Il cristiano è un uomo che vive un'attrattiva, che subisce
il colpo di un incontro affascinante. Quell'incontro sta all'inizio di una
strada lungo la quale il volto di Cristo si chiarisce. Poiché è, dice Papa
Benedetto, insondabile. Abitato da un Mistero. Vivo di una vita infinita, che
è quella di Dio, del Padre della vita. Incontrare, guardare quel volto rende
la vita - dentro a ogni limite - toccata dalla letizia, e libera dal veleno
della disperazione.
Così come i primi si chiedevano chi era davvero quell'uomo incontrato sulla
riva, e si domandavano cosa occorreva per stare con lui, anche il Papa ieri si
è fatto quelle domande. Le stesse. Con la medesima urgenza e curiosità. Sono
necessarie mani innocenti, ha detto. E cuore puro. Ho pensato: se innocenti
vuol dire senza macchia, io non li ho. Né mani innocenti, né cuore puro. E
come me, credo in tanti. Chi potrà vedere il volto di Cristo? Cosa sono
quelle mani innocenti? Mani che non sbagliano? Un cuore puro è forse senza
ombre? Ma chi non ne ha? Benedetto dice: «Per riconoscere il volto del
Signore in quello dei fratelli e nelle vicende di ogni giorno, sono necessarie
mani innocenti e cuori puri». Mani innocenti, cioè «esistenze illuminate
dalla verità dell'amore che vince l'indifferenza, il dubbio, la menzogna e
l'egoismo; ed inoltre sono necessari cuori puri, cuori rapiti dalla bellezza
divina, come dice la piccola Teresa di Lisieux nella sua preghiera al Volto
Santo, cuori che portano impresso il volto di Cristo». L'innocenza non è
qualcosa da difendere. Non è innocente l'uomo che non sbaglia mai. Sarebbe un
uomo impossibile. Un uomo come lo sognano le ideologie di tutti i tempi, ieri
la marxista, oggi la scientista o la fondamentalista. Significherebbe un
cristianesimo per uomini che non esistono. Il Papa lo spiega chiaro:
l'innocenza c'è nelle «esistenze che la verità dell'amore illumina».
Quando l'amore rompe i mali della vita. Le mani innocenti sono quelle che non
si oppongono a questa luce. Che la cercano. Non mani ritirate, sterilizzate,
sguardi sempre chini, mezze vite. Cuori intiepiditi. Ma come quelli di
Giovanni e Andrea: volti protesi, sguardi curiosi, cuori accesi.
"Rapiti" da una bellezza senza pari. Come di chi sta vivendo un
amore, il cui premio vero non è il vanto della coerenza, ma la gioia di
vedere il volto amato.
Discorso del Papa presso il Santuario del Santo Volto a
Manoppello
1 settembre 2006
Venerato Fratello nell’Episcopato,
cari fratelli e sorelle!
Desidero in primo luogo ringraziare il Signore per l’odierno incontro,
semplice e familiare, in un luogo dove possiamo meditare sul mistero dell’amore
divino contemplando l’icona del Volto Santo. A voi tutti qui presenti va il
mio grazie più sentito per la vostra cordiale accoglienza e per l’impegno e
la discrezione con cui avete favorito questo mio privato pellegrinaggio.
Saluto e ringrazio in particolare il vostro Arcivescovo che si è fatto
interprete dei comuni sentimenti. Grazie per i doni che mi avete offerto e che
apprezzo molto proprio nella loro qualità di "segni", come li ha
chiamati Mons. Forte. Sono segni, infatti, della comunione affettiva ed
effettiva che lega il popolo di questa cara terra d’Abruzzo al Successore di
Pietro. Un saluto speciale rivolgo a voi, sacerdoti, religiosi e religiose e
seminaristi qui convenuti. Non essendo possibile incontrare l’intera
Comunità diocesana, sono contento che a rappresentarla ci siate voi, persone
già dedite al ministero presbiterale e alla vita consacrata o incamminate
verso il sacerdozio. Persone che mi piace considerare innamorate di Cristo,
attratte da Lui e impegnate a fare della propria esistenza una continua
ricerca del suo Santo Volto. Un grato pensiero rivolgo infine alla comunità
dei Padri Cappuccini, che ci ospita, e che da secoli si prende cura di questo
santuario, meta di tanti pellegrini.
Mentre poc’anzi sostavo in preghiera, pensavo ai primi due Apostoli, che,
sollecitati da Giovanni Battista, seguirono Gesù presso il fiume Giordano –
come leggiamo all’inizio del Vangelo di Giovanni (cfr Gv 1,35-37). L’evangelista
narra che Gesù si voltò e domandò loro: "Che cercate?".
