Abbiamo il luminoso esempio di Don
Andrea, che ci mostra
l'"essere" sacerdote sino in
fondo: morire per Cristo nel momento
della preghiera e così testimoniare, da
una parte, l'interiorità della propria
vita con Cristo e, dall'altra, la
propria testimonianza per gli uomini in
un punto realmente "panperiferico"
del mondo, circondato dall'odio e dal
fanatismo di altri. È una testimonianza
che ispira tutti a seguire Cristo, a
dare la vita per gli altri e a trovare
proprio così la Vita.
Riguardo al primo intervento,
rivolgo, innanzitutto un grande grazie
per questa meravigliosa poesia! Ci sono
anche poeti ed artisti nella Chiesa di
Roma, nel presbiterio di Roma, e avrò
ancora la possibilità di meditare, di
interiorizzare queste belle parole e di
tener presente che questa
"finestra" è sempre
"aperta". Forse è questa
l'occasione per ricordare l'eredità
fondamentale del grande Papa Giovanni
Paolo II, per continuare ad assimilare
sempre più questa eredità.
Ieri abbiamo dato inizio alla Quaresima.
La Liturgia di oggi ci offre una
profonda indicazione del significato
essenziale della Quaresima: è un
indicatore di strada per la nostra vita.
Perciò mi sembra - parlo riferendomi a
Papa Giovanni Paolo II - che dobbiamo
insistere un po' sulla prima Lettura
della giornata di oggi. Il grande
discorso di Mosè sulla soglia della
Terra Santa, dopo i quarant'anni del
pellegrinaggio nel deserto, è un
riassunto di tutta la Torah, di tutta la
Legge. Troviamo qui l'essenziale non
solo per il popolo ebraico ma anche per
noi. Questo essenziale è la parola di
Dio: "Io ti ho posto davanti la
vita e la morte, la benedizione e la
maledizione; scegli dunque la vita"
(Dt 30, 19). Questa parola
fondamentale della Quaresima è anche la
parola fondamentale dell'eredità del
nostro grande Papa Giovanni Paolo II:
scegliere la vita. Questa è la nostra
vocazione sacerdotale: scegliere noi
stessi la vita e aiutare gli altri a
scegliere la vita. Si tratta di
rinnovare nella Quaresima la nostra, per
così dire, "opzione
fondamentale", l'opzione per la
vita.
Ma, nasce subito la
questione: come si sceglie la vita? come
si fa? Riflettendo, mi è venuto in
mente che la grande defezione dal
Cristianesimo realizzatasi
nell'Occidente negli ultimi cento anni,
è stata attuata proprio in nome
dell'opzione per la vita. È stato detto
- penso a Nietzsche ma anche a tanti
altri - che il Cristianesimo è una
opzione contro la vita. Con la Croce,
con tutti i Comandamenti, con tutti i
"No" che ci propone, ci chiude
la porta della vita. Ma noi, vogliamo
avere la vita, e scegliamo, optiamo,
finalmente, per la vita liberandoci
dalla Croce, liberandoci da tutti questi
Comandamenti e da tutti questi
"No". Vogliamo avere la vita
in abbondanza, nient'altro che la vita.
Qui subito viene in mente la parola del
Vangelo di oggi: "Chi vorrà
salvare la propria vita, la perderà, ma
chi perderà la propria vita per me, la
salverà" (Lc 9, 24). Questo
è il paradosso che dobbiamo
innanzitutto tener presente nell'opzione
per la vita. Non arrogandoci la vita per
noi ma solo dando la vita, non avendola
e prendendola, ma dandola, possiamo
trovarla. Questo è il senso ultimo
della Croce: non prendere per sé ma
dare la vita.
Così, Nuovo e Vecchio
Testamento vanno insieme. Nella prima
Lettura del Deuteronomio la risposta di
Dio è: "Io oggi ti comando di
amare il Signore tuo Dio, di camminare
per le sue vie, di osservare i suoi
comandi, le sue leggi e le sue norme,
perché tu viva" (30, 16). Questo,
a prima vista non ci piace, ma è la
strada: l'opzione per la vita e
l'opzione per Dio sono identiche. Il
Signore lo dice nel Vangelo di san
Giovanni: "Questa è la vita
eterna: che conoscano te" (Gv
17, 3). La vita umana è una relazione.
Solo in relazione, non chiusi in noi
stessi, possiamo avere la vita. E la
relazione fondamentale è la relazione
col Creatore, altrimenti le altre
relazioni sono fragili. Scegliere Dio,
quindi: questo è essenziale. Un mondo
vuoto di Dio, un mondo che ha
dimenticato Dio, perde la vita e cade in
una cultura di morte. Scegliere la vita,
fare l'opzione per la vita, quindi, è,
innanzitutto, scegliere
l'opzione-relazione con Dio. Ma, subito
nasce la questione: con quale Dio? Qui,
di nuovo, ci aiuta il Vangelo: con quel
Dio che ci ha mostrato il suo volto in
Cristo, con quel Dio che ha vinto l'odio
sulla Croce, cioè nell'amore sino alla
fine. Così, scegliendo questo Dio,
scegliamo la vita.
