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lunedì 16 novembre 2009
Chiesa e Internet

Si è svolto nei giorni scorsi in Vaticano un simposio su Internet, promosso dalla Commissione per i mezzi di comunicazione del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE). Ne potete leggere la notizia su ZENIT.

Caterina mi ha inviato un suo commento all’intervento di Monsignor Jean-Michel di Falco Léandri, Vescovo di Gap e Embrun (Francia) e Presidente della Commissione episcopale europea per i media, il quale ha riferito di «un’inchiesta condotta nel mondo francese di Internet che mostra come i siti evangelici siano più visitati di quelli cattolici, anche se la popolazione cattolica del Paese è molto più consistente di quella evangelica». Ecco le riflessioni di Caterina:

«Nota mia sui siti evangelici che conosco da 10 anni, almeno quelli in Italia. Non è affatto vero che essi escono da se stessi per mettersi come prima cosa al posto degli altri, rispondono ai bisogni. È vero invece che essi usano Internet per evangelizzare soprattutto i cattolici. Mi fa davvero specie che il presule nell’inchiesta non abbia annotato la cattiveria e l’astio della maggior parte dei siti evangelici contro la Chiesa cattolica, contro il Papa, contro il culto a Maria e ai santi. E come si fa a proporre come esempio dei siti come quelli evangelici che fanno riferimento alla Bibbia con una interpretazione diversa da quella della Chiesa?

E mi fa specie che il presule non abbia annotato che il maggior successo dei siti web evangelici sta nei soldi: molti degli iscritti pagano di tasca propria il mantenimento delle spese; in altri c’è la decima; altri ancora prestano gratuitamente la loro bravura al sito. Indubbiamente la vera differenza fra i siti cattolici e quelli evangelici sta proprio nella necessità del concetto di comunità-comunione, che fra di noi purtroppo non si avverte.

Mi sono imbattuta nel tempo in forum gestiti da preti e suore progressiste che non disdegnavano il bannare facile se ti azzardavi, prima dell’avvento di Benedetto XVI, a difendere la liturgia nella sua tradizione. Il presule avrebbe potuto motivare meglio tali differenze con gli evangelici dal momento che in Internet c’è una vera differenza fra i siti, blog e forum di matrice progressista da quelli tradizionali cattolici; problemi che gli evangelici non hanno, dal momento che sono preoccupati di evangelizzare principalmente i cattolici.

Il dramma dei cattolici nella rete, riguardo a molti forum, sta nell’invidia fra gruppi. La preoccupazione di taluni forum sta nell’audience, nelle classifiche, nel farsi notare dagli altri, nel sottolineare di essere gli unici. Sono pronti ad umiliare gli iscritti soprattutto di matrice tradizionale; molti di questi gruppi si scontrano con delle enormi contraddizioni:
— alcuni hanno una obbedienza al Papa idolatrica; di conseguenza diventa impossibile poter approfondire argomenti inerenti a delle scelte del Papa che, non avendo nulla a che fare con l’infallibilità, possono essere pacificamente discusse, ma a causa dell’incapacità di taluni gestori dal ban facile, si è costretti a tacere;
— altri pur sapendo di non sapere, non accettano che si porti il Magistero della Chiesa integralmente. Le proprie opinioni sono diventate le nuove verità da difendere a discapito della vera fede;
— ci sono altri ancora che nuotano nel sincretismo piú puro; hanno come regolamento il “volemose bene” al di là di che cosa sia la Verità.

Il presule ha dimenticato inoltre di annotare che il problema di coordinamento tra forum cattolici nasce anche qui da una difesa sbagliata del Concilio; un problema che appunto i siti evangelici non hanno. La prassi liturgica, la dottrina nel suo rituale, le norme che stabiliscono come si deve prendere la comunione ecc. sono problemi attuali che indubbiamente dividono i cattolici non solo nella rete ma anche fuori nella vita reale.

Se il presule non se ne fosse accorto (ma, vantandomi in Cristo, è necessario che dica che sono anni che lo vado scrivendo in Internet), i cattolici sono divisi: i movimenti navigano per conto loro sia nei loro territori sia nella rete; idem i francescani, i domenicani ecc. Ognuno cura il suo orticello; di conseguenza ciò che è la realtà quotidiana si riscontra nella rete.

