Scontro
di civiltà: demoliamo i presupposti - Testo
integrale del discorso
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«Come i suoi
predecessori disegna una riconciliazione tra i popoli lontana
dai silenzi del quieto vivere: con realismo chiede la
costruzione di quella cattedrale che è l'umanità». «Mette la
famiglia tra i valori classici della libertà Non ha un’idea
difensivistica degli spazi della Chiesa: chiede solo di poter
portare il Vangelo anche dove oggi è ancora vietato»
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Chi s'interrogava su quale sarebbe
stata la "politica estera" del nuovo Pontefice è stato
accontentato. La risposta è venuta direttamente da Benedetto XVI che
ieri, parlando per la prima volta al corpo diplomatico accreditato in
Vaticano, ha idealmente spalancato la Sala Regia del palazzo
apostolico a quei Paesi che ancora non vi sono rappresentati.
Lo ha
fatto in modo discreto, con lo stile sobrio e pacato che è proprio di
Papa Ratzinger, ringraziandoli per essersi uniti alle celebrazioni in
occasione della morte del suo predecessore e poi della sua elezione al
soglio di Pietro. Non li ha nominati esplicitamente ma è chiaro a
tutti che l'auspicio di Benedetto XVI affinché possano «al più
presto essere rappresentati presso la Santa Sede» si rivolgeva in
particolare alla Cina comunista e al Vietnam, oltre che ad alcuni
Paesi islamici come l'Arabia Saudita.
Sotto il pontificato wojtyliano
il numero degli Stati che intrattengono rapporti diplomatici con il
Vaticano è arrivato a quota 174, il che significa che sono molto
pochi i Paesi che ancora non hanno un ambasciatore presso la Santa
Sede. Tuttavia restano fuori nazioni dove le comunità cattoliche sono
numerose, come quelle che vivono sotto il governo di Pechino e di
Hanoi.
È questa la preoccupazione fondamentale dell'attività
diplomatica della Santa Sede, ribadita da Benedetto XVI in continuità
con Giovanni Paolo II, indicato agli ambasciatori come «un
infaticabile missionario al servizio dell'unità della famiglia umana».
Papa Ratzinger intende proseguire la strategia internazionale della
Chiesa cattolica ereditata da Karol Wojtyla che è all'opposto dello
"scontro di civiltà". Lo ha ribadito chiaramente invitando
tutti «a vincere la tentazione di mettere in conflitto tra loro
culture, etnie e mondi differenti». Ed è significativo che l'abbia
fatto come pastore universale che però non dimentica le proprie
origini e la propria biografia. Ha ricordato di venire da un Paese che
ha conosciuto «la guerra e la separazione tra fratelli appartenenti
ad una stessa nazione», alludendo al secondo conflitto mondiale e
alla Germania divisa dal muro del Berlino.
A sessant'anni dalla
vittoria sul nazismo ha parlato come uomo del Novecento e come
tedesco. Ha parlato come uno che ha sperimentato sulla propria pelle
«le ideologie devastatrici che, sotto la copertura di sogni e
illusioni, hanno fatto pesare sugli uomini il giogo dell'oppressione».
Papa Ratzinger, il Papa tedesco. Se qualcuno finora era tentato di
usare questo termine in senso limitativo o addirittura spregiativo,
eccolo servito.
È lo stesso Benedetto XVI a rivendicarlo, ma con un
pathos ed un significato opposti a quello dei suoi detrattori
(qualcosa del genere a dire il vero era già avvenuto con il Papa
polacco). «Voi dunque potete ben capire - ha detto rivolgendosi agli
ambasciatori - come io sia particolarmente sensibile al dialogo tra
tutti gli uomini per superare ogni forma di conflitto e di tensione e
fare della nostra terra una terra di pace e di fraternità».
La
Chiesa continuerà a proclamare e difendere i diritti umani
fondamentali. «Non domanda alcun privilegio per sé ma unicamente le
condizioni legittime di libertà d'azione per la propria missione»,
sottolinea Benedetto XVI. Vi si sente l'eco della lettera indirizzata
nel 1980 da Giovanni Paolo II ai Paesi firmatari dell'Atto di
Helsinki, quando ricordava che «la libertà religiosa è il primo e
fondamentale dei diritti umani». Un principio che ha cambiato la
storia dei popoli d'Europa e potrà cambiare il mondo.