Il Papa Giovanni Paolo II ci ha
donato la grande Enciclica Evangelium
vitae. In essa - è quasi un
ritratto dei problemi della cultura
odierna, delle speranze e dei pericoli -
diviene visibile che una società che
dimentica Dio, che esclude Dio e,
proprio per avere la vita, cade in una
cultura di morte. Proprio volendo avere
la vita si dice "No" al
bambino, perché mi toglie qualche parte
della mia vita; si dice "No"
al futuro, per avere tutto il presente;
si dice "No" sia alla vita che
nasce sia alla vita sofferente, che va
verso la morte. Questa apparente cultura
della vita diventa l'anti-cultura della
morte, dove Dio è assente, dove è
assente quel Dio che non ordina l'odio
ma vince l'odio. Qui facciamo la vera
opzione per la vita. Tutto, allora, è
connesso: la più profonda opzione per
Cristo Crocifisso con la più completa
opzione per la vita, dal primo momento
fino all'ultimo momento.
Questo, mi sembra, in
qualche modo, anche il nucleo della
nostra pastorale: aiutare a fare una
vera opzione per la vita, rinnovare la
relazione con Dio come la relazione che
ci dà vita e ci mostra la strada per la
vita. E così amare di nuovo Cristo, che
dall'Essere più ignoto, al quale non
arrivavamo e che rimaneva enigmatico, si
è reso un Dio noto, un Dio dal volto
umano, un Dio che è amore. Teniamo
presente proprio questo punto
fondamentale per la vita e consideriamo
che in questo programma è presente
tutto il Vangelo, dall'Antico al Nuovo
Testamento, che ha come centro Cristo.
La Quaresima, per noi stessi, dovrebbe
essere il tempo per rinnovare la nostra
conoscenza di Dio, la nostra amicizia
con Gesù, per essere così capaci di
guidare gli altri in modo convincente
alla opzione per la vita, che è
innanzitutto opzione per Dio. A noi
stessi deve risultare chiaro che
scegliendo Cristo non abbiamo scelto la
negazione della vita, ma abbiamo scelto
realmente la vita in abbondanza.
L'opzione cristiana è,
in fondo, molto semplice: è l'opzione
del "Sì" alla vita. Ma questo
"Sì", si realizza solo con un
Dio non ignoto, con un Dio dal volto
umano. Si realizza seguendo questo Dio
nella comunione dell'amore. Quanto ho
fin qui detto vuol essere un modo di
rinnovare il nostro ricordo nei riguardi
del grande Papa Giovanni Paolo II.
Veniamo al secondo
intervento, così simpatico, a proposito
delle mamme. Direi che adesso non posso
comunicare grandi programmi, parole che
potrete dire alle mamme. Dite
semplicemente: il Papa vi ringrazia! Vi
ringrazia perché avete donato la vita,
perché volete aiutare questa vita che
cresce e volete così costruire un mondo
umano, contribuendo ad un futuro umano.
E lo fate non dando solo la vita
biologica, ma comunicando il centro
della vita, facendo conoscere Gesù,
introducendo i vostri bambini alla
conoscenza di Gesù, all'amicizia con
Gesù. Questo è il fondamento di ogni
catechesi. Quindi bisogna ringraziare le
mamme soprattutto perché hanno avuto il
coraggio di dare la vita. E bisogna
pregare le mamme perché completino
questo loro dare la vita dando
l'amicizia con Gesù.
Il terzo intervento era
del Rettore della chiesa di
sant'Anastasia. Qui, forse, posso dire,
tra parentesi, che la chiesa di
sant'Anastasia mi era già cara prima di
averla vista, perché era la chiesa
titolare del nostro Cardinale de
Faulhaber. Egli ci ha sempre fatto
sapere che a Roma aveva una sua chiesa,
quella di sant'Anastasia. Con questa
comunità ci siamo sempre incontrati in
occasione della seconda Messa di Natale,
dedicata alla "stazione" di
sant'Anastasia. Gli storici dicono che là,
il Papa, doveva visitare il Governatore
bizantino, che lì aveva la sede. La
chiesa ci fa pensare anche a quella
santa e così anche all'"Anastasis":
a Natale pensiamo anche alla
Risurrezione. Non sapevo, e sono grato
di esserne stato informato, che adesso
la chiesa è sede dell'"Adorazione
perpetua"; è quindi un punto
focale della vita di fede a Roma. Questa
proposta di creare nei cinque Settori
della Diocesi di Roma, cinque luoghi di
Adorazione perpetua, la pongo
fiduciosamente nelle mani del Cardinale
Vicario. Vorrei soltanto dire: grazie a
Dio, perché dopo il Concilio, dopo un
periodo in cui mancava un po' il senso
dell'adorazione eucaristica, è rinata
la gioia di questa adorazione
dappertutto nella Chiesa, come abbiamo
visto e sentito nel Sinodo
sull'Eucaristia. Certo, con la
Costituzione conciliare sulla Liturgia,
è stata riscoperta soprattutto tutta la
ricchezza dell'Eucaristia celebrata,
dove si realizza il testamento del
Signore: Egli si dà a noi e noi
rispondiamo dandoci a Lui. Ma, adesso,
abbiamo riscoperto che questo centro che
ci ha donato il Signore nel poter
celebrare il suo sacrificio e così
entrare in comunione sacramentale, quasi
corporale, con Lui perde la sua
profondità e anche la sua ricchezza
umana se manca l'Adorazione, come atto
conseguente alla comunione ricevuta:
l'adorazione è un entrare con la
profondità del nostro cuore in
comunione con il Signore che si fa
presente corporalmente nell'Eucaristia.
