sono lieto di salutarvi cordialmente, quali rappresentanti del mondo della
cultura, dell’arte e dell’economia di Venezia e del suo territorio. Vi ringrazio
per la vostra presenza e la vostra simpatia. Esprimo la mia riconoscenza al
Patriarca e al Rettore che, a nome dello
Studium Generale Marcianum, si è fatto
interprete dei sentimenti di tutti voi e ha introdotto questo nostro incontro,
l’ultimo della mia intensa visita, iniziata ieri ad Aquileia.
Vorrei lasciarvi alcuni spunti molto sintetici, che spero vi saranno utili
per la riflessione e per l’impegno comune. Questi spunti li traggo da tre parole
che sono metafore suggestive: tre parole legate a Venezia e, in particolare, al
luogo in cui ci troviamo: la prima parola è acqua; la seconda è Salute, la terza
è Serenissima.
Cominciamo dall’acqua – come appare logico per molti versi. L’acqua è simbolo
ambivalente: di vita, ma anche di morte; lo sanno bene le popolazioni colpite da
alluvioni e maremoti. Ma l’acqua è anzitutto elemento essenziale per la vita.
Venezia è detta la “Città d’acqua”. Anche per voi che vivete a Venezia questa
condizione ha un duplice segno, negativo e positivo: comporta molti disagi e, al
tempo stesso, un fascino straordinario. L’essere Venezia “città d’acqua” fa
pensare ad un celebre sociologo contemporaneo, che ha definito “liquida” la
nostra società, e così la cultura europea: una cultura “liquida”, per esprimere
la sua “fluidità”, la sua poca stabilità o forse la sua assenza di stabilità, la
mutevolezza, l’inconsistenza che a volte sembra caratterizzarla.
E qui vorrei inserire la prima proposta: Venezia non come città “liquida” –
nel senso appena accennato –, ma come città “della vita e della bellezza”.
Certo, è una scelta, ma nella storia bisogna scegliere: l’uomo è libero di
interpretare, di dare un senso alla realtà, e proprio in questa libertà consiste
la sua grande dignità. Nell’ambito di una città, qualunque essa sia, anche le
scelte di carattere amministrativo culturale ed economico dipendono, in fondo,
da questo orientamento fondamentale, che possiamo chiamare “politico”
nell’accezione più nobile e più alta del termine. Si tratta di scegliere tra una
città “liquida”, patria di una cultura che appare sempre più quella del relativo
e dell’effimero, e una città che rinnova costantemente la sua bellezza
attingendo dalle sorgenti benefiche dell’arte, del sapere, delle relazioni tra
gli uomini e tra i popoli.
Veniamo alla seconda parola: “Salute”. Ci troviamo nel “Polo della Salute”:
una realtà nuova, che ha però radici antiche. Qui, sulla Punta della Dogana,
sorge una delle chiese più celebri di Venezia, opera del Longhena, edificata
come voto alla Madonna per la liberazione dalla peste del 1630: Santa Maria
della Salute. Accanto ad essa, il celebre architetto costruì il Convento dei
Somaschi, diventato poi Seminario Patriarcale. “Unde origo, inde salus”, recita
il motto inciso al centro della rotonda maggiore della Basilica, espressione che
indica come sia strettamente legata alla Madre di Dio l’origine della Città di
Venezia, fondata, secondo la tradizione, il 25 marzo del 421, giorno
dell’Annunciazione. E proprio per intercessione di Maria venne la salute, la
salvezza dalla peste. Ma riflettendo su questo motto possiamo coglierne anche un
significato ancora più profondo e più ampio. Dalla Vergine di Nazaret ha avuto
origine Colui che ci dona la “salute”. La “salute” è una realtà onnicomprensiva,
integrale: va dallo “stare bene” che ci permette di vivere serenamente una
giornata di studio e di lavoro, o di vacanza, fino alla salus animae, da cui
dipende il nostro destino eterno. Dio si prende cura di tutto ciò, senza
escludere nulla. Si prende cura della nostra salute in senso pieno. Lo dimostra
Gesù nel Vangelo: Egli ha guarito malati di ogni genere, ma ha anche liberato
gli indemoniati, ha rimesso i peccati, ha risuscitato i morti. Gesù ha rivelato
che Dio ama la vita e vuole liberarla da ogni negazione, fino a quella radicale
che è il male spirituale, il peccato, radice velenosa che inquina tutto.
