescovo Graber, si aggiungevano ulteriori incontri: nei Simposi sul "Spindlhof" e a causa dei borsisti che hanno studiato qui. Sono lieto di poter rivedere qualche volto a me familiare e di trovare ravvivate le vecchie amicizie. Fra pochi giorni si riprenderà a Belgrado il dialogo teologico sul tema fondamentale della koinonia – nelle due dimensioni che la Prima Lettera di Giovanni ci indica subito all'inizio, nel primo capitolo. La nostra koinonia è anzitutto comunione col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo nello Spirito Santo; è la comunione con lo stesso Dio Trino, resa possibile dal Signore mediante la sua incarnazione e l'effusione dello Spirito. Questa comunione con Dio crea poi anche la koinonia tra gli uomini, come partecipazione alla fede degli Apostoli e così come comunione nella fede – una comunione che nell'Eucari­stia diventa "corporea", edificando l'unica Chiesa che si espande oltre tutti i confini (cfr 1 Gv 1,3). Io spero e prego che questi colloqui portino frutti e che la comunione col Dio vivente che ci unisce, come la comunione tra noi nella fede tramandata dagli Apostoli, si approfondiscano e maturino fino a quell'unità piena, dalla quale il mondo può riconoscere che Gesù Cristo è veramente l'inviato di Dio, il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo (cfr Gv 17,21). "Perché il mondo creda" è necessario che noi siamo una cosa sola: la serietà di questo impegno deve animare il nostro dialogo.

Saluto di cuore anche gli amici delle varie tradizioni della Riforma. Anche in questo contesto si risvegliano molti ricordi nel mio intimo: ricordi di amici del circolo Jäger-Stählin, che ormai sono deceduti; con questi ricordi si mescola la gratitudine per gli incontri di questa ora. Ovviamente, penso in particolare all'impegno di faticosa ricerca per trovare il consenso circa la giustificazione. Ricordo tutte le fasi di quel processo fino al memorabile incontro con il defunto Vescovo Hanselmann qui a Ratisbona – un incontro che poté contribuire in modo essenziale al raggiungimento della conclusione concorde. Sono lieto che nel frattempo anche il "Consiglio mondiale delle Chiese metodiste" abbia aderito a tale Dichiarazione. Il consenso circa la giustificazione resta per noi un grande impegno, in realtà non ancora totalmente adempiuto: nella teologia la giustificazione è un tema essenziale, ma nella vita dei fedeli – mi pare – oggi appena presente. Anche se a causa degli eventi drammatici del nostro tempo il tema del perdono reciproco si mostra di nuovo in tutta la sua urgenza – del fatto che ci è necessario innanzitutto il perdono da parte di Dio, la giustificazione per mezzo di Lui, si è poco consapevoli. In gran parte non risulta più alla coscienza moderna il fatto che davanti a Dio abbiamo veramente dei debiti e che il peccato è una realtà che può essere superata soltanto per iniziativa di Dio. Dietro a questo affievolirsi del tema della giustificazione e del perdono dei peccati sta in definitiva un indebolimento del nostro rapporto con Dio. Per questo, il nostro primo compito sarà forse quello di riscoprire in modo nuovo il Dio vivente nella nostra vita.

Ascoltiamo ora con questo proposito ciò che san Giovanni intendeva dirci poco fa nella lettura biblica. Vorrei sottolineare in modo particolare tre affermazioni di questo testo complesso e ricco. Il tema centrale di tutta la Lettera appare nel versetto 15: "Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio". Ancora una volta, come già prima nei versetti 2 e 3 del quarto capitolo, Giovanni mette in luce la confessione che, in fondo, ci distingue come cristiani: la fede, cioè, nel fatto che Gesù è il Figlio di Dio venuto nella carne. "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato", si legge alla fine del prologo del quarto Vangelo (Gv 1,18). Chi è Dio, lo sappiamo da Gesù Cristo: dall'unico che è Dio. È mediante Lui che veniamo in contatto con Dio. Nell'epoca degli incontri multireligiosi siamo facilmente tentati di attenuare un po' questa confessione centrale o addirittura di nasconderla. Ma con ciò non rendiamo un servizio all'incontro, né al dialogo. Con ciò rendiamo soltanto Dio meno accessibile, per gli altri e per noi stessi. È importante che noi poniamo in discussione in modo completo e non soltanto frammentario la nostra immagine di Dio. Per esserne capaci, deve crescere ed approfondirsi la nostra comunione personale con Cristo e il nostro amore per Lui. In questa nostra comune confessione e in questo nostro comune compito non esiste alcuna divisione tra noi. Vogliamo pregare, affinché questo fondamento comune si rafforzi sempre di più.

Con ciò ci troviamo già dentro al secondo argomento che intendevo toccare. Di esso si parla nel versetto 14 dove si legge: "Noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo". La parola centrale di questa frase è: μαρτυρουμεν – testimoniamo, siamo testimoni. La confessione deve diventare testimonianza. La parola soggiacente μάρτυς  rievoca il fatto, che il testimone di Gesù Cristo deve affermare la sua testimonianza con l'intera sua esistenza, con la vita e con la morte. L'autore della Lettera dice di sé: "Noi abbiamo veduto". Perché ha veduto, egli può essere testimone. Presuppone, però, che anche noi – le generazioni successive – siamo capaci di diventare vedenti, al fine di potere, come vedenti, dare testimonianza. Preghiamo dunque il Signore di renderci vedenti! Aiutiamoci a vicenda a sviluppare questa capacità, per poter rendere vedenti anche gli uomini del nostro tempo, così che a loro volta, attraverso tutto il mondo da loro stessi costruito, riescano a riscoprire Dio! Perché, attraverso tutte le barriere storiche, possano di nuovo scorgere Gesù, il Figlio mandato da Dio, nel quale vediamo il Padre. Nel versetto 9 si dice che Dio ha mandato il Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita. Non possiamo forse costatare oggi che solo mediante l'incontro con Gesù Cristo la vita diventa veramente vita? Essere testimone di Gesù Cristo significa soprattutto: essere testimone di un determinato modo di vivere. In un mondo pieno di confusione, noi dobbiamo dare nuovamente testimonianza degli orientamenti che rendono una vita veramente vita. Questo importante compito comune a tutti i credenti lo dobbiamo affrontare con grande decisione: è responsabilità dei cristiani, in questa ora, di rendere visibili quegli orientamenti di un giusto vivere, che a noi si sono chiariti in Gesù Cristo. Egli ha riassunto nel suo cammino di vita tutte le parole della Scrittura: "Ascoltatelo!" (Mc 9,7).

Con ciò siamo giunti alla terza parola che, in questa Lettura, volevo mettere in rilievo: agape – amore. È questa la parola guida di tutta la Lettera e specialmente del brano che abbiamo ascoltato. Agape non significa nulla di sentimentale e nulla di esaltato; è qualcosa di totalmente sobrio e realistico. Ho cercato di spiegarne qualcosa nella mia Enciclica Deus caritas est. L'agape (l'amore) è veramente la sintesi della Legge e dei Profeti. In essa è "avviluppato" tutto; un tutto, però, che nel quotidiano deve sempre di nuovo essere "sviluppato". Nel versetto 16 del nostro testo si trova la parola meravigliosa: "Noi abbiamo creduto all'amore". Sì, all'amore l'uomo può credere. Testimoniamo la nostra fede così che appaia come forza dell'amore, "perché il mondo creda" (Gv 17,21)! Amen!

 
   
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