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Benedetto XVI, i lefebvriani e gli ebrei
[Versione de "Il Riformista]
Vescovo negazionista, un complotto contro il Papa
di Andrea Tornielli
È un dossier ufficioso, di poche pagine, dedicato alla genesi del caso
Williamson, molto letto in questi giorni nei sacri palazzi. Un dossier che ha
raggiunto le scrivanie che contano oltretevere e che mette insieme date e
circostanze, lasciando intendere che quanto avvenuto nei giorni scorsi non sia
solo frutto di una serie di coincidenze. La realizzazione e poi la messa in onda
dell’intervista del prelato che negava le camere a gas e la realtà dei milioni
di ebrei morti nella Shoah, alla vigilia della revoca della scomunica ai vescovi
lefebvriani - secondo il dossier - sarebbe stata in qualche modo «pilotata» da
ambienti che volevano mettere in difficoltà Benedetto XVI. Ambienti che
sarebbero stati aiutati da qualche oppositore interno, contrario alla
riconciliazione con la Fraternità San Pio X.
Nel rapporto non si minimizzano le assurde parole pronunciate da Williamson, né
l’ulteriore gravità della coincidenza temporale con il Giorno della Memoria, che
ha particolarmente ferito la sensibilità del mondo ebraico, ma si lascia
intravedere la possibilità che vi siano stati interventi mirati a creare il
caso. Williamson, si legge nel dossier, viene intervistato il 1° novembre 2008
«presso il seminario bavarese della Fraternità San Pio X». Il vescovo si trova a
Ratisbona, dov’è giunto per ordinare prete un pastore protestante svedese. Il
vescovo viene raggiunto dal giornalista Ali Fegan, della trasmissione televisiva
«Uppgrad Gransking» («Missione Ricerca»). Parlano un’ora. A un certo punto,
Fegan richiama alla memoria di Williamson certe dichiarazioni negazioniste sulle
camere a gas, rilasciate molti anni prima in Canada. Il vescovo risponde dicendo
le enormità che sappiamo, sapendo che le sue parole, in quel Paese,
rappresentano un reato: «Per le cose che dico potreste portarmi in carcere visto
che siamo in Germania...».
L’intervista va in onda il 21 gennaio, lo stesso giorno della firma del decreto
di revoca della scomunica. Gli autori del programma assicurano che si è trattato
di una coincidenza, mentre il «dossier Williamson» non esclude la possibilità
che la notizia della revoca della scomunica sia stata fatta in qualche modo
arrivare alla televisione svedese. Nel corso della trasmissione viene
intervistata anche la giornalista francese Fiammetta Venner, nota attivista del
movimento omosessuale, impegnata in campagne «pro choice». Insieme alla compagna
Caroline Fourest – con la quale condivide molte battaglie anticlericali nonché
la vicinanza al Grande Oriente di Francia – nel settembre scorso, alla vigilia
della visita di Benedetto XVI a Parigi e Lourdes, aveva dato alle stampe un
volume intitolato Les Nouveaux Soldats du pape. Légion du Christ, Opus Dei,
traditionalistes, durissimo contro Papa Ratzinger e contro i lefebvriani,
accusati di connessioni con l’ambiente politico dell’estrema destra francese.
Il dossier insiste sulla genesi francese del caso e sul ruolo avuto da Venner e
Fourest nell’intera vicenda. Il 20 gennaio, alla vigilia della messa in onda, il
settimanale tedesco Der Spiegel anticipa i contenuti dell’intervista. E arriverà
pure a scrivere che «il Consiglio Centrale degli ebrei in Germania» fosse «stato
informato» in precedenza delle dichiarazioni negazioniste del vescovo.
Ormai il decreto è già scritto ed è stato personalmente consegnato dal cardinale
Giovanni Battista Re nelle mani di monsignor Bernard Fellay, il superiore della
Fraternità San Pio X, convocato a Roma per l’occasione. Dunque, quando la
notizia dell’intervista di Williamson comincia a diffondersi, non è più
possibile correre ai ripari. Il 20 gennaio la diocesi cattolica di Stoccolma e
il superiore dei lefebvriani tedeschi pubblicano due distinti comunicati per
deplorare le dichiarazioni di Williamson e condannare ogni forma di
antisemitismo. La notizia è ormai di dominio pubblico, ma la sua portata e
soprattutto le sue conseguenze non vengono avvertite nei sacri palazzi.
