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Rapiti dalla bellezza, cerchiamo quel Volto. Il Papa al Santuario del Volto Santo a Manoppello
Davide Rondoni, su Avvenire 1 settembre 2006

In ginocchio, davanti al velo della Veronica. Si è messo nei panni loro. Di quelli che aveva davanti, i suoi preti. E dei primi, i discepoli. Il Papa è sempre, per così dire, nei panni dei primi e degli ultimi dei cristiani. Di coloro che da vicino vedendo Gesù si chiedevano: ma chi è quest'uomo? E di quelli che ieri erano attorno a lui nel santuario di Manoppello: e li ha invitati sulle rive del Giordano. Ha detto: siete «persone che mi piace considerare innamorate di Cristo, attratte da Lui e impegnate a fare della propria esistenza una continua ricerca del suo Santo Volto». Non si è messo a dire: «Ragazzi, quanto tempo è passato... Quanta strada abbiamo fatto…». E nemmeno: «Quanti problemi cari confratelli, non ce la passiamo benissimo, il mondo è distratto, spesso ostile…». No, ha detto: anche noi come i primi due discepoli, come Andrea e Giovanni, cerchiamo il volto di Gesù, di Dio. Quel volto. Come i due che rimasero colpiti dall'incontro con l'uomo indicato da Giovanni Battista sulle rive del Giordano. E ha aggiunto. «Ma quanta strada avevano ancora davanti a loro quei discepoli! Non potevano nemmeno immaginare quanto il mistero di Gesù di Nazareth potesse essere profondo; quanto il suo "volto" potesse rivelarsi insondabile, imperscrutabile»

Il cristiano è un uomo che vive un'attrattiva, che subisce il colpo di un incontro affascinante. Quell'incontro sta all'inizio di una strada lungo la quale il volto di Cristo si chiarisce. Poiché è, dice Papa Benedetto, insondabile. Abitato da un Mistero. Vivo di una vita infinita, che è quella di Dio, del Padre della vita. Incontrare, guardare quel volto rende la vita - dentro a ogni limite - toccata dalla letizia, e libera dal veleno della disperazione.
Così come i primi si chiedevano chi era davvero quell'uomo incontrato sulla riva, e si domandavano cosa occorreva per stare con lui, anche il Papa ieri si è fatto quelle domande. Le stesse. Con la medesima urgenza e curiosità. Sono necessarie mani innocenti, ha detto. E cuore puro. Ho pensato: se innocenti vuol dire senza macchia, io non li ho. Né mani innocenti, né cuore puro. E come me, credo in tanti. Chi potrà vedere il volto di Cristo? Cosa sono quelle mani innocenti? Mani che non sbagliano? Un cuore puro è forse senza ombre? Ma chi non ne ha? Benedetto dice: «Per riconoscere il volto del Signore in quello dei fratelli e nelle vicende di ogni giorno, sono necessarie mani innocenti e cuori puri». Mani innocenti, cioè «esistenze illuminate dalla verità dell'amore che vince l'indifferenza, il dubbio, la menzogna e l'egoismo; ed inoltre sono necessari cuori puri, cuori rapiti dalla bellezza divina, come dice la piccola Teresa di Lisieux nella sua preghiera al Volto Santo, cuori che portano impresso il volto di Cristo». L'innocenza non è qualcosa da difendere. Non è innocente l'uomo che non sbaglia mai. Sarebbe un uomo impossibile. Un uomo come lo sognano le ideologie di tutti i tempi, ieri la marxista, oggi la scientista o la fondamentalista. Significherebbe un cristianesimo per uomini che non esistono. Il Papa lo spiega chiaro: l'innocenza c'è nelle «esistenze che la verità dell'amore illumina». Quando l'amore rompe i mali della vita. Le mani innocenti sono quelle che non si oppongono a questa luce. Che la cercano. Non mani ritirate, sterilizzate, sguardi sempre chini, mezze vite. Cuori intiepiditi. Ma come quelli di Giovanni e Andrea: volti protesi, sguardi curiosi, cuori accesi. "Rapiti" da una bellezza senza pari. Come di chi sta vivendo un amore, il cui premio vero non è il vanto della coerenza, ma la gioia di vedere il volto amato.

