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Benedetto XVI scrive ai cattolici del Medio Oriente per unirsi alla loro sofferenza

Confessa che spera di poter visitare la Terra Santa
 

Benedizione di Natale Urbi et Orbi

Di fronte alle innumerevoli notizie delle sofferenze dei cattolici nei Paesi del Medio Oriente, Benedetto XVI ha preso carta e penna per esprimere loro in una lettera la sua vicinanza. Nel messaggio, firmato il 21 dicembre e pubblicato in occasione del Natale dalla Sala Stampa della Santa Sede, il Pontefice confessa inoltre il suo desiderio di poter visitare presto la Terra Santa. Rivolgendosi al "piccolo gregge" di quei cristiani che vivono in società composte in larga maggioranza da credenti di altre religioni, il Papa ha constatato che quei Paesi sono “spesso sottoposti a manifestazioni di efferata violenza che, oltre a causare grandi distruzioni, colpiscono senza pietà persone inermi e innocenti”.

“La sofferenza in fondo accomuna tutti, e quando uno soffre deve sentire anzitutto il desiderio di capire quanto possa soffrire l’altro che si trova in una situazione analoga”, ha aggiunto.

“Nelle presenti circostanze, segnate da poche luci e da troppe ombre, è per me motivo di consolazione e di speranza sapere che le comunità cristiane del Medio Oriente, le cui intense sofferenze mi sono ben presenti, continuano ad essere comunità viventi e attive, decise a testimoniare la loro fede con la loro specifica identità nelle società che le circondano”.

Il Santo Padre spera “vivamente che la Provvidenza faccia sì che le circostanze permettano un mio pellegrinaggio nella Terra resa santa dagli avvenimenti della Storia della Salvezza”.

“Spero così di poter pregare a Gerusalemme ‘patria del cuore di tutti i discendenti spirituali di Abramo, che la sentono immensamente cara’”, ha affermato citando un’espressione di Giovanni Paolo II.

Papa Wojtyla ha visitato la Terra Santa nel marzo dell’anno del giubileo del 2000. Il suo predecessore, Paolo VI, aveva visitato Gerusalemme nel gennaio 1964.



Pubblichiamo il testo del Messaggio inviato dal Santo Padre Benedetto XVI in occasione del Natale ai Cattolici che vivono nelle regioni del Medio Oriente.

Ai Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio
Ai carissimi fratelli e sorelle cattolici
della Regione Medio Orientale

Immersi nella luce del Natale, contempliamo la presenza del Verbo che ha posto la sua tenda in mezzo a noi. Egli è "la luce che brilla nelle tenebre" e che ci "ha dato il potere di divenire figli di Dio" (cfr Gv 1,5.12). In questo tempo così significativo per la fede cristiana, desidero rivolgere uno speciale pensiero a voi, fratelli e sorelle cattolici, che vivete nelle regioni del Medio Oriente: mi sento spiritualmente presente in ogni vostra Chiesa particolare, anche la più piccola, per condividere con voi l’ansia e la speranza con cui attendete il Signore Gesù, Principe della pace. A tutti giunga l’augurio biblico, fatto proprio anche da san Francesco d’Assisi: il Signore vi dia pace.

Mi rivolgo con affetto alle Comunità che sono e si sentono "piccolo gregge" sia per il ridotto numero di fratelli e sorelle (cfr Lc 12,32), sia perché immerse in società composte in larga maggioranza di credenti di altre religioni, sia per le circostanze presenti che vedono alcune delle Nazioni d’appartenenza in seri disagi e difficoltà. Penso soprattutto ai Paesi segnati da forti tensioni e spesso sottoposti a manifestazioni di efferata violenza che, oltre a causare grandi distruzioni, colpiscono senza pietà persone inermi e innocenti. Le notizie quotidiane che giungono dal Medio Oriente non fanno che mostrare un crescendo di situazioni drammatiche, quasi senza via di uscita. Sono vicende che in quanti ne sono coinvolti suscitano naturalmente recriminazione e rabbia e predispongono gli animi a propositi di rivalsa e di vendetta.