Un intricato «giallo», insomma, oppure una serie di coincidenze? Il dossier
fatto circolare in Vaticano non contiene prove, si limita a confrontare ipotesi
e dati di fatto. Di certo però non sono in pochi, oltretevere, a pensare che il
«caso Williamson» non sia stato un caso.
© Copyright Il Giornale, 3 febbraio 2009
Esclusivo. Il dossier segreto del Papa: Ratzinger vede una regia dietro il caso
Williamson
Si chiama “dossier Richard Williamson” e gira da qualche giorno nei sacri
palazzi vaticani.
Alcune pagine fitte che vogliono spiegare nei minimi dettagli come sia potuto
accadere che la notizia della revoca della scomunica ai quattro vescovi
lefebvriani firmata dalla Congregazione dei vescovi lo scorso 21 gennaio e resa
nota il 24, si sia tramutata in un boomerang per Papa Benedetto XVI a motivo
delle dichiarazioni negazioniste sull’Olocausto rilasciate da uno dei quattro
presuli, appunto Williamson.
Il dossier, che sta girando in questi giorni nelle alte sfere della curia romana
e che il Riformista è riuscito ad avere, riporta date e fatti e arriva a
ipotizzare che, dietro la scelta della tv pubblica svedese Svt di mandare in
onda il 21 gennaio l’intervista al presule britannico che tante reazioni
negative ha destato, vi sia stata una regia occulta volta a screditare Benedetto
XVI.
Una regia che ha agito fuori le mura vaticane grazie anche all’aiuto di
qualcuno dentro, qualcuno scontento delle aperture del Pontefice agli
scismatici-tradizionalisti.
In sostanza, il dossier prova a spiegare come sia accaduto che un atto di
«paterna misericordia» - così una nota della Sala Stampa vaticana ha presentato
il 24 gennaio il decreto di revoca della scomunica voluto da Ratzinger e firmato
dal cardinale Giovanni Battista Re - e che non significa assolutamente il
reintegro dei lefebvriani alla piena comunione con Roma quanto un incipit per
eventuali progressi in merito - sia stato interpretato da più parti come una
decisone tramite la quale il Papa riammetteva nella Chiesa cattolica un gruppo
di fedeli antisemiti e negazionisti sulla Shoah.
Il dossier parla di date.
Innanzitutto quella del primo novembre.
Fu quel giorno, infatti, che il giornalista Ali Fegan della tv svedese
intervistò Williamson. Gli chiese lumi riguardo ad alcune dichiarazioni
negazioniste sulla Shoah da lui rilasciate anni addietro in Canada. E il presule
rispose come tutti sanno: «Le camere a gas non sono mai esistite» e gli ebrei
uccisi non furono più di trecentomila.
Parole deprecabili - il dossier non lo nasconde - ma non è questo il punto.
Ciò che il dossier vuole dimostrare è che la tv svedese, influenzata da un
suggeritore, ha voluto strappare a Williamson le dichiarazioni che
conosciamo sulla Shoah in modo da usarle a tempo debito e cioè tre giorni prima
l’uscita della notizia della revoca della scomunica, appunto il 21 gennaio, lo
stesso giorno in cui il decreto di revoca veniva fatto pervenire a Econe sulla
scrivania del superiore generale della Fraternità San Pio X (FSPX) monsignor
Bernard Fellay.
Il dossier ipotizza che chi ha suggerito a Fegan di domandare a Williamson
qualcosa circa l’Olocausto (ricordandogli che il presule ne aveva parlato anni
prima in Canada) sia stata una giornalista francese, Fiammetta Venner.
