Il dialogo reinterpretato nel nuovo scenario
Luigi Geninazzi, su "Avvenire del 13 maggio 2005

Scontro di civiltà: demoliamo i presupposti - Testo integrale del discorso


«Come i suoi predecessori disegna una riconciliazione tra i popoli lontana dai silenzi del quieto vivere: con realismo chiede la costruzione di quella cattedrale che è l'umanità». «Mette la famiglia tra i valori classici della libertà Non ha un’idea difensivistica degli spazi della Chiesa: chiede solo di poter portare il Vangelo anche dove oggi è ancora vietato»

Chi s'interrogava su quale sarebbe stata la "politica estera" del nuovo Pontefice è stato accontentato. La risposta è venuta direttamente da Benedetto XVI che ieri, parlando per la prima volta al corpo diplomatico accreditato in Vaticano, ha idealmente spalancato la Sala Regia del palazzo apostolico a quei Paesi che ancora non vi sono rappresentati.

Lo ha fatto in modo discreto, con lo stile sobrio e pacato che è proprio di Papa Ratzinger, ringraziandoli per essersi uniti alle celebrazioni in occasione della morte del suo predecessore e poi della sua elezione al soglio di Pietro. Non li ha nominati esplicitamente ma è chiaro a tutti che l'auspicio di Benedetto XVI affinché possano «al più presto essere rappresentati presso la Santa Sede» si rivolgeva in particolare alla Cina comunista e al Vietnam, oltre che ad alcuni Paesi islamici come l'Arabia Saudita.

Sotto il pontificato wojtyliano il numero degli Stati che intrattengono rapporti diplomatici con il Vaticano è arrivato a quota 174, il che significa che sono molto pochi i Paesi che ancora non hanno un ambasciatore presso la Santa Sede. Tuttavia restano fuori nazioni dove le comunità cattoliche sono numerose, come quelle che vivono sotto il governo di Pechino e di Hanoi. 

È questa la preoccupazione fondamentale dell'attività diplomatica della Santa Sede, ribadita da Benedetto XVI in continuità con Giovanni Paolo II, indicato agli ambasciatori come «un infaticabile missionario al servizio dell'unità della famiglia umana». Papa Ratzinger intende proseguire la strategia internazionale della Chiesa cattolica ereditata da Karol Wojtyla che è all'opposto dello "scontro di civiltà". Lo ha ribadito chiaramente invitando tutti «a vincere la tentazione di mettere in conflitto tra loro culture, etnie e mondi differenti». Ed è significativo che l'abbia fatto come pastore universale che però non dimentica le proprie origini e la propria biografia. Ha ricordato di venire da un Paese che ha conosciuto «la guerra e la separazione tra fratelli appartenenti ad una stessa nazione», alludendo al secondo conflitto mondiale e alla Germania divisa dal muro del Berlino. 

A sessant'anni dalla vittoria sul nazismo ha parlato come uomo del Novecento e come tedesco. Ha parlato come uno che ha sperimentato sulla propria pelle «le ideologie devastatrici che, sotto la copertura di sogni e illusioni, hanno fatto pesare sugli uomini il giogo dell'oppressione». Papa Ratzinger, il Papa tedesco. Se qualcuno finora era tentato di usare questo termine in senso limitativo o addirittura spregiativo, eccolo servito. 

È lo stesso Benedetto XVI a rivendicarlo, ma con un pathos ed un significato opposti a quello dei suoi detrattori (qualcosa del genere a dire il vero era già avvenuto con il Papa polacco). «Voi dunque potete ben capire - ha detto rivolgendosi agli ambasciatori - come io sia particolarmente sensibile al dialogo tra tutti gli uomini per superare ogni forma di conflitto e di tensione e fare della nostra terra una terra di pace e di fraternità». 

La Chiesa continuerà a proclamare e difendere i diritti umani fondamentali. «Non domanda alcun privilegio per sé ma unicamente le condizioni legittime di libertà d'azione per la propria missione», sottolinea Benedetto XVI. Vi si sente l'eco della lettera indirizzata nel 1980 da Giovanni Paolo II ai Paesi firmatari dell'Atto di Helsinki, quando ricordava che «la libertà religiosa è il primo e fondamentale dei diritti umani». Un principio che ha cambiato la storia dei popoli d'Europa e potrà cambiare il mondo.
 

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