Nell'Ostensorio si dà sempre nelle
nostre mani e ci invita ad unirci alla
sua Presenza, al suo Corpo risorto.
Adesso, veniamo alla quarta domanda.
Se ho capito bene, ma non ne sono
sicuro, era: "Come arrivare ad una
fede viva, ad una fede realmente
cattolica, ad una fede concreta, vivace,
efficiente?". La fede, in ultima
istanza, è un dono. Quindi la prima
condizione è lasciarsi donare qualcosa,
non essere autosufficienti, non fare
tutto da noi, perché non lo possiamo,
ma aprirci nella consapevolezza che il
Signore dona realmente. Mi sembra che
questo gesto di apertura sia anche il
primo gesto della preghiera: essere
aperto alla presenza del Signore e al
suo dono. È questo anche il primo passo
nel ricevere una cosa che noi non
facciamo e che non possiamo avere,
nell'intento di farla da noi stessi.
Questo gesto di apertura, di preghiera -
donami la fede, Signore! - deve essere
realizzato con tutto il nostro essere.
Noi dobbiamo entrare in questa
disponibilità di accettare il dono e di
lasciarci permeare dal dono nel nostro
pensiero, nel nostro affetto, nella
nostra volontà. Qui, mi sembra molto
importante sottolineare un punto
essenziale: nessuno crede solo da se
stesso. Noi crediamo sempre in e con la
Chiesa. Il credo è sempre un atto
condiviso, un lasciarsi inserire in una
comunione di cammino, di vita, di
parola, di pensiero. Noi non
"facciamo" la fede, nel senso
che è anzitutto Dio che la dà. Ma, non
la "facciamo" anche nel senso
che essa non dev'essere inventata da
noi. Dobbiamo lasciarci cadere, per così
dire, nella comunione della fede, della
Chiesa. Credere è un atto cattolico in
sé. È partecipazione a questa grande
certezza, che è presente nel soggetto
vivente della Chiesa. Solo così
possiamo anche capire la Sacra Scrittura
nella diversità di una lettura che si
sviluppa per mille anni. È una
Scrittura, perché è elemento,
espressione dell'unico soggetto - il
Popolo di Dio - che nel suo
pellegrinaggio è sempre lo stesso
soggetto. Naturalmente, è un soggetto
che non parla da sé, ma è un soggetto
creato da Dio - l'espressione classica
è "ispirato" -, un soggetto
che riceve, poi traduce e comunica
questa parola. Questa sinergia è molto
importante. Sappiamo che il Corano,
secondo la fede islamica, è parola
verbalmente data da Dio, senza
mediazione umana. Il Profeta non
c'entra. Egli solo l'ha scritta e
comunicata. È pura parola di Dio.
Mentre per noi, Dio entra in comunione
con noi, ci fa cooperare, crea questo
soggetto e in questo soggetto cresce e
si sviluppa la sua parola. Questa parte
umana è essenziale, e ci dà anche la
possibilità di vedere come le singole
parole diventano realmente Parola di Dio
solo nell'unità di tutta la Scrittura
nel soggetto vivente del popolo di Dio.
Quindi, il primo elemento è il dono di
Dio; il secondo è la compartecipazione
nella fede del popolo pellegrinante, la
comunicazione nella Santa Chiesa, la
quale, da parte sua, riceve il Verbo di
Dio, che è il Corpo di Cristo, animato
dalla Parola vivente, dal Logos divino.
Dobbiamo approfondire, giorno dopo
giorno, questa nostra comunione con la
Santa Chiesa e così con la Parola di
Dio. Non sono due cose opposte, così
che io possa dire: sono più per la
Chiesa o sono più per la Parola di Dio. Solo
unitamente si è nella Chiesa, si fa
parte della Chiesa, si diventa membri della
Chiesa, si vive della Parola di Dio, che
è la forza di vita della Chiesa. E chi
vive della Parola di Dio può viverla
solo perché è viva e vitale nella
Chiesa vivente.
Il quinto intervento era su Pio XII.