Discorso del Papa presso il Santuario del Santo Volto a Manoppello
1 settembre 2006

Venerato Fratello nell’Episcopato,
cari fratelli e sorelle!

Desidero in primo luogo ringraziare il Signore per l’odierno incontro, semplice e familiare, in un luogo dove possiamo meditare sul mistero dell’amore divino contemplando l’icona del Volto Santo. A voi tutti qui presenti va il mio grazie più sentito per la vostra cordiale accoglienza e per l’impegno e la discrezione con cui avete favorito questo mio privato pellegrinaggio. Saluto e ringrazio in particolare il vostro Arcivescovo che si è fatto interprete dei comuni sentimenti. Grazie per i doni che mi avete offerto e che apprezzo molto proprio nella loro qualità di "segni", come li ha chiamati Mons. Forte. Sono segni, infatti, della comunione affettiva ed effettiva che lega il popolo di questa cara terra d’Abruzzo al Successore di Pietro. Un saluto speciale rivolgo a voi, sacerdoti, religiosi e religiose e seminaristi qui convenuti. Non essendo possibile incontrare l’intera Comunità diocesana, sono contento che a rappresentarla ci siate voi, persone già dedite al ministero presbiterale e alla vita consacrata o incamminate verso il sacerdozio. Persone che mi piace considerare innamorate di Cristo, attratte da Lui e impegnate a fare della propria esistenza una continua ricerca del suo Santo Volto. Un grato pensiero rivolgo infine alla comunità dei Padri Cappuccini, che ci ospita, e che da secoli si prende cura di questo santuario, meta di tanti pellegrini.
Mentre poc’anzi sostavo in preghiera, pensavo ai primi due Apostoli, che, sollecitati da Giovanni Battista, seguirono Gesù presso il fiume Giordano – come leggiamo all’inizio del Vangelo di Giovanni (cfr Gv 1,35-37). L’evangelista narra che Gesù si voltò e domandò loro: "Che cercate?".

Essi risposero: "Rabbi, dove abiti?". Ed egli: "Venite e vedrete" (cfr Gv 1,38-39). Quel giorno stesso i due che Lo seguirono fecero un’esperienza indimenticabile, che li portò a dire: "Abbiamo trovato il Messia" (Gv 1,41). Colui che poche ore prima consideravano un semplice "rabbi", aveva acquistato una identità ben precisa, quella del Cristo atteso da secoli. Ma, in realtà, quanta strada avevano ancora davanti a loro quei discepoli! Non potevano nemmeno immaginare quanto il mistero di Gesù di Nazaret potesse essere profondo; quanto il suo "volto" potesse rivelarsi insondabile, imperscrutabile. Tanto che, dopo aver vissuto insieme tre anni, Filippo, uno di loro, si sentirà dire nell’Ultima Cena: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?". E poi quelle parole che esprimono tutta la novità della rivelazione di Gesù: "Chi ha visto me ha visto il Padre" (Gv 14,9). Solo dopo la sua passione, quando lo incontreranno risorto, quando lo Spirito illuminerà le loro menti e i loro cuori, gli Apostoli comprenderanno il significato delle parole che Gesù aveva detto, e Lo riconosceranno come il Figlio di Dio, il Messia promesso per la redenzione del mondo. Diventeranno allora suoi messaggeri infaticabili, testimoni coraggiosi sino al martirio.

"Chi ha visto me ha visto il Padre". Sì, cari fratelli e sorelle, per "vedere Dio" bisogna conoscere Cristo e lasciarsi plasmare dal suo Spirito che guida i credenti "alla verità tutta intera" (cfr Gv 16, 13). Chi incontra Gesù, chi si lascia da Lui attrarre ed è disposto a seguirlo sino al sacrificio della vita, sperimenta personalmente, come Egli ha fatto sulla croce, che solo il "chicco di grano" che cade nella terra e muore porta "molto frutto" (cfr Gv 12,24). Questa è la via di Cristo, la via dell’amore totale che vince la morte: chi la percorre e "odia la sua vita in questo mondo, la conserva per la vita eterna" (Gv 12, 25). Vive cioè in Dio già su questa terra, attratto e trasformato dal fulgore del suo volto. Questa è l’esperienza dei veri amici di Dio, i santi, che hanno riconosciuto e amato nei fratelli, specialmente i più poveri e bisognosi, il volto di quel Dio a lungo contemplato con amore nella preghiera. Essi sono per noi incoraggianti esempi da imitare; ci assicurano che se percorriamo con fedeltà questa via, la via dell’amore, anche noi – come canta il Salmista – ci sazieremo della presenza di Dio (cfr Sal 16[17],15).

