«Chiesa
e Islam. A Ratisbona è spuntato un virgulto di dialogo»
Sandro Magister, su
www.chiesa 30 ottobre 2006
Dopo la bufera, dal mondo musulmano vengono anche segnali di discussione
“secondo ragione”. Un dotto botta e risposta tra il cattolico Martinetti e
il teologo musulmano Aref Ali Nayed. E il cardinale Bertone scrive...
L’effetto Ratisbona ha ogni giorno nuovi sviluppi.
Dopo la bufera seguita alla
“lectio” di Benedetto XVI del 12 settembre si
moltiplicano dentro il mondo musulmano le risposte pacate e ragionate agli
argomenti del papa.
La “lettera aperta” al papa di 38 leader e studiosi musulmani è stato sin qui il segnale più rilevante di
questa nuova attenzione da parte del mondo islamico.
Ma prima e dopo questa lettera vi sono stati altri interventi di rilievo.
La prima approfondita analisi da parte di un filosofo e teologo musulmano
della lezione di Benedetto XVI a Ratisbona è stata pubblicata su www.chiesa
il 4 ottobre. L’autore, Aref Ali Nayed, nato in Libia e managing director di
un’azienda tecnologica con sede negli Emirati Arabi Uniti, ha studiato
filosofia della scienza ed ermeneutica negli Stati Uniti e in Canada, ha
seguito corsi alla Pontificia Università Gregoriana di Roma e ha tenuto
lezioni al Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica. È consulente
all’Interfaith Program dell’università di Cambridge. È musulmano sunnita
osservante e si qualifica “di scuola Asharita in teologia, Malikita in
giurisprudenza e Shadhilita-Rifai nell’orientamento spirituale”.
Ma il commento di Aref Ali Nayed, successivamente ripubblicato in forma
integrale in un sito islamico inglese, ha avuto un seguito.
Ad alcuni passaggi dell’esposizione di Aref Ali Nayed ha replicato uno
studioso cattolico italiano esperto in filosofia e teologia medievale,
Alessandro Martinetti, di Ghemme in provincia di Novara. Martinetti ha
insistito in particolare sul rapporto tra Dio e la ragione, e sulla radicale
diversità di questo rapporto nell’islam e nella dottrina cattolica.
La nota di Martinetti – già anticipata per i lettori italiani nel blog
“Settimo Cielo” – è riportata integralmente più sotto, in questa pagina.
Aref Ali Nayed ha risposto a sua volta alle tesi di Martinetti. E anche
questa sua ampia replica è integralmente riportata in questa pagina, nella
sua stesura originale in inglese.
La controtesi di Aref Ali Nayed è che è errato contrapporre un
“Dio-Arbitrio” dell’islam a un “Dio-Logos” del cristianesimo. A suo
giudizio, la stessa teologia di Tommaso d’Aquino sul rapporto tra Dio e la
ragione “è molto vicina a Ibn Hazm e ai teologi musulmani di scuola Asharita”.
Ma prima del dotto contraddittorio tra Martinetti e Aref Ali Nayed nel
commentare, entrambi, la lezione di Benedetto XVI a Ratisbona, in questa
pagina è riprodotto un altro testo, quasi inedito, che ha per autore il
segretario di stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone.
Quasi inedito perché scritto dal cardinale Bertone per il prossimo numero,
non ancora stampato, della rivista cattolica “30 Giorni”, diretta da Giulio
Andreotti, più volte capo del governo e ministro degli esteri italiano,
molto vicino ai circoli diplomatici vaticani.
Il testo scritto da Bertone per “30 Giorni” farà da introduzione, nella
stessa rivista, alla ristampa della lezione di Benedetto XVI a Ratisbona.
Il testo integrale di Bertone può essere già letto, sin d’ora, nel sito web
di “30 Giorni”. Qui di seguito ne è riportata la parte finale.
In essa vi sono dei passaggi che meritano attenzione.
Il cardinale segretario di stato annuncia un rafforzamento delle attività
delle nunziature apostoliche nei paesi musulmani e un più sistematico uso
della lingua araba da parte vaticana.
Auspica un maggior “dialogo con le élites pensanti [musulmane], nella
fiducia di penetrare successivamente nelle masse, cambiare mentalità ed
educare le coscienze”.
Quanto al terreno di possibile intesa tra cristianesimo e islam, Bertone lo
indica nella “promozione della dignità di ogni persona” e nella “educazione
alla conoscenza e alla tutela dei diritti umani”. Senza con ciò rinunciare,
da parte della Chiesa, a “proporre e annunciare il Vangelo, anche ai
musulmani, nei modi e nelle forme più rispettose della libertà dell’atto di
fede”.
Ecco dunque qui di seguito, nell’ordine:
1 – il testo del cardinale Bertone,
2 – la replica di Alessandro Martinetti al commento di Aref Ali Nayed della
lezione di Benedetto XVI a Ratisbona,
3 – la controreplica di Aref Ali Nayed alle osservazioni di Martinetti.
1. Dialogare con le élites pensanti, per penetrare nelle
masse [Testo
integrale dell'articolo]
di Tarcisio Bertone
[...] Il Cristianesimo non è certo limitato all’Occidente, né si identifica
con esso, ma solo rinsaldando un rapporto dinamico e creativo con la propria
storia cristiana la democrazia e la civiltà occidentali potranno ritrovare
spinta e propulsione, ovvero quelle energie morali per affrontare una scena
internazionale fortemente competitiva.
Occorre disinnescare il rancore antislamico che cova in molti cuori,
nonostante la messa a rischio della vita di tanti cristiani.
Inoltre, la fermissima condanna delle forme di irrisione della religione – e
qui mi riferisco anche all’episodio delle irriverenti vignette satiriche che
hanno infiammato le folle islamiche all’inizio di quest’anno – è
precondizione indispensabile per condannarne le strumentalizzazioni.