Grazie per questo intervento. Era il
Papa della mia gioventù. Lo abbiamo
venerato tutti. Come è stato detto
giustamente, egli ha molto amato il
popolo tedesco, lo ha difeso anche nella
grande catastrofe dopo la guerra. E devo
aggiungere che prima di essere Nunzio a
Berlino era Nunzio a Monaco, perché
inizialmente a Berlino non aveva ancora
la Rappresentanza Pontificia. Era
proprio anche vicino a noi. Mi sembra,
questa, l'occasione per esprimere
gratitudine a tutti i grandi Papi del
secolo scorso. Si è aperto il secolo
con il santo Pio X, poi Benedetto XV,
Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo
VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II.
Mi sembra che questo sia un dono
speciale in un secolo così difficile,
con due guerre mondiali, con due
ideologie distruttive: fascismo-nazismo
e comunismo. Proprio in questo secolo,
che si è opposto alla fede della
Chiesa, il Signore ci ha dato una catena
di grandi Papi, e così un'eredità
spirituale che ha confermato, direi,
storicamente, la verità del Primato del
Successore di Pietro.
Il successivo intervento dedicato
alla famiglia, era del parroco di santa
Silvia. Qui posso soltanto essere
totalmente d'accordo. Anche nelle visite
"ad limina" parlo
sempre con i Vescovi della famiglia,
minacciata, in diversi modi, nel mondo.
È minacciata in Africa, perché si
trova difficilmente il passaggio dal
"mariage coutumier" al
"mariage religieux",
perché si teme la definitività.
Mentre in Occidente la
paura del bambino è motivata dal timore
di perdere qualcosa della vita, lì è
il contrario: finché non consta che la
moglie avrà anche bambini, non si può
osare il matrimonio definitivo. Perciò
il numero dei matrimoni religiosi rimane
relativamente piccolo e molti anche
"buoni" cristiani, anche con
un'ottima volontà di essere cristiani,
non compiono quest'ultimo passo. Il
matrimonio è minacciato anche in
America Latina, per altri motivi, ed è
minacciato fortemente, come sappiamo, in
Occidente. Tanto più dobbiamo, noi come
Chiesa, aiutare le famiglie che sono la
cellula fondamentale di ogni società
sana. Solo così nella famiglia può
crearsi una comunione delle generazioni,
nella quale la memoria del passato vive
nel presente e si apre al futuro. Così,
realmente, continua e si sviluppa la
vita e va avanti. Un vero progresso non
è possibile senza questa continuità di
vita e, di nuovo, non è possibile senza
l'elemento religioso. Senza la fiducia
in Dio, senza la fiducia in Cristo che
ci dona anche la capacità della fede e
della vita, la famiglia non può
sopravvivere. Lo vediamo oggi. Solo la
fede in Cristo e solo la
compartecipazione della fede della
Chiesa salva la famiglia e, d'altra
parte, solo se viene salvata la famiglia
anche la Chiesa può vivere. Io adesso
non ho la ricetta di come fare questo.
Ma, mi sembra, che dobbiamo sempre
tenerlo presente. Perciò dobbiamo fare
tutto ciò che favorisce la famiglia:
circoli familiari, catechesi familiari,
insegnare la preghiera in famiglia.
Questo mi sembra molto importante: dove
si prega insieme, si rende presente il
Signore, si rende presente questa forza
che può anche rompere la "sclerocardia",
quella durezza del cuore che, secondo il
Signore, è il vero motivo del divorzio.
Nient'altro, solo la presenza del
Signore ci aiuta a vivere realmente
quanto era dall'inizio voluto dal
Creatore e rinnovato dal Redentore.
Insegnare la preghiera familiare e così
invitare alla preghiera con la Chiesa. E
trovare poi tutti gli altri modi.
Rispondo ora al vice Parroco di san
Girolamo - vedo che è anche molto
giovane - che ci parla di quanto fanno
le donne nella Chiesa, anche proprio per
i sacerdoti. Posso solo sottolineare che
mi fa sempre grande impressione, nel
primo Canone, quello Romano, la speciale
preghiera per i sacerdoti: "Nobis
quoque peccatoribus". Ecco, in
questa umiltà realistica dei sacerdoti
noi, proprio come peccatori, preghiamo
il Signore perché ci aiuti ad essere
suoi servi. In questa preghiera per il
sacerdote, proprio solo in questa,
appaiono sette donne che circondano il
sacerdote. Esse si mostrano proprio come
le donne credenti che ci aiutano nel
nostro cammino. Ognuno ha certamente
questa esperienza. E così la Chiesa ha
un grande debito di ringraziamento per
le donne. E giustamente Lei ha
sottolineato che, a livello carismatico,
le donne fanno tanto, oserei dire, per
il governo della Chiesa, cominciando
dalle suore, dalle sorelle dei grandi
Padri della Chiesa, come sant'Ambrogio,
fino alle grandi donne del medioevo -
santa Ildegarda, santa Caterina da
Siena, poi santa Teresa d'Avila - e fino
a Madre Teresa. Direi che questo settore
carismatico certamente si distingue dal
settore ministeriale nel senso stretto
della parola, ma è una vera e profonda
partecipazione al governo della Chiesa.
