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L’importanza del viaggio di Benedetto XVI in un’Inghilterra che sta perdendo la
sua identità
di Francesco Agnoli
Benedetto XVI è un pontefice che preferisce ridurre al minimo i suoi
viaggi, per poter governare meglio la barca di Pietro, senza essere costretto a
delegare troppo.
Ciononostante il Papa compirà, a breve, un viaggio delicatissimo in Inghilterra.
Non sarà un’esperienza facile. Da mesi e mesi i suoi nemici gli preparano una
accoglienza burrascosa. Il fatto è che l’Inghilterra, per un successore di
Pietro, è una terra di leoni. Dall’epoca dello scisma di Enrico VIII, infatti,
il Papa è identificato col nemico del paese e i cattolici sono gli odiati
“papisti”. Fu proprio Enrico a inaugurare la politica della calunnia come arma
principale per difendere la sua decisione di umiliare Caterina d’Aragona. Il
popolo infatti era contrario sia al ripudio della sposa, sia allo scisma.
Occorreva convincerlo, in un modo o nell’altro. Molti nobili e borghesi furono
comperati dal sovrano che cedette loro, per pochi soldi, tutte le proprietà
della chiesa cattolica confiscate. Ma la gente fu più difficile da persuadere.
La politica adottata fu allora quella di obbligare teologi, sacerdoti, dignitari
vari, a prendere posizione per il re, scrivendo libri, saggi, drammi teatrali,
in cui il Papa veniva presentato come un avido monarca desideroso di
impadronirsi dell’Inghilterra e come un nemico del Vangelo, tirato a destra e a
sinistra perché risultasse filo-Enrico VIII.
Da allora in poi, complici le guerre con la cattolica Spagna, il Papa
nemico del paese divenne un dogma della chiesa di stato anglicana. Per capire
come possano essere cresciute generazioni di inglesi, basta leggere “La chiesa
cattolica” di G.K.Chesterton, recentemente ripubblicato da Lindau. Per spiegare
la sua conversione al cattolicesimo, il celebre giornalista mette in luce due
aspetti. Il primo: la difficoltà per un inglese di vincere gli infiniti
pregiudizi contro i cattolici disseminati qua e là, in sermoni, romanzi,
riviste, che li portano a un vero e proprio “terrore del papismo”. La seconda:
la difficoltà per un anglicano di essere nel contempo patriota e aperto a una
fratellanza universale. Proprio analizzando lo strettissimo legame tra
patriottismo inglese, corona e chiesa anglicana, Chesterton conclude: “In questo
senso il protestantesimo è patriottismo, ma per sfortuna non è nient’altro.
Parte da lì e non va mai oltre”. Il cattolico universalista considera l’amore
per la patria un dovere dell’uomo, ma “non il suo unico dovere, come avveniva
invece nella teoria prussiana dello stato e, troppo spesso, in quella britannica
dell’impero”.
Da Newman a Marshall
Detto questo, bisogna ricordare che verso la fine dell’Ottocento e la prima metà
del Novecento, la Gran Bretagna ha conosciuto moltissime conversioni alla chiesa
di Roma: da Newman, a Chesterton, allo scrittore Bruce Marshall, autore dello
splendido “A ogni uomo un soldo”, sino a R.H.Benson ed Evelyn Waugh… Tutti
questi personaggi hanno sentito il fascino di Roma, della sua universalità,
evidente nei suoi dogmi e soprattutto nella sua liturgia latina. Tutti costoro
hanno amato nella chiesa cattolica la sua libertà da un particolare potere
politico, insita nella sua universalità, così lontana dal pregiudizio
velatamente razzista presente nella cultura britannica. Nei loro libri compaiono
spesso preghiere in latino, formule antichissime della fede cattolica, che
stanno al di fuori del tempo e dello spazio, unendo ogni singolo fedele con i
suoi fratelli, di ogni luogo e di ogni tempo.
Poi, in seguito al Concilio
Vaticano II, il flusso di conversioni in Inghilterra si è arenato, per
riprendere solamente, e vigorosamente, dopo l’elezione al soglio pontificio di
Benedetto XVI, il motu proprio sulla messa antica e una nuova concezione
dell’ecumenismo. Così abbiamo assistito a un fenomeno che per un cattolico è
provvidenziale: moltissimi anglicani, dopo secoli e secoli, hanno chiesto di
rientrare nella chiesa di Roma! Questo ritorno in massa è stato favorito senza
dubbio da più elementi. Anzitutto dal graduale dissolversi della vecchia
mentalità britannica. L’Inghilterra non è più, da tempo, un impero che governa
sui mari, né il paese che afferma di prendersi sulle spalle “il fardello” della
civilizzazione degli altri popoli. Una religione patriottica oggi, nel mondo
anglosassone, è sempre più improponibile. In secondo luogo è la società inglese
che sta dissolvendosi. Uno straordinario osservatore del mondo anglosassone,
Gianfranco Amato, autore di “Un anno alla finestra”, ricorda per esempio che
oggi in Inghilterra il nome più diffuso tra i neonati maschi di Londra è Mohamed,
mentre gli aborti sono ben 500 al giorno. Numeri che dicono della graduale
sparizione di un popolo. Che avviene mentre le gerarchie anglicane non sanno
opporre nulla al nichilismo imperante, ma anzi si mettono al traino.
Inevitabile che mentre l’odio contro Benedetto XVI monta, cresca anche il numero
dei britannici che cercano una fede solida, vera, che non ceda al mondo. “La
chiesa cattolica – scriveva Chesterton – è l’unica in grado di salvare l’uomo da
una schiavitù degradante, quella di essere figlio del suo tempo”. Per questo
lotta e sopravvive. Cambiati i tempi, qualcuno inizierà ad accorgersi che i
vecchi dogmi di un’epoca erano fasulli e transitori, mentre il Vangelo rimane
sempre “nuovo”, e attuale.
Tratto da Il Foglio del 9 settembre 2010
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