Essi risposero: "Rabbi, dove abiti?". Ed egli: "Venite e
vedrete" (cfr Gv 1,38-39). Quel giorno stesso i due che Lo seguirono
fecero un’esperienza indimenticabile, che li portò a dire: "Abbiamo
trovato il Messia" (Gv 1,41). Colui che poche ore prima consideravano un
semplice "rabbi", aveva acquistato una identità ben precisa, quella
del Cristo atteso da secoli. Ma, in realtà, quanta strada avevano ancora
davanti a loro quei discepoli! Non potevano nemmeno immaginare quanto il
mistero di Gesù di Nazaret potesse essere profondo; quanto il suo
"volto" potesse rivelarsi insondabile, imperscrutabile. Tanto che,
dopo aver vissuto insieme tre anni, Filippo, uno di loro, si sentirà dire
nell’Ultima Cena: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai
conosciuto, Filippo?". E poi quelle parole che esprimono tutta la novità
della rivelazione di Gesù: "Chi ha visto me ha visto il Padre" (Gv
14,9). Solo dopo la sua passione, quando lo incontreranno risorto, quando lo
Spirito illuminerà le loro menti e i loro cuori, gli Apostoli comprenderanno
il significato delle parole che Gesù aveva detto, e Lo riconosceranno come il
Figlio di Dio, il Messia promesso per la redenzione del mondo. Diventeranno
allora suoi messaggeri infaticabili, testimoni coraggiosi sino al martirio.
"Chi ha visto me ha visto il Padre". Sì, cari fratelli e sorelle,
per "vedere Dio" bisogna conoscere Cristo e lasciarsi plasmare dal
suo Spirito che guida i credenti "alla verità tutta intera" (cfr Gv
16, 13). Chi incontra Gesù, chi si lascia da Lui attrarre ed è disposto a
seguirlo sino al sacrificio della vita, sperimenta personalmente, come Egli ha
fatto sulla croce, che solo il "chicco di grano" che cade nella
terra e muore porta "molto frutto" (cfr Gv 12,24). Questa è la via
di Cristo, la via dell’amore totale che vince la morte: chi la percorre e
"odia la sua vita in questo mondo, la conserva per la vita eterna" (Gv
12, 25). Vive cioè in Dio già su questa terra, attratto e trasformato dal
fulgore del suo volto. Questa è l’esperienza dei veri amici di Dio, i
santi, che hanno riconosciuto e amato nei fratelli, specialmente i più poveri
e bisognosi, il volto di quel Dio a lungo contemplato con amore nella
preghiera. Essi sono per noi incoraggianti esempi da imitare; ci assicurano
che se percorriamo con fedeltà questa via, la via dell’amore, anche noi –
come canta il Salmista – ci sazieremo della presenza di Dio (cfr Sal
16[17],15).
"Jesu... quam bonus te quaerentibus! - Quanto sei buono, Gesù, per chi
ti cerca!": così avete cantato poco fa eseguendo l’antico inno "Jesu,
dulcis memoria", che qualcuno attribuisce a San Bernardo. E’ un inno
che acquista singolare eloquenza in questo santuario dedicato al Volto Santo e
che richiama alla mente il Salmo 23(24): "Ecco la generazione che lo
cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe" (v. 6). Ma quale è
"la generazione" che cerca il volto di Dio, quale generazione è
degna di "salire il monte del Signore", di "stare nel suo luogo
santo"? Spiega il salmista: sono coloro che hanno "mani innocenti e
cuore puro", che non pronunciano menzogna, che non giurano a danno del
loro prossimo (cfr vv. 3-4). Dunque, per entrare in comunione con Cristo e
contemplarne il volto, per riconoscere il volto del Signore in quello dei
fratelli e nelle vicende di ogni giorno, sono necessarie "mani innocenti
e cuori puri". Mani innocenti, cioè esistenze illuminate dalla verità
dell’amore che vince l’indifferenza, il dubbio, la menzogna e l’egoismo;
ed inoltre sono necessari cuori puri, cuori rapiti dalla bellezza divina, come
dice la piccola Teresa di Lisieux nella sua preghiera al Volto Santo, cuori
che portano impresso il volto di Cristo.
Cari sacerdoti, se resta impressa in voi, pastori del gregge di Cristo, la
santità del suo Volto, non abbiate timore, anche i fedeli affidati alle
vostre cure ne saranno contagiati e trasformati. E voi, seminaristi, che vi
preparate ad essere guide responsabili del popolo cristiano, non lasciatevi
attrarre da null’altro che da Gesù e dal desiderio di servire la sua
Chiesa. Altrettanto vorrei dire a voi, religiosi e religiose, perché ogni
vostra attività sia un visibile riflesso della bontà e della misericordia
divina. "Il tuo volto, Signore, io cerco": ricercare il volto di
Gesù deve essere l’anelito di tutti noi cristiani; siamo infatti noi
"la generazione" che in questo tempo cerca il suo volto, il volto
del "Dio di Giacobbe". Se perseveriamo nel cercare il volto del
Signore, al termine del nostro pellegrinaggio terreno sarà Lui, Gesù, il
nostro eterno gaudio, la nostra ricompensa e gloria per sempre: "Sis Jesu
nostrum gaudium, / qui es futurus praemium: / sit nostra in te gloria, / per
cuncta semper saecula".