Come si potrebbe immaginare il governo
della Chiesa senza questo contributo,
che talvolta diventa molto visibile,
come quando santa Ildegarda critica i
Vescovi, o come quando santa Brigida e
santa Caterina da Siena ammoniscono e
ottengono il ritorno dei Papi a Roma?
Sempre è un fattore determinante, senza
il quale la Chiesa non può vivere.
Tuttavia, giustamente Lei dice: vogliamo
vedere anche più visibilmente in modo
ministeriale le donne nel governo della
Chiesa. Diciamo che la questione è
questa. Il ministero sacerdotale dal
Signore è, come sappiamo, riservato
agli uomini, in quanto il ministero
sacerdotale è governo nel senso
profondo che, in definitiva, è il
Sacramento che governa la Chiesa. Questo
è il punto decisivo. Non è l'uomo che
fa qualcosa, ma il sacerdote fedele alla
sua missione governa, nel senso che è
il Sacramento, cioè mediante il
Sacramento è Cristo stesso che governa,
sia tramite l'Eucaristia che negli altri
Sacramenti, e così sempre Cristo
presiede. Tuttavia, è giusto chiedersi
se anche nel servizio ministeriale -
nonostante il fatto che qui Sacramento e
carisma siano il binario unico nel quale
si realizza la Chiesa - non si possa
offrire più spazio, più posizioni di
responsabilità alle donne.
Non ho del tutto capito
le parole dell'ottavo intervento.
Sostanzialmente ho capito che oggi
l'umanità camminando da Gerusalemme a
Gerico incontra sul cammino i ladri. Il
Buon Samaritano l'aiuta con la
misericordia del Signore. Possiamo solo
sottolineare che, alla fine, è l'uomo
che è caduto e cade sempre di nuovo tra
i ladri, ed è Cristo che ci guarisce.
Noi dobbiamo e possiamo aiutarlo, sia
nel servizio dell'amore sia nel servizio
della fede che è anche un ministero di
amore.
Poi i Martiri
dell'Uganda. Grazie per questo
contributo. Ci fa pensare al Continente
africano, che è la grande speranza
della Chiesa. Ho ricevuto negli ultimi
mesi gran parte dei Vescovi africani in
visita "ad limina". E
per me è stato molto edificante, ed
anche consolante, vedere Vescovi di alto
livello teologico e culturale, Vescovi
zelanti, che realmente sono animati
dalla gioia della fede. Sappiamo che è
in buone mani questa Chiesa, ma che
tuttavia soffre perché le Nazioni
ancora non si sono formate. In Europa
era proprio tramite il Cristianesimo
che, oltre le etnie che esistevano, si
sono formati i grandi corpi delle
Nazioni, le grandi lingue, e così
comunioni di culture e spazi di pace,
benché poi questi grandi spazi di pace
opposti tra di loro abbiano creato anche
una nuova specie di guerra che prima non
esisteva. Tuttavia, in Africa, abbiamo
ancora in molte parti questa situazione,
dove ci sono soprattutto le etnie
dominanti. Il potere coloniale poi ha
imposto frontiere nelle quali adesso
devono formarsi Nazioni. Ma ancora c'è
questa difficoltà di ritrovarsi in un
grande insieme e di trovare, oltre le
etnie, l'unità del governo democratico
e anche la possibilità di opporsi agli
abusi coloniali che continuano. Ancora,
sempre da parte delle grandi potenze,
l'Africa continua ad essere oggetto di
abuso e molti conflitti non avrebbero
assunto questa forma se non ci fossero
dietro gli interessi delle grandi
potenze. Così ho visto anche come la
Chiesa, in tutta questa confusione, con
la sua unità cattolica, è il grande
fattore che unisce nella dispersione. In
molte situazioni, adesso soprattutto
dopo la grande guerra nella Repubblica
Democratica del Congo, la Chiesa è
rimasta l'unica realtà che funziona e
che fa continuare la vita, dà
l'assistenza necessaria, garantisce la
convivenza e aiuta a trovare la
possibilità di realizzare un grande
insieme. In tal senso, in queste
situazioni, la Chiesa svolge anche un
servizio sostitutivo del livello
politico, dando la possibilità di
vivere insieme, e di ricostruire, dopo
le distruzioni, la comunione, così come
di ricostruire, dopo lo scoppio
dell'odio, lo spirito di
riconciliazione. Molti mi hanno detto
che proprio in queste situazioni il
Sacramento della Penitenza è di grande
importanza come forza di riconciliazione
e deve essere anche amministrato in
questo senso. Volevo, con una parola,
dire che l'Africa è un Continente di
grande speranza, di grande fede, di
realtà ecclesiali commoventi, di
sacerdoti e di Vescovi zelanti. Ma è
sempre anche un Continente che ha
bisogno - dopo le distruzioni che vi
abbiamo portato dall'Europa - del nostro
fraterno aiuto. Ed esso non può non
nascere dalla fede, che crea anche la
carità universale oltre le divisioni
umane. Questa è la nostra grande
responsabilità in questo tempo.