"Jesu... quam bonus te quaerentibus! - Quanto sei buono, Gesù, per chi ti cerca!": così avete cantato poco fa eseguendo l’antico inno "Jesu, dulcis memoria", che qualcuno attribuisce a San Bernardo. E’ un inno che acquista singolare eloquenza in questo santuario dedicato al Volto Santo e che richiama alla mente il Salmo 23(24): "Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe" (v. 6). Ma quale è "la generazione" che cerca il volto di Dio, quale generazione è degna di "salire il monte del Signore", di "stare nel suo luogo santo"? Spiega il salmista: sono coloro che hanno "mani innocenti e cuore puro", che non pronunciano menzogna, che non giurano a danno del loro prossimo (cfr vv. 3-4). Dunque, per entrare in comunione con Cristo e contemplarne il volto, per riconoscere il volto del Signore in quello dei fratelli e nelle vicende di ogni giorno, sono necessarie "mani innocenti e cuori puri". Mani innocenti, cioè esistenze illuminate dalla verità dell’amore che vince l’indifferenza, il dubbio, la menzogna e l’egoismo; ed inoltre sono necessari cuori puri, cuori rapiti dalla bellezza divina, come dice la piccola Teresa di Lisieux nella sua preghiera al Volto Santo, cuori che portano impresso il volto di Cristo.

Cari sacerdoti, se resta impressa in voi, pastori del gregge di Cristo, la santità del suo Volto, non abbiate timore, anche i fedeli affidati alle vostre cure ne saranno contagiati e trasformati. E voi, seminaristi, che vi preparate ad essere guide responsabili del popolo cristiano, non lasciatevi attrarre da null’altro che da Gesù e dal desiderio di servire la sua Chiesa. Altrettanto vorrei dire a voi, religiosi e religiose, perché ogni vostra attività sia un visibile riflesso della bontà e della misericordia divina. "Il tuo volto, Signore, io cerco": ricercare il volto di Gesù deve essere l’anelito di tutti noi cristiani; siamo infatti noi "la generazione" che in questo tempo cerca il suo volto, il volto del "Dio di Giacobbe". Se perseveriamo nel cercare il volto del Signore, al termine del nostro pellegrinaggio terreno sarà Lui, Gesù, il nostro eterno gaudio, la nostra ricompensa e gloria per sempre: "Sis Jesu nostrum gaudium, / qui es futurus praemium: / sit nostra in te gloria, / per cuncta semper saecula".

Questa è la certezza che ha animato i santi della vostra regione, tra i quali mi piace citare particolarmente Gabriele dell’Addolorata e Camillo de Lellis; a loro va il nostro ricordo riverente e la nostra preghiera. Ma un pensiero di speciale devozione rivolgiamo ora alla "Regina di tutti i santi", la Vergine Maria, che voi venerate in diversi santuari e cappelle sparsi nelle valli e sui monti abruzzesi. La Madonna, nel cui volto più che in ogni altra creatura si scorgono i lineamenti del Verbo incarnato, vegli sulle famiglie e sulle parrocchie, sulle città e sulle nazioni del mondo intero. Ci aiuti la Madre del Creatore a rispettare anche la natura, grande dono di Dio che qui possiamo ammirare guardando le stupende montagne che ci circondano. Questo dono, però, è sempre più esposto a seri rischi di degrado ambientale e va pertanto difeso e tutelato. Si tratta di un’urgenza che, come notava il vostro Arcivescovo, è opportunamente posta in evidenza dalla Giornata di riflessione e di preghiera per la salvaguardia del creato, che proprio oggi viene celebrata dalla Chiesa in Italia.