Chi è costei? È una nota attivista del movimento omosessuale francese, e anche
di quello abortista e laicista. È un’assidua relatrice dei convegni sulla
laicità del Grande Oriente di Francia. La Venner, che lo scorso settembre in
concomitanza del viaggio del Papa in Francia aveva mandato alle stampe un volume
firmato assieme alla sua compagna Caroline Fourest e significativamente
intitolato “Les Nouveaux Soldats du pape. Légion du Christ, Opus Dei,
traditionalistes”, è intervenuta nell’ampio documentario dedicato ai lefebvriani
all’interno del quale la tv svedese ha mandato in onda anche l’intervista a
Williamson. Qui la giornalista - oltre il Tevere gli estensori del dossier
giurano che la cosa non è casuale - ha accusato la FSPX di connessioni con
l’ambiente politico dell’estrema destra francese, aprendo di fatto la strada
alle successive accuse di fascismo e antisemitismo.
Dunque, secondo il dossier vaticano, abbiamo un’intervista registrata il 2
novembre nella quale una parte, su suggerimento di una giornalista francese poco
in sintonia col mondo tradizionalista del suo paese (soprattutto col mondo
lefebvriano), è dedicata alle tesi negazioniste sull’Olocausto.
E poi abbiamo un buco di circa due mesi e mezzo. Ovvero, abbiamo la decisione
della tv svedese (forse imbeccata da qualcuno dentro le mura
vaticane) che aspetta fino al 21 gennaio a mandare in onda l’intervista
registrata il 2 novembre, cioè fino al giorno esatto in cui il cardinale Re
firma il decreto di revoca della scomunica ai quattro lefebvriani.
Solo una coincidenza? Può darsi, ma forse no: quindi, secondo quanto ipotizza il
dossier, sarebbe in Francia, ovvero nel paese dove il “cancro”
lefebvriano si è maggiormente sviluppato aprendo ferite nella società e nella
Chiesa oggi ancora non rimarginate, che è nata la volontà di screditare
Benedetto XVI nel momento in cui prendeva una delle decisioni più dirompenti del
suo pontificato. Una volontà di screditare il Papa e, quindi, di bloccare il già
difficile processo di riavvicinamento dei lefebvriani alla Chiesa.
Nei giorni scorsi, il giornale tedesco Der Spiegel si è spinto sino a
ipotizzare che i responsabili delle comunità ebraiche più importanti del mondo,
tra queste «il Consiglio Centrale degli ebrei in Germania», fossero «stati
informati» in precedenza delle dichiarazioni negazioniste del vescovo ma non
abbiano voluto manifestare la propria contrarietà per intervenire contro il Papa
soltanto successivamente, a cose fatte.
Il dossier vaticano non ritiene fondati gli argomenti di Der Spiegel e non li
cita, ma mette in luce aspetti controversi di una vicenda che oggi, una
settimana e mezzo dopo la firma della revoca della scomunica, è ancora di là
dall’essere risolta.
© Copyright Il Riformista, 3 febbraio 2009
Per contrappeso
alla gogna mediatica di questi
giorni, è giusto sottolineare
l’importanza delle parole usate da
monsignor Fellay nell’intervista a
“Famille Chrétienne”. Questi i brani
più interessanti: «Noi
condanniamo fermamente ogni gesto
assassino nei confronti di un
innocente. E’ un crimine che grida
vendetta verso il cielo! Soprattutto
quando è rivolto a un intero popolo.
Noi rigettiamo ogni accusa di
antisemitismo. In maniera totale e
assoluta. Rigettiamo qualunque forma
di approvazione di ciò che è
accaduto sotto Hitler. È un qualcosa
di abominevole. Il Cristianesimo
mette la carità al di sopra di
tutto. San Paolo, parlando degli
Ebrei, proclama: “Desidero io stesso
essere separato da Cristo a favore
dei miei fratelli! (Rom. 9,3). Gli
Ebrei sono i “nostri fratelli
maggiori”, nel senso che abbiamo un
qualcosa in comune, cioè l’antica
Alleanza. Certo che il
riconoscimento della venuta del
Messia ci separa». «È molto
interessante notare che la Chiesa
non ha atteso il Concilio per
stabilire una linea d’azione
riguardo agli Ebrei. Fin dagli anni
’30, e anche durante la guerra,
diversi documenti della Chiesa di
Roma hanno stabilito una posizione
assai giusta: gli abomini del regime
hitleriano devono essere
condannati!. Pio XI aveva detto
“siamo spiritualmente tutti semiti”.
È una verità che scaturisce
direttamente dalle Sacre Scritture.
Come afferma anche san Paolo, “siamo
figli di Abramo”».
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