Sappiamo che questi non sono sentimenti cristiani; cedere ad essi rende interiormente duri e astiosi, ben lontani da quella "mitezza ed umiltà" di cui Cristo Gesù ci si è proposto come modello (cfr Mt 11,29). Si perderebbe così l’occasione di offrire un contributo propriamente cristiano alla soluzione dei gravissimi problemi di questo nostro tempo. Non sarebbe davvero saggio, soprattutto in questo momento, spendere tempo ad interrogarsi su chi abbia sofferto di più o voler presentare il conto dei torti ricevuti, elencando le ragioni che militano a favore della propria tesi. Ciò è stato fatto spesso nel passato, con risultati a dir poco deludenti. La sofferenza in fondo accomuna tutti, e quando uno soffre deve sentire anzitutto il desiderio di capire quanto possa soffrire l’altro che si trova in una situazione analoga. Il dialogo paziente e umile, fatto di ascolto reciproco e teso alla comprensione dell’altrui situazione ha già portato buoni frutti in molti Paesi precedentemente devastati dalla violenza e dalle vendette. Un po’ più di fiducia nell’umanità dell’altro, soprattutto se sofferente, non può che dare validi risultati. Questa interiore disposizione viene oggi invocata autorevolmente da tante parti.

Alle comunità cattoliche dei vostri Paesi penso costantemente ed anche con più acuta preoccupazione nel periodo natalizio. Verso le vostre terre ci porta la stella vista dai Magi, la stella che li guidò all’incontro col Bambino e con Maria sua Madre (cfr Mt 2,11). In terra d’Oriente Gesù offrì la sua vita per fare "dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione [che è] l’inimicizia" (Ef 2,14). Lì Egli disse ai discepoli: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15). Lì si ricorse per la prima volta alla qualifica di cristiani per designare i discepoli del Maestro (cfr At 11,26). Lì nacque e si sviluppò la Chiesa dei grandi Padri e fiorirono diverse e ricche tradizioni spirituali e liturgiche.

A voi, cari fratelli e sorelle, eredi di tali tradizioni, esprimo con affetto la mia personale vicinanza nella situazione di umana insicurezza, di sofferenza quotidiana, di paura e di speranza che state vivendo. Alle vostre comunità ripeto, innanzitutto, le parole del Redentore: "Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il Regno" (Lc 12,32). Potete contare sulla mia piena solidarietà nelle attuali circostanze. Sono certo di potermi fare portavoce anche della condivisione della Chiesa universale. Ogni fedele cattolico del Medio Oriente, insieme con la sua comunità d’appartenenza, non si senta pertanto solo o abbandonato. Le vostre Chiese sono accompagnate nel loro difficile cammino dalla preghiera e dal sostegno caritativo delle Chiese particolari del mondo intero, sull’esempio e secondo lo spirito della Chiesa nascente (cfr At 11,29-30).