L'Europa ha importato le sue ideologie,
i suoi interessi, ma ha anche importato
con la missione il fattore della
guarigione. Ancor più, oggi, abbiamo la
responsabilità di avere anche noi una
fede zelante, che si comunica, che vuole
aiutare gli altri, che è ben
consapevole che dare la fede non è
introdurre una forza di alienazione ma
è dare il vero dono del quale ha
bisogno l'uomo proprio per essere anche
creatura dell'amore.
Ultimo punto era quello toccato dal
vice Parroco carmelitano di santa Teresa
d'Avila, che ci ha rivelato giustamente
le sue preoccupazioni. Sarebbe
certamente sbagliato un semplice e
superficiale ottimismo, che non si
accorge delle grandi minacce nei
confronti della gioventù di oggi, i
bambini, le famiglie. Dobbiamo percepire
con grande realismo queste minacce, che
nascono dove Dio è assente. Dobbiamo
sentire sempre più la nostra
responsabilità, affinché Dio sia
presente, e così la speranza e la
capacità di andare con fiducia
verso il futuro.
* * *
Dopo gli interventi
di cinque presbiteri, il Santo Padre ha
aggiunto:
Riprendo ora la parola, cominciando
con la Pontificia Accademia. Quanto Lei
ha detto sul problema degli adolescenti,
sulla loro solitudine e
sull'incomprensione da parte degli
adulti, lo tocchiamo con mano, oggi. È
interessante che questa gioventù, che
cerca nelle discoteche di essere
vicinissima, soffra in realtà di una
grande solitudine, e naturalmente anche
di incomprensione. Mi sembra questo, in
un certo senso, espressione del fatto
che i padri, come è stato detto, in
gran parte sono assenti dalla formazione
della famiglia. Ma anche le madri devono
lavorare fuori casa. La comunione tra
loro è molto fragile. Ognuno vive il
suo mondo: sono isole del pensiero, del
sentimento, che non si uniscono. Il
grande problema proprio di questo tempo
- nel quale ognuno, volendo avere la
vita per sé, la perde perché si isola
e isola l'altro da sé - è di ritrovare
la profonda comunione che alla fine può
venire soltanto da un fondo comune a
tutte le anime, dalla presenza divina
che ci unisce tutti. Mi sembra che la
condizione sia di superare la solitudine
e anche di superare l'incomprensione,
perché anche quest'ultima è il
risultato del fatto che il pensiero oggi
è frammentato. Ognuno cerca il suo modo
di pensare, di vivere, e non c'è una
comunicazione in una profonda visione
della vita. La gioventù si sente
esposta a nuovi orizzonti non
partecipati dalla generazione precedente
perché manca la continuità della
visione del mondo, preso in una sequela
sempre più rapida di nuove invenzioni.
In dieci anni si sono realizzati
cambiamenti che in passato neppure in
cento anni si erano verificati. Così si
separano realmente mondi. Penso alla mia
gioventù e all'ingenuità, se così
posso dire, nella quale abbiamo vissuto,
in una società del tutto agraria in
confronto con la società di oggi.
Vediamo come il mondo cambia sempre più
rapidamente, cosicché si frammenta
anche con questi cambiamenti. Perciò,
in un momento di rinnovamento e di
cambiamento, l'elemento del permanente
diventa più importante. Mi ricordo
quando è stata discussa la Costituzione
conciliare "Gaudium
et spes". Da una parte,
c'era il riconoscimento del nuovo, della
novità, il "Sì" della Chiesa
all'epoca nuova con le sue innovazioni,
il "No" al romanticismo del
passato, un "No" giusto e
necessario. Ma poi i Padri - se ne trova
la prova anche nel testo - hanno detto
anche che nonostante questo, nonostante
la necessaria disponibilità ad andare
avanti, a lasciar cadere anche altre
cose che ci erano care, c'è qualcosa
che non cambia, perché è l'umano
stesso, la creaturalità. L'uomo non è
del tutto storico. L'assolutizzazione
dello storicismo, nel senso che l'uomo
sarebbe solo e sempre creatura frutto di
un certo periodo, non è vera. C'è la
creaturalità e proprio essa ci dà la
possibilità anche di vivere nel
cambiamento e di rimanere identici a noi
stessi. Questa non è una risposta
immediata a quello che dobbiamo fare,
ma, mi sembra, che il primo passo sia
quello di avere la diagnosi. Perché
questa solitudine in una società che
d'altra parte appare come una società
di massa? Perché questa incomprensione
in una società nella quale tutti
cercano di capirsi, dove la
comunicazione è tutto e dove la
trasparenza di tutto a tutti è la
suprema legge? La risposta sta nel fatto
che vediamo il cambiamento nel nostro
proprio mondo e non viviamo
sufficientemente quell'elemento che ci
collega tutti, l'elemento creaturale,
che diventa accessibile e diventa realtà
in una certa storia: la storia di
Cristo, che non sta contro la
creaturalità ma restituisce quanto era
voluto dal Creatore, come dice il
Signore circa il matrimonio. Il
cristianesimo, proprio sottolineando la
storia e la religione come un dato
storico, dato in una storia, a
cominciare da Abramo, e quindi come una
fede storica, avendo aperto proprio la
porta alla modernità con il suo senso
del progresso, dell'andare
permanentemente avanti, è anche, nello
stesso momento, una fede che si basa sul
Creatore, che si rivela e si rende
presente in una storia alla quale dà la
sua continuità, quindi la comunicabilità
tra le anime. Penso quindi, anche qui,
che una fede vissuta in profondità e
con tutta l'apertura verso l'oggi, ma
anche con tutta l'apertura verso Dio,
unisce le due cose: il rispetto della
alterità e della novità, e la
continuità del nostro essere, la
comunicabilità tra le persone e tra i
tempi.