Cari fratelli e sorelle, mentre ancora una volta vi ringrazio per la vostra presenza, su tutti voi e sui vostri cari invoco la benedizione di Dio con l’antica formula biblica: "Vi benedica il Signore e vi protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di voi e vi sia propizio. Il Signore rivolga su di voi il suo volto e vi conceda pace" (cfr Nm 6, 24-26). Amen!

Per saperne di più:

Una reliquia molto interessante, e non abbastanza conosciuta è conservata nel Santuario del Volto Santo di Manoppello, un piccolo comune abruzzese, ai piedi della Maiella, non lontano da Chieti.

A Manoppello si custodisce da 500 anni un misterioso velo che riproduce i lineamenti di un uomo, identificato con il Cristo.

Questo velo - anche se è strabiliante da credersi - il celebre velo della Veronica. Quel velo cioè che la pia donna durante la Via Crucis passò sul volto del Signore, per asciugare il sudore e il sangue.

Ma da quali testimonianze arriverebbe questa prodigiosa identificazione ?

Da una famosa “Tradizione Historica” scritta dal frate cappuccino Padre Donato da Bomba.

Questi racconta che in un imprecisato giorno del 1506 un misterioso pellegrino, recante con sé un prezioso involucro, giunto presso la chiesa parrocchiale, invitò il dott. Giacomantonio Leonelli, persona colta e di buona reputazione, che stava conversando con gli amici, a seguirlo all’interno della chiesa. Qui gli consegnò il dono.

Il dottore apre il pacchetto e vede un panno su cui è impressa un’immagine di Gesù. Ne ammirava stupito la bellezza delicata e quasi divina del volto, mentre in silenzio ascoltava le raccomandazioni dello sconosciuto benefattore: “abbine cura, custodiscilo come un dono del cielo, veneralo, sarà per te e per la tua famiglia fonte di grazie e auspicio di protezione”.

Quando il Leonelli, assorto e visibilmente commosso, alzò il capo per ringraziare il pellegrino, questi era scomparso senza che nessuno si fosse accorto di lui.

Poi la sacra Immagine, dopo essere stata per 10 anni nella casa di Pancrazio Petrucci, militare, e altri 20 anni nella casa del dottor Donatantonio de Fabritiis, nel 1638, regalata ai frati Cappuccini, fu collocata nel santuario, dove è rimasta fino ad oggi.

Il velo di Manoppello presenta queste stupefacenti caratteristiche:

Si tratta di un velo tenue, i fili orizzontali del tessuto sono ondeggianti e di semplice struttura, l'ordito e la trama si intrecciano nella forma di una normale tessitura. Le misure del panno sono 17 x 24 cm. é l'immagine di un viso maschile con i capelli lunghi e la barba divisa a bande.

Caso unico al mondo in cui l'immagine è visibile identicamente da ambedue le parti.

Le tonalità del colore sono sul marrone, le labbra sono di colore leggermente rosse, sembrano annullare ogni aspetto materiale. Non sono riscontrabili residui o pigmenti di colore.

Le due guance sono disuguali: l'una, più arrotondata dell'altra, si mostra considerevolmente rigonfia. Gli occhi guardano molto intensamente da una parte e verso l'alto perciò si vede il bianco del globo oculare sotto l'iride. Le pupille sono completamente aperte, ma in modo irregolare. Nel mezzo, sopra la fronte si trova un ciuffo di capelli, corti e mossi a mò di vortice.

Fin qui il velo. Sulla ricostruzione del percorso che identificherebbe il velo di Manoppello con il famoso velo di Camulia, trasportato dalla Cappadocia a Costantinopoli nel 574 d.C. e da qui trasportato a Roma nel 705, per essere conservata al Laterano (dopo aver fatto da matrice alla celebre Icona Acheropita del Sancta Sanctorum alla Scala Santa !!), e poi nuovamente trafugata, consiglio una visita illuminante al sito: www.voltosanto.it

Fabrizio Falconi 6 giugno 2006
http://mysterium.blogosfere.it/2006/05/il_velo_di_mano.html 

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