Nelle presenti circostanze, segnate da poche luci e da troppe ombre, è per me motivo di consolazione e di speranza sapere che le comunità cristiane del Medio Oriente, le cui intense sofferenze mi sono ben presenti, continuano ad essere comunità viventi e attive, decise a testimoniare la loro fede con la loro specifica identità nelle società che le circondano. Esse desiderano di poter contribuire in maniera costruttiva ad alleviare gli urgenti bisogni delle loro rispettive società e dell’intera regione. Nella sua prima Lettera, scrivendo a comunità piuttosto povere ed emarginate, che non contavano molto nella società di allora ed erano anche perseguitate, san Pietro non esitava a dire che la loro situazione difficile doveva essere considerata come "grazia" (cfr 1,7-11). Di fatto, non è forse una grazia poter partecipare alle sofferenze di Cristo, unendosi all’azione con cui Egli ha preso su di sé i nostri peccati per espiarli? Le comunità cattoliche, che spesso vivono situazioni difficili, siano consapevoli della forza potente che promana dalla loro sofferenza accettata con amore. È sofferenza che può cambiare il cuore dell’altro e il cuore del mondo. Incoraggio pertanto ciascuno a proseguire con perseveranza nel proprio cammino, sorretto dalla consapevolezza del "prezzo" con cui Cristo lo ha redento (cfr 1 Cor 6,20). Certo, la risposta alla propria vocazione cristiana è tanto più ardua per i membri di quelle comunità che sono minoranza e spesso numericamente poco significanti nelle società in cui si trovano immerse. Tuttavia «la luce può essere flebile in una casa - scrissero i vostri Patriarchi nella loro Lettera Pastorale della Pasqua 1992 -, ma rischiara tutta la casa. Il sale è elemento minimale negli alimenti, ma è esso che dà loro il sapore. Il lievito è molto poco nella pasta, ma è quello che la fa lievitare e la prepara a divenire pane». Faccio mie queste parole ed incoraggio i Pastori cattolici a perseverare nel loro ministero, coltivando l’unità tra loro e restando sempre vicini al loro gregge. Sappiano che il Papa condivide le ansie, le speranze e le esortazioni espresse nelle loro annuali Lettere, come pure nel quotidiano espletamento dei loro sacri doveri. Egli li incoraggia nel loro sforzo di sostenere e rafforzare nella fede, nella speranza e nella carità il gregge loro affidato. La presenza delle loro comunità nei diversi Paesi della regione costituisce, tra l’altro, un elemento che può grandemente favorire l’ecumenismo.

Da lungo tempo si osserva come molti cristiani stiano lasciando il Medio Oriente, così che i Luoghi Santi rischiano di trasformarsi in zone archeologiche, prive di vita ecclesiale. Certo, situazioni geopolitiche pericolose, conflitti culturali, interessi economici e strategici, nonché aggressività che si cerca di giustificare attribuendo loro una matrice sociale o religiosa, rendono difficile la sopravvivenza delle minoranze e perciò molti cristiani sono portati a cedere alla tentazione di emigrare. Spesso il male può essere in qualche modo irreparabile. Non si dimentichi tuttavia che anche il semplice stare vicini e vivere insieme una sofferenza comune agisce come balsamo sulle ferite e dispone a pensieri e opere di riconciliazione e di pace. Ne nasce un dialogo familiare e fraterno, che con il tempo e con la grazia dello Spirito, potrà trasformarsi in dialogo a livello più ampio: culturale, sociale e anche politico. Il credente peraltro sa di poter contare su una speranza che non delude, perché si fonda sulla presenza del Risorto. Da Lui viene l’impegno nella fede e l’operosità nella carità (cfr 1 Ts 1,3). Nelle difficoltà anche più dolorose, la speranza cristiana attesta che la rassegnazione passiva e il pessimismo sono il vero grande pericolo che insidia la risposta alla vocazione che scaturisce dal Battesimo. Ne possono derivare sfiducia, paura, autocommiserazione, fatalismo e fuga.

Nell’ora presente, ai cristiani è chiesto di essere coraggiosi e determinati con la forza dello Spirito di Cristo, sapendo di poter contare sulla vicinanza dei loro fratelli nella fede, sparsi nel mondo. San Paolo, scrivendo ai Romani, dichiara apertamente che non c’è paragone tra le sofferenze che sopportiamo quaggiù e la gloria che ci attende (cfr 8,18). Parimenti san Pietro nella sua prima Lettera ci ricorda che noi cristiani, pur se afflitti da varie prove, abbiamo una speranza più grande che ci riempie il cuore di gioia (cfr 1,6). Ancora san Paolo nella seconda Lettera ai Corinzi afferma con convinzione che il "Dio di ogni consolazione… ci consola in ogni nostra tribolazione, affinché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione" (1,3-4). Sappiamo bene che la consolazione promessa dallo Spirito Santo non è fatta semplicemente di parole buone, ma si traduce in un allargamento della mente e del cuore, così da poter vedere la propria situazione nel quadro più grande dell’intera creazione sottoposta alle doglie del parto in attesa della rivelazione dei figli di Dio (cfr Rm 8,19-25). In questa prospettiva, ciascuno può giungere a pensare più alle sofferenze dell’altro che alle proprie, più a quelle comuni che a quelle private, e a preoccuparsi di fare qualcosa perché l’altro o gli altri comprendano che le loro sofferenze sono capite e accolte e che si desidera, per quanto è possibile, di porre ad esse rimedio.