L'altro punto era: come possiamo noi
vivere la vita come dono? È una
questione che poniamo soprattutto
adesso, in Quaresima. Vogliamo rinnovare
l'opzione per la vita che è, come ho
detto, opzione non per possedere se
stessi ma per donare se stessi. Mi
sembra che possiamo farlo solo grazie ad
un permanente colloquio col Signore e al
colloquio tra di noi. Anche con la
"correctio fraterna" è
necessario maturare sempre più di
fronte ad una sempre insufficiente
capacità di vivere il dono di se
stessi. Ma, mi sembra, che dobbiamo
anche qui unire le due cose. Da una
parte, dobbiamo accettare la nostra
insufficienza con umiltà, accettare
questo "Io" che non è mai
perfetto ma si protende sempre verso il
Signore per arrivare alla comunione col
Signore e con tutti.
Questa umiltà di
accettare anche i propri limiti è molto
importante. Solo così, d'altra parte,
possiamo anche crescere, maturare e
pregare il Signore perché ci aiuti a
non stancarci nel cammino, pur
accettando con umiltà che mai saremo
perfetti, accettando anche
l'imperfezione, soprattutto dell'altro.
Accettando la propria possiamo accettare
più facilmente quella dell'altro,
lasciandoci formare e riformare sempre
di nuovo, dal Signore.
Ora gli ospedali. Grazie
per il saluto che viene dagli ospedali.
Non conoscevo la mentalità secondo la
quale un sacerdote si trova a svolgere
il suo ministero in ospedale perché ha
compiuto qualcosa di male... Ho sempre
pensato che è servizio primario del
sacerdote quello di servire i malati, i
sofferenti, perché il Signore è venuto
soprattutto per stare con i malati. È
venuto per condividere le nostre
sofferenze e per guarirci. In occasione
delle visite "ad limina"
ai Vescovi africani dico sempre che le
due colonne del nostro lavoro sono
l'educazione - cioè la formazione
dell'uomo, che implica tante dimensioni
come l'educazione per imparare, la
professionalità, l'educazione
nell'intimità della persona - e la
guarigione. Il servizio fondamentale,
essenziale della Chiesa è dunque quello
di guarire. E proprio nei Paesi africani
si realizza tutto questo: la Chiesa
offre la guarigione. Presenta le persone
che aiutano i malati, aiutano a guarire
nel corpo e nell'anima. Mi sembra,
quindi, che dobbiamo vedere proprio nel
Signore il nostro modello di sacerdote
per guarire, per aiutare, per assistere,
per accompagnare verso la guarigione. Ciò
è fondamentale per l'impegno della
Chiesa; è forma fondamentale dell'amore
e quindi, è espressione fondamentale
della fede. Di conseguenza anche nel
sacerdozio è il punto centrale.
Poi, rispondo al Vice
parroco dei santi Patroni d'Italia che
ci ha parlato del dialogo con gli
Ortodossi e del dialogo ecumenico in
generale. Nella situazione mondiale di
oggi, vediamo come il dialogo a tutti i
livelli sia fondamentale. Ancor di più
è importante che i cristiani non siano
chiusi tra di loro ma aperti, e proprio
nei rapporti con gli Ortodossi vedo come
le relazioni personali siano
fondamentali. In dottrina siamo in gran
parte uniti su tutte le cose
fondamentali, tuttavia in dottrina
sembra molto difficile fare dei
progressi. Ma avvicinarci nella
comunione, nella comune esperienza della
vita della fede, è il modo per
riconoscerci reciprocamente come figli
di Dio e discepoli di Cristo. E questa
è la mia esperienza da almeno quaranta,
cinquant'anni quasi: questa esperienza
del comune discepolato, che finalmente
viviamo nella stessa fede, nella stessa
successione apostolica, con gli stessi
sacramenti e quindi anche con la grande
tradizione di pregare; è bella questa
diversità e molteplicità delle culture
religiose, delle culture di fede. Avere
questa esperienza è fondamentale e mi
sembra, forse, che la convinzione di
alcuni, di una parte dei monaci dell'Athos
contro l'ecumenismo, risulti anche dal
fatto che manchi questa esperienza nella
quale si vede e si tocca che anche
l'altro appartiene allo stesso Cristo,
appartiene alla stessa comunione con
Cristo nell'Eucaristia. Quindi questo è
di grande importanza: dobbiamo
sopportare la separazione che esiste.