Gli evangelici, assai più furbamente, non sono divisi; sono indipendenti — è diverso — e si tengono uniti per una comune battaglia quella contro la Chiesa cattolica. Al contrario per noi cattolici seppur scoordinati — mi sia concesso dirlo — la battaglia comune è quella della propria identità; e non facciamo altro che rispecchiare la confusione che viviamo nella Chiesa, dove l’identità cattolica è davvero diventata motivo di discussione a causa, purtroppo, di 40 anni di apostasia e soprattutto di anarchia.

Ergo, i forum cattolici non fanno altro che rispecchiare in rete questi problemi; ma, per favore, evitiamo la diplomatica scelta di portarci come esempio gli evangelici. Per loro, il presule che ha detto queste cose, è un idolatra, ed eretico
».

Prima di rispondere a Caterina, vorrei dire qualcosa in generale sul simposio. Mi fa piacere che la Chiesa si muova in questo campo; che si renda conto che il mondo sta cambiando, e cerchi di stare al passo coi tempi. Anche questo è un segno di vitalità della Chiesa: è la smentita — se mai ce ne fosse bisogno — che la Chiesa non vive nel passato, come taluni anticlericali d’altri tempi (loro, sí, rimasti ancorati a una visione ideologica totalmente superata) vorrebbero farci credere.

La mia preoccupazione è per le conseguenze di tali convegni. Mi spiego. Molti dei partecipanti a tali incontri fanno una certa fatica ad accostarsi a certi fenomeni, non per pregiudizio, non per rifiuto aprioristico, ma, il più delle volte, per mere ragioni anagrafiche. Manca loro l’approccio “naturale” verso questi mezzi, proprio delle nuove generazioni, che sono nate e cresciute alla loro ombra. Per molti occorre fare uno sforzo reale di adattamento a certe novità. Niente di male; non è una colpa; è un fenomeno naturale. Io stesso, che pure non sono vecchissimo, faccio talvolta fatica a cogliere l’utilità e il funzionamento di certi nuovi strumenti (p. es., il “social network”).

Il rischio è che, proprio perché si deve fare uno sforzo per adattarsi ai nuovi mezzi di comunicazione, qualche volta li si sottovaluti (non riuscendo a coglierne le potenzialità) e qualche altra li si sopravvaluti (considerandoli una specie di strumenti magici). E si faccia fatica a prenderli per quello che essi in realtà sono: strumenti utili, ma che non possono essere in alcun modo assolutizzati.

Un altro pericolo è che, non sentendosi competenti in questo campo, spesso ci si affidi a sedicenti “esperti”, i quali il più delle volte, approfittando della nostra buona fede, fiutano l’affare. Un avviso per tutti: quando qualche “tecnico” vi accosta, chiamandovi “Reverendo Padre” o “Eccellenza Reverendissima” e proponendovi progetti faraonici, diffidate; state pur certi che vuole far soldi alle vostre spalle.

Infine, c’è un altro rischio in cui è facile incorrere nella Chiesa: quello della pianificazione, della regolamentazione e dell’accentramento. Che ci sia bisogno di un coordinamento, non c’è dubbio; ma pensare che tutto debba essere controllato dalla diocesi o dal Vaticano, mi sembra totalmente fuori luogo. Anche nella Chiesa ci deve essere spazio per la “libera iniziativa”. I pastori, nella Chiesa, non sono gli unici da cui devono partire le iniziative; sono piuttosto quelli che “esaminano ogni cosa” (1 Ts 5:21), ne discernono l’autenticità e coordinano le iniziative dei fedeli. Nel simposio vaticano Mons. Celli ha pronunciato una frase rivelatrice: «I mezzi di comunicazione sociale sono lasciati all’iniziativa di individui o piccoli gruppi, ed entrano nella programmazione pastorale solo a livello secondario». Ecco la grande preoccupazione: la “programmazione pastorale”, che è diventata nella Chiesa qualcosa di molto simile alla “pianificazione economica” di sovietica memoria. Se qualcosa non rientra nella “programmazione pastorale”, non ha diritto di cittadinanza nella Chiesa.

