Chiesa e Islam. A Milano
per un dibattito sul dialogo tra le due sponde del Mediterraneo: «Da
potenza incontrollabile il mare si trasformi in occasione di armonia». La
testimonianza di Maroun Lahham: «Siamo al servizio di tutti. Per questo ci
rispettano»
«Nella mentalità biblica, il mare rappresentava il
potere del male, le potenze incontrollabili. Oggi non si pensa più
così. Il mare, il Mediterraneo nella fattispecie, offre preziose reti
di conoscenza e tentativi di convergenza. Il mare, paradossalmente, è
anche un ponte per unire le differenze in armonia». Pronuncia parole
dense di significato Maroun Lahham, vescovo di Tunisi, intervenendo ieri
mattina al quarto Laboratorio Euro-Mediterraneo promosso dalla Camera di
Commercio di Milano, con autorevoli presenze internazionali.
L'attenzione è sulla crisi mediorientale ma anche sui rapporti e gli
scambi fra le sponde del Mediterraneo. Temi cari a Lahham, palestinese
nato in Giordania, che si definisce «vescovo cattolico di origine araba
e di cultura arabo-musulmana».
Avvicinare le due sponde del Mediterraneo. Come si vince questa
sfida?
«Occorre guardare le cose con occhi nuovi: sapere che siamo
diversi, nella storia, nella cultura, nella religione; sforzarci per
trasformare le differenze in elementi di reciproco arricchimento;
imparare a conoscere e informarsi sull'altro, soprattutto i bisogni per
rispondere con generosità e gratuità».
In Tunisia ci sono ventimila battezzati su dieci milioni di abitanti.
Quali difficoltà?
«Le difficoltà di una Chiesa straniera, che però è accettata.
Anzi rispettata. Anche per quello che fa. Nella scuola, nella
formazione, sostenendo la gente. La difficoltà maggiore è quella di
sentirsi fragili, perché non fai parte del tessuto sociale del Paese.
Ma abbiamo tanto entusiasmo e voglia di fare».
Qualche iniziativa in particolare?
«La nostra è una presenza di servizio pastorale che non si limita
ai cattolici. È una missione, una testimonianza verso il popolo
tunisino che ci accoglie. In tutte le nostre scuole non c'è neanche un
cattolico. La diocesi ha messo in opera un centro culturale e pedagogico
che offre sessioni di formazione a centinaia di insegnanti tunisini, sia
delle scuole pubbliche sia di quelle private. Uno dei nostri progetti
per il prossimo futuro è quello di sviluppare questo centro, perché
corrisponda al meglio alla propria missione e ai bisogni culturali e
pedagogici della Tunisia».
È continuo il flusso di disperati che lascia l'Africa per dirigersi
in Europa. Il Mediterraneo come mare della speranza...
«L'altro giorno leggevo di un marocchino fermato prima di
imbarcarsi che gridava: "Uccidetemi, ma qui non resto".
Nessuno lascia il proprio Paese se non è mosso dal bisogno. Per questo
occorre guardare a politiche di sviluppo e di sostegno per i Paesi della
sponda sud del Mediterraneo. Aiutare la gente a muoversi in modo legale,
senza essere costretti a viaggi della disperazione nelle condizioni che
conosciamo. Lavorare per creare le condizioni affinché possano tornare.
Quello che cerchiamo di fare con la Caritas diocesana per aiutare quanti
vogliono rientrare in Tunisia».
Lei conosce molto bene l'Islam: diffidenza, paura, opportunità?
«Parlo spesso di un Islam del sorriso. Non si deve pensare
all'Islam come un miliardo di potenziali kamikaze. Non è così. Il
fanatismo c'è, ma in piccolissima misura. La presenza dell'Islam in
Europa può essere una "chance" per tutti. Per l'Europa, è un
richiamo positivo ad avere un'identità forte, a ritornare a valori
spirituali e morali che si perdono. Per l'Islam, obbligato a entrare nel
mondo del pluralismo religioso e culturale, che può acquisire una
mentalità rispettosa, essere più libero - o liberato - e dunque più
credibile».
Intanto in Medio Oriente è ancora crisi.
«Ci deve essere un impegno deciso, imparziale e obiettivo da parte
di tutti a risolvere il conflitto israelo-palestinese. È tutto lì il
nodo del conflitto in Medio Oriente. Occorre da un lato garantire il
diritto di Israele all'esistenza e a vivere in pace; dall'altro è
necessario fare di tutto perché possa finalmente nascere uno Stato
palestinese, mettendo fine a decenni di violenze, sangue e odio. Possa
questa terra elevarsi a terra di dialogo, d'incontro. Dice un detto:
"Chi vuol vedere un angolo di paradiso, guardi Gerusalemme". E
invece...».
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[Fonte: Avvenire 19 luglio 2006]