Il discorso di fondo però non è neppure quello del rispetto dei simboli
religiosi. Esso è semplice e radicale: occorre tutelare la dignità umana del
musulmano credente. In un dibattito legato a questi temi una giovane
musulmana nata in Italia ha semplicemente affermato: “Per noi il Profeta non
è Dio, ma gli vogliamo molto bene”. Di questo sentimento profondo occorre
avere almeno rispetto!
Di fronte ai musulmani credenti, ma anche di fronte ai terroristi, il
parametro che deve dettare il comportamento non è l’utilità o il danno, ma
la dignità umana.
Il centro del rapporto tra Chiesa e Islam è quindi preliminarmente la
promozione della dignità di ogni persona e l’educazione alla conoscenza e
alla tutela dei diritti umani.
In secondo luogo e in connessione a questa precondizione non dobbiamo
rinunciare a proporre e annunciare il Vangelo, anche ai musulmani, nei modi
e nelle forme più rispettose della libertà dell’atto di fede.
Per raggiungere questi obiettivi la Santa Sede si propone di valorizzare al
massimo le nunziature apostoliche presso i paesi a maggioranza musulmana,
per accrescere la conoscenza e se possibile anche la condivisione delle
posizioni della Santa Sede.
Penso anche a un eventuale potenziamento dei rapporti con la Lega Araba, che
ha sede in Egitto, tenendo conto delle competenze di tale organismo
internazionale.
La Santa Sede si propone inoltre di impostare rapporti culturali tra le
università cattoliche e le università dei paesi arabi e tra gli uomini e
donne di cultura. Tra di loro il dialogo è possibile e direi anche
fruttuoso. Ricordo alcuni congressi internazionali su temi interdisciplinari
che abbiamo celebrato alla Pontificia Università Lateranense, ad esempio sui
diritti umani, sulla concezione della famiglia, sulla giustizia e
sull’economia.
Occorre proseguire e intensificare questa strada di dialogo con le élites
pensanti, nella fiducia di penetrare successivamente nelle masse, cambiare
mentalità ed educare le coscienze.
E proprio per facilitare questo dialogo la Santa Sede ha iniziato, e
continuerà su questa strada, un uso più sistematico della lingua araba nel
suo sistema di comunicazioni.
Il tutto avendo sempre a mente che la salvaguardia di quell’icona povera e
continuamente insidiata ma sommamente amata da Dio che è la persona umana –
amata per sé stessa, come dice il Concilio Vaticano II – è la massima
testimonianza che le tradizioni religiose bibliche possono offrire al mondo.
2. Arbitrio o Logos? Il Dio dell’islam e quello cristiano
di Alessandro Martinetti
Il commento di Aref Ali Nayed alla “lectio” di Benedetto XVI a Ratisbona
stimola alcune riflessioni, in particolare a proposito del rapporto tra Dio
e ragione.
Scrive Nayed:
“La ragione è un dono di Dio che non può essere al di sopra di Dio. Questo è
il punto centrale di Ibn Hazm; un punto che è stato parafrasato in forma
mutilata dalle dotte fonti di Benedetto XVI. Ibn Hazm, come i teologi
Ashariti con i quali spesso polemizzava, insisteva sull’assoluta libertà
dell’agire di Dio. In ogni caso Ibn Hazm riconosceva, come molti altri
teologi musulmani, che Dio sceglie liberamente, nella sua compassione verso
le sue creature, di agire ragionevolmente in coerenza con se stesso, così
che noi possiamo usare la nostra ragione per allineare noi stessi alla guida
e agli ordini di Dio.
“Ibn Hazm, come molti altri teologi musulmani, teneva fermo che Dio non è
esternamente vincolato da niente, nemmeno dalla ragione. Comunque, in nessun
punto Ibn Hazm sostiene che Dio non impegna se stesso liberamente e non
onora questo suo impegno. Questo divino libero autoimpegnarsi è detto nel
Corano ‘kataba rabukum ala nafsihi al-Rahma’ (il tuo Dio ha impegnato se
stesso alla compassione). La ragione non deve essere al di sopra di Dio, né
essere esternamente normativa per lui. Può essere normativa solo per grazia
di Dio, a motivo del libero impegnarsi di Dio stesso ad agire in coerenza
con sé.
“Per credere in quest’ultima proposizione non c’è bisogno di essere
irrazionali o irragionevoli, con un Dio irrazionale o bizzarro! Il contrasto
tra cristianesimo e islam su questa base non solo è ingiusto, ma anche
equivoco.
“Non c’è dubbio che il papa si sforzi di convincere una università laica che
la teologia ha un posto in un contesto basato sulla ragione. Tuttavia,
questo non dovrebbe arrivare fino al punto di assoggettare Dio a una ragione
che lo vincoli dall’esterno. La maggior parte dei grandi teologi cristiani,
compreso l’amante della ragione Tommaso d’Aquino, non hanno mai posto la
ragione al di sopra di Dio."
A giudizio di Nayed, dunque, san Tommaso “non ha mai posto la ragione al di
sopra di Dio”. Ma evitare di porre la ragione al di sopra di Dio non è
ritenere, come invece Nayed fa, che questa mancata sovraordinazione della
ragione a Dio autorizzi ad affermare che “Dio non è esternamente vincolato
da niente, nemmeno dalla ragione” e che la ragione “può essere normativa
solo per grazia di Dio, a motivo del libero impegnarsi di Dio stesso ad
agire in coerenza con sé”.
San Tommaso non avrebbe mai sottoscritto queste affermazioni, anzi le
contrastò vigorosamente. E con lui non le sottoscrive ma le contrasta il
magistero cattolico. Il quale respinge