San Paolo dice che gli scismi sono
necessari per un certo tempo e il
Signore sa perché: per provarci, per
esercitarci, per farci maturare, per
farci più umili. Ma nello stesso tempo
siamo obbligati ad andare verso l'unità
e già andare verso l'unità è una
forma di unità.
Veniamo ora al Padre spirituale del
Seminario. Il primo problema era la
difficoltà della carità pastorale. La
viviamo da una parte, ma dall'altra
parte vorrei anche dire: coraggio. La
Chiesa fa tanto grazie a Dio, in Africa
ma anche a Roma e in Europa! Fa tanto e
tanti le sono grati, sia nel settore
della pastorale degli ammalati, sia
nella pastorale dei poveri e degli
abbandonati. Continuiamo con coraggio e
cerchiamo di trovare insieme le strade
migliori.
L'altro punto era
incentrato sul fatto che la formazione
sacerdotale tra generazioni, anche
vicine, sembra essere per molti un po'
diversa, e questo complica il comune
impegno per la trasmissione della fede.
Ho notato questo quando ero Arcivescovo
di Monaco. Quando noi siamo entrati in
seminario, abbiamo avuto tutti una
comune spiritualità cattolica, più o
meno matura. Diciamo che il fondamento
spirituale era comune. Adesso vengono da
esperienze spirituali molto diverse. Ho
constatato nel mio seminario che
vivevano in diverse "isole" di
spiritualità che comunicavano
difficilmente. Tanto più ringraziamo il
Signore perché ha dato tanti nuovi
impulsi alla Chiesa e tante nuove forme
anche di vita spirituale, di scoperta
della ricchezza della fede. Bisogna
soprattutto non trascurare la comune
spiritualità cattolica, che si esprime
nella Liturgia e nella grande Tradizione
della fede. Questo mi sembra molto
importante. Questo punto è importante
anche riguardo al Concilio. Non bisogna
vivere - come ho detto prima di Natale
alla Curia Romana - l'ermeneutica della
discontinuità, ma vivere l'ermeneutica
del rinnovamento, che è spiritualità
della continuità, dell'andare avanti in
continuità. Questo mi sembra molto
importante anche riguardo alla Liturgia.
Prendo un esempio concreto che mi è
venuto proprio oggi con la breve
meditazione di questo giorno. La "Statio"
di questo giorno, giovedì dopo il
Mercoledì delle Ceneri, è san Giorgio.
Corrispondenti a questo santo soldato,
una volta vi erano due letture su due
santi soldati. La prima parla del re
Ezechia, che, malato, è condannato a
morte e prega il Signore piangendo:
dammi ancora un po' di vita! E il
Signore è buono e gli concede ancora 17
anni di vita. Quindi una bella
guarigione e un soldato che può
riprendere di nuovo in mano la sua
attività. La seconda è il Vangelo che
narra dell'ufficiale di Cafarnao con il
suo servo malato. Abbiamo così due
motivi: quello della guarigione e quello
della "milizia" di Cristo,
della grande lotta. Adesso, nella
Liturgia attuale, abbiamo due letture
totalmente diverse. Abbiamo quella del
Deuteronomio: "Scegli la
vita", e il Vangelo: "Seguire
Cristo e prendere la croce su di sé",
che vuol dire non cercare la propria
vita ma donare la vita, ed è una
interpretazione di cosa vuol dire
"scegli la vita". Devo dire
che io ho sempre molto amato la
Liturgia. Ero proprio innamorato del
cammino quaresimale della Chiesa, con
queste "chiese stazionali" e
le letture collegate a queste chiese:
una geografia di fede che diventa una
geografia spirituale del pellegrinaggio
col Signore. Ed ero rimasto un po' male
per il fatto che ci avessero tolto
questo nesso tra la "stazione"
e le letture. Oggi vedo che proprio
queste letture sono molto belle ed
esprimono il programma della Quaresima:
scegliere la vita, cioè rinnovare il
"Sì" del Battesimo, che è
proprio scelta della vita. In questo
senso, c'è un'intima continuità e mi
sembra che dobbiamo impararlo da questo
che è solo un piccolissimo esempio tra
discontinuità e continuità. Dobbiamo
accettare le novità ma anche amare la
continuità e vedere il Concilio in
questa ottica della continuità.
Questo ci aiuterà anche nel mediare tra
le generazioni nel loro modo di
comunicare la fede.
Infine, il sacerdote del
Vicariato di Roma, ha concluso con una
parola della quale mi approprio
perfettamente così che con essa possiamo anche concludere:
divenire più semplici. Mi sembra questo
un programma bellissimo. Cerchiamo
di metterlo in pratica e così saremo più
aperti al Signore e alla gente.
Grazie!