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Cardinale Silvestrini: «Non è improbabile
una visita a Mosca».
Paolo Luigi Rodari, su Il Tempo 2 dicembre 2006
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«La strada dell’unità con gli ortodossi ha avuto un’importante conferma dal
viaggio del Santo Padre in Turchia e dai discorsi scambiati con il patriarca
ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. In questo senso non vedrei improbabile
che il percorso verso l’unità possa allargarsi presto con un incontro del Papa
con il patriarca ortodosso di Mosca Alessio II».
A parlare è il cardinale Achille Silvestrini, prefetto emerito della
Congregazione per le Chiese Orientali, già segretario del Consiglio per gli
Affari Pubblici della Chiesa, una delle personalità della Santa Sede
maggiormente esperta di questioni diplomatiche e di rapporti multilaterali.
Dunque un viaggio volto principalmente all’unità dei cristiani?
«È uno dei tanti aspetti di questo viaggio, senz’altro uno dei più
importanti. L’unità è una meta difficile ma non irraggiungibile e profondamente
condivisa».
Cosa l’ha colpita maggiormente dell’incontro con Bartolomeo I?
«Le parole di amicizia che i due si sono scambiati non sono state di
routine. C’è davvero il desiderio di camminare verso l’unità. Personalmente mi
ha colpito positivamente quando i due hanno salutato i fedeli alzando assieme le
mani unite. È stato un gesto carico di significati».
Se dovesse in una parola giudicare questo viaggio in Turchia cosa direbbe?
«La parola giusta è l’ammirazione. Questo è il sentimento che mi evoca il
quinto viaggio apostolico di Papa Benedetto XVI fuori i confini italiani».
Ammirazione per che cosa in particolare?
«Per tutto ciò che il Santo Padre ha detto e fatto. La discrezione mostrata
da Benedetto XVI in ogni situazione, il suo garbo, il coraggio con il quale ha
affrontato un ambiente difficile come è quello turco. Tutto questo provoca la
mia ammirazione».
È stato un viaggio significativo anche verso l’islam…
«Senz’altro le parole che egli ha detto il primo giorno al Gran Muftì sono
state importanti. Parole di dialogo, di rispetto e di apertura verso tutto il
mondo islamico. Parole che credo siano state ascoltate con molto interesse dai
musulmani».
Secondo lei il Papa ha dovuto correggere il tiro dopo Ratisbona?
«Non direi. Benedetto XVI a Ratisbona non era stato compreso. In Turchia il Papa
ha dovuto superare queste incomprensioni e certe reazioni esagitate. In questo
senso, la preghiera muta dell’altro ieri nella Moschea Blu resta un grandissimo
segno».
Che significato ha la preghiera muta del Papa?
«Significa affermare che Dio è unico per tutti nonostante venga interpretato
in modo diverso da cristiani e musulmani».
Il Papa ha aperto anche alla possibilità dell’entrata della Turchia in Europa…
«Egli ha parlato non da politico. E con questa premessa ha voluto - e la cosa la
giudico positivamente - dare il suo giudizio su un tema così importante e
decisivo per la Turchia».
La diplomazia vaticana ha avuto un duro lavoro da svolgere dopo Ratisbona…
«Credo di sì. E credo soprattutto che i lavori svolti per questo viaggio possano
avere effetti positivi per il proseguo dei rapporti multilaterali».
Il Papa ha parlato molto di libertà religiosa. Cosa intendeva esattamente?
«Credo intendesse non soltanto la necessità che si riconosca libertà di
culto alle minoranze religiose, ma anche che si conceda loro quei riconoscimenti
giuridici che oggi ancora non hanno. Le parole del Papa in Turchia ritengo
possano aiutare in questo senso».
Nel 1979 anche Giovanni Paolo II arrivò in Turchia. Ricorda quel viaggio?
«Il Papa trovò un’accoglienza fredda. Il clima era più o meno quello odierno.
Tra i due viaggi, come anche tra i due pontificati, noto una perfetta
continuità».
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