Per questo, Gesù stesso si può chiamare “Salute” dell’uomo: Salus nostra
Dominus Jesus. Gesù salva l’uomo ponendolo nuovamente nella relazione salutare
con il Padre nella grazia dello Spirito Santo; lo immerge in questa corrente
pura e vivificante che scioglie l’uomo dalle sue “paralisi” fisiche, psichiche e
spirituali; lo guarisce dalla durezza di cuore, dalla chiusura egocentrica e gli
fa gustare la possibilità di trovare veramente se stesso perdendosi per amore di
Dio e del prossimo. Unde origo, inde salus. Questo motto richiama molteplici
riferimenti; mi limito a ricordarne uno, la celebre espressione di sant’Ireneo:
“Gloria Dei vivens homo, vita autem hominis visio Dei” (Adv. haer. IV, 20, 7).
Che si potrebbe parafrasare così: gloria di Dio è la piena salute dell’uomo, e
questa consiste nello stare in relazione profonda con Dio. Possiamo dirlo anche
con i termini cari al neo-beato Giovanni Paolo II: l’uomo è la via della Chiesa(!?
- ndR),
e il Redentore dell’uomo è Cristo.
Infine, la terza parola: “Serenissima”, il nome della Repubblica Veneta. Un
titolo davvero stupendo, si direbbe utopico, rispetto alla realtà terrena, e
tuttavia capace di suscitare non solo memorie di glorie passate, ma anche ideali
trainanti nella progettazione dell’oggi e del domani, in questa grande regione.
“Serenissima” in senso pieno è solamente la Città celeste, la nuova Gerusalemme,
che appare al termine della Bibbia, nell’Apocalisse, come una visione
meravigliosa (cfr Ap 21,1 – 22,5). Eppure il Cristianesimo concepisce questa
Città santa, completamente trasfigurata dalla gloria di Dio, come una meta che
muove i cuori degli uomini e spinge i loro passi, che anima l’impegno faticoso e
paziente per migliorare la città terrena. Bisogna sempre ricordare a questo
proposito le parole del Concilio Vaticano II: “Niente giova all’uomo se guadagna
il mondo intero ma perde se stesso. Tuttavia l’attesa di una terra nuova non
deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo
alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce ad
offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo” (Cost. Gaudium et
spes, 39). Noi ascoltiamo queste espressioni in un tempo nel quale si è esaurita
la forza delle utopie ideologiche e non solo l’ottimismo è oscurato, ma anche la
speranza è in crisi.
Non dobbiamo allora dimenticare che i Padri conciliari, che ci hanno lasciato
questo insegnamento, avevano vissuto l’epoca delle due guerre mondiali e dei
totalitarismi. La loro prospettiva non era certo dettata da un facile ottimismo,
ma dalla fede cristiana, che anima la speranza al tempo stesso grande e
paziente, aperta sul futuro e attenta alle situazioni storiche. In questa stessa
prospettiva il nome “Serenissima” ci parla di una civiltà della pace, fondata
sul mutuo rispetto, sulla reciproca conoscenza, sulle relazioni di amicizia.
Venezia ha una lunga storia e un ricco patrimonio umano, spirituale e artistico
per essere capace anche oggi di offrire un prezioso contributo nell’aiutare gli
uomini a credere in un futuro migliore e ad impegnarsi a costruirlo.
Ma per questo non deve avere paura di un altro elemento emblematico,
contenuto nello stemma di San Marco: il Vangelo. Il Vangelo è la più grande
forza di trasformazione del mondo, ma non è un’utopia, né un’ideologia. Le prime
generazioni cristiane lo chiamavano piuttosto la “via”, cioè il modo di vivere
che Cristo ha praticato per primo e che ci invita a seguire. Alla città
“serenissima” si giunge per questa via, che è la via della carità nella verità,
ben sapendo, come ci ricorda ancora il Concilio, che non bisogna “camminare
sulla strada della carità solamente nelle grandi cose, bensì e soprattutto nelle
circostanze ordinarie della vita” e che sull’esempio di Cristo “è necessario
anche portare la croce; quella che dalla carne e dal mondo viene messa sulle
spalle di quanti cercano la pace e la giustizia” (ivi, 38).
Ecco, cari amici, gli spunti di riflessione che volevo condividere con voi.
Per me è stata una gioia concludere la mia visita in vostra compagnia. Ringrazio
nuovamente il Cardinale Patriarca, l’Ausiliare e tutti i collaboratori per la
magnifica accoglienza. Saluto la Comunità ebraica di Venezia - che ha antiche
radici ed è una presenza importante nel tessuto cittadino - con il suo
Presidente, Prof. Amos Luzzatto. Un pensiero anche ai musulmani che vivono in
questa città. Da questo luogo così significativo rivolgo il mio cordiale saluto
a Venezia, alla Chiesa qui pellegrina e a tutte le Diocesi del Triveneto,
lasciando, come pegno del mio perenne ricordo, la Benedizione Apostolica. Grazie
per la vostra attenzione.
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