Attraverso di voi, carissimi, intendo rivolgermi anche ai vostri concittadini, uomini e donne delle diverse confessioni cristiane, delle diverse religioni e a tutti coloro che cercano con onestà la pace, la giustizia, la solidarietà, mediante l’ascolto reciproco e il dialogo sincero. A tutti dico: perseverate con coraggio e fiducia! A quanti hanno la responsabilità di guidare gli eventi, poi, chiedo sensibilità, attenzione e vicinanza concreta che superi calcoli e strategie, affinché si edifichino società più giuste e più pacifiche, nel rispetto vero di ogni essere umano.

Come vi è noto, carissimi fratelli e sorelle, spero vivamente che la Provvidenza faccia sì che le circostanze permettano un mio pellegrinaggio nella Terra resa santa dagli avvenimenti della Storia della Salvezza. Spero così di poter pregare a Gerusalemme "patria del cuore di tutti i discendenti spirituali di Abramo, che la sentono immensamente cara" (Giovanni Paolo II, Redemptionis anno, AAS LXXVI, 1984, 625). Sono infatti convinto che essa può assurgere "a simbolo di incontro, di unione e di pace per tutta la famiglia umana" (ibid., p. 629). In attesa dell’avveramento di questo desiderio, vi incoraggio a proseguire sulla via della fiducia, compiendo gesti di amicizia e di buona volontà. Alludo sia ai gesti semplici e quotidiani, già da tempo praticati nelle vostre regioni da molta gente umile che ha sempre trattato con riguardo tutte le persone, sia ai gesti in qualche modo eroici, ispirati dall’autentico rispetto per la dignità umana, nel tentativo di trovare vie di uscita a situazioni di grave conflittualità. La pace è un bene così grande ed urgente da giustificare sacrifici anche grandi da parte di tutti.

Come scriveva il mio venerato Predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, "non c’è pace senza giustizia". È perciò necessario che si riconoscano ed onorino i diritti di ciascuno. Giovanni Paolo II però aggiungeva: "non c’è giustizia senza perdono". Normalmente senza transigere su passati errori non si può arrivare ad un accordo che consenta di riaprire il dialogo in vista di future collaborazioni. Il perdono, nel caso, è condizione indispensabile per essere liberi di progettare un nuovo futuro. Dal perdono concesso ed accolto possono nascere e svilupparsi tante opere di solidarietà, nella linea di quelle che già esistono ampiamente nelle vostre regioni per iniziativa sia della Chiesa che dei governi e delle istanze non governative.

Il canto degli Angeli sulla capanna di Betlemme - "Pace in terra agli uomini che Dio ama" – assume in questi giorni tutta la sua pregnanza e produce fin da ora quei frutti che si avranno in pienezza nella vita eterna. Il mio auspicio è che il tempo di Natale segni un termine o almeno un sollievo per tante sofferenze e dia a tante famiglie quel supplemento di speranza che è necessario per perseverare nell’arduo compito di promuovere la pace in un mondo ancora tanto lacerato e diviso. Carissimi, siate certi che in questo cammino vi accompagna la fervente preghiera del Papa e di tutta la Chiesa. L’intercessione e l’esempio di tanti Martiri e Santi, che nelle vostre terre hanno reso coraggiosa testimonianza a Cristo, vi sostengano e vi rafforzino nella vostra fede. E la Santa Famiglia di Nazareth vegli sui vostri buoni propositi e sui vostri impegni.

Con tali sentimenti, di vivo cuore imparto a ciascuno di voi una speciale Benedizione Apostolica, pegno del mio affetto e del mio costante ricordo.
Dal Vaticano, 21 dicembre 2006

BENEDICTUS XVI 

   
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