Ed ecco che vengo al problema posto da Caterina. Concordo con lei sul quanto meno discutibile paragone con gli evangelici. È ovvio che l’erba del vicino è sempre piú verde. Personalmente, devo riconoscere di non frequentare siti evangelici, eccetto quelli biblici, che offrono una notevole ricchezza di testi e traduzioni. Sinceramente, non ho mai avuto occasione di imbattermi in siti protestanti anticattolici.

Ricordo solo che, quando ero giovane (a quel tempo Internet non esisteva ancora), ascoltavo frequentemente stazioni radio protestanti, e quel che mi colpiva positivamente era l’uso che facevano della radio per l’annuncio puro del Vangelo, senza la preoccupazione della cultura, dell’intrattenimento, ecc. Nulla a che vedere con la Radio Vaticana (l’unica stazione cattolica allora esistente; Radio Maria era di là da venire).

Ora — ci assicura il Presidente della Commissione episcopale europea per i media — «gli evangelici ascoltano e i cattolici parlano»; «gli evangelici escono da se stessi per mettersi come prima cosa al posto degli altri. Rispondono ai bisogni»; «la Chiesa cattolica parla forse partendo da se stessa senza prendere sufficientemente in considerazione ciò che vive la gente»; «i siti cattolici sono centrati su se stessi [e sono] considerati come strumenti e non come un mondo da evangelizzare; [sono] delle estensioni o dei duplicati dei nostri foglietti parrocchiali, dei nostri bollettini diocesani. Sono ad uso interno. Parlano una lingua per iniziati ad uso esclusivo degli iniziati. I siti evangelici, al contrario, vogliono raggiungere gli internauti, utilizzando Internet come strumento e vettore di evangelizzazione».

Sinceramente, mi sembrano belle frasi, a effetto; ma, dopo tutto, non cosí sensate. In qualche caso, di difficile comprensione. Che significa dire che i siti cattolici sono «considerati come strumenti e non come un mondo da evangelizzare», e poi affermate che, invece, gli evangelici usano Internet «come strumento e vettore di evangelizzazione»? Faccio difficoltà a cogliere la logica di tale ragionamento.

In ogni caso — e questo lo dico non solo ai partecipanti al simposio, ma anche a Caterina — non mi sembra proprio il caso di disperare. Non mi pare che noi cattolici siamo messi cosí male in questo campo: c’è un pullulare di siti, blog, forum, da fare invidia a chiunque (personalmente, non mi preoccuperei piú di tanto per la varietà delle presenze: il pluralismo è un segno della ricchezza e della vitalità della Chiesa). A sentire certi discorsi, sembra quasi che la Chiesa cattolica sia assente dalla rete. Beh, se per Chiesa cattolica si intende solo la Chiesa istituzionale, forse (ma non è vero neppure in tal caso, giacché la Santa Sede, tutte le diocesi e tutti gli istituti religiosi hanno il loro sito). Ma la Chiesa non è solo questa; ci sono anche i fedeli che, individualmente o in gruppo, affollano la rete, in maniera spesso artigianale; ma si tratta pur sempre di una presenza.

Ora, la mia preoccupazione è appunto quella che, oltre a possibili interventi dello Stato o dell’Unione Europea tesi a regolamentare (leggi: imbavagliare) la rete, adesso ci si metta anche la Chiesa, per inserire siti, blog e forum nella “programmazione pastorale”. Il che significherebbe la fine di tutto. Magari per avere su Internet il corrispondente di “Sat2000” televisivo, che costa una barca di soldi e nessuno segue. Beh, direi che è meglio tenerci i nostri poveri blog, lasciando che sia la “fantasia pastorale” e lo Spirito Santo a suggerirci come utilizzare al meglio questi nuovi strumenti per l’annuncio del Vangelo.


[Fonte: http://querculanus.blogspot.com/2009/11/chiesa-e-internet.html]
 

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