Questa è la certezza che ha animato i santi della vostra regione, tra i quali
mi piace citare particolarmente Gabriele dell’Addolorata e Camillo de Lellis;
a loro va il nostro ricordo riverente e la nostra preghiera. Ma un pensiero di
speciale devozione rivolgiamo ora alla "Regina di tutti i santi", la
Vergine Maria, che voi venerate in diversi santuari e cappelle sparsi nelle
valli e sui monti abruzzesi. La Madonna, nel cui volto più che in ogni altra
creatura si scorgono i lineamenti del Verbo incarnato, vegli sulle famiglie e
sulle parrocchie, sulle città e sulle nazioni del mondo intero. Ci aiuti la
Madre del Creatore a rispettare anche la natura, grande dono di Dio che qui
possiamo ammirare guardando le stupende montagne che ci circondano. Questo
dono, però, è sempre più esposto a seri rischi di degrado ambientale e va
pertanto difeso e tutelato. Si tratta di un’urgenza che, come notava il
vostro Arcivescovo, è opportunamente posta in evidenza dalla Giornata di
riflessione e di preghiera per la salvaguardia del creato, che proprio oggi
viene celebrata dalla Chiesa in Italia.
Cari fratelli e sorelle, mentre ancora una volta vi ringrazio per la vostra
presenza, su tutti voi e sui vostri cari invoco la benedizione di Dio con l’antica
formula biblica: "Vi benedica il Signore e vi protegga. Il Signore faccia
brillare il suo volto su di voi e vi sia propizio. Il Signore rivolga su di
voi il suo volto e vi conceda pace" (cfr Nm 6, 24-26). Amen!
Per saperne
di più:
Una reliquia molto
interessante, e non abbastanza conosciuta è conservata nel Santuario del
Volto Santo di Manoppello, un piccolo comune abruzzese, ai piedi della
Maiella, non lontano da Chieti.
A Manoppello si custodisce da
500 anni un misterioso velo che riproduce i lineamenti di un uomo,
identificato con il Cristo.
Questo velo - anche se è
strabiliante da credersi - il celebre velo della Veronica. Quel velo
cioè che la pia donna durante la Via Crucis passò sul volto del Signore, per
asciugare il sudore e il sangue.
Ma da quali testimonianze
arriverebbe questa prodigiosa identificazione ?
Da una famosa “Tradizione
Historica” scritta dal frate cappuccino Padre Donato da Bomba.
Questi racconta che in un imprecisato
giorno del 1506 un misterioso pellegrino, recante con sé un
prezioso involucro, giunto presso la chiesa parrocchiale, invitò il dott. Giacomantonio
Leonelli, persona colta e di buona reputazione, che stava conversando con
gli amici, a seguirlo all’interno della chiesa. Qui gli consegnò il dono.
Il dottore apre il pacchetto e
vede un panno su cui è impressa un’immagine di Gesù. Ne ammirava
stupito la bellezza delicata e quasi divina del volto, mentre in silenzio
ascoltava le raccomandazioni dello sconosciuto benefattore: “abbine cura,
custodiscilo come un dono del cielo, veneralo, sarà per te e per la tua
famiglia fonte di grazie e auspicio di protezione”.
Quando il Leonelli, assorto e
visibilmente commosso, alzò il capo per ringraziare il pellegrino, questi era
scomparso senza che nessuno si fosse accorto di lui.
Poi la sacra Immagine, dopo
essere stata per 10 anni nella casa di Pancrazio Petrucci, militare, e altri
20 anni nella casa del dottor Donatantonio de Fabritiis, nel 1638, regalata
ai frati Cappuccini, fu collocata nel santuario, dove è rimasta
fino ad oggi.
Il velo di Manoppello presenta
queste stupefacenti caratteristiche:
Si tratta di un velo tenue, i
fili orizzontali del tessuto sono ondeggianti e di semplice struttura,
l'ordito e la trama si intrecciano nella forma di una normale tessitura. Le
misure del panno sono 17 x 24 cm. é l'immagine di un viso
maschile con i capelli lunghi e la barba divisa a bande.
Caso unico al mondo in cui
l'immagine è visibile identicamente da ambedue le parti.
Le tonalità del colore sono
sul marrone, le labbra sono di colore leggermente rosse, sembrano annullare
ogni aspetto materiale. Non sono riscontrabili residui o pigmenti di colore.
Le due guance sono disuguali:
l'una, più arrotondata dell'altra, si mostra considerevolmente rigonfia. Gli
occhi guardano molto intensamente da una parte e verso l'alto perciò si vede
il bianco del globo oculare sotto l'iride. Le pupille sono completamente
aperte, ma in modo irregolare. Nel mezzo, sopra la fronte si trova un ciuffo
di capelli, corti e mossi a mò di vortice.
Fin qui il velo. Sulla ricostruzione
del percorso che identificherebbe il velo di Manoppello con il famoso velo
di Camulia, trasportato dalla Cappadocia a Costantinopoli nel
574 d.C. e da qui trasportato a Roma nel 705, per essere
conservata al Laterano (dopo aver fatto da matrice alla celebre
Icona Acheropita del Sancta Sanctorum alla Scala Santa !!), e poi
nuovamente trafugata, consiglio una visita illuminante al sito:
www.voltosanto.it
Fabrizio Falconi 6 giugno
2006
http://mysterium.blogosfere.it/2006/05/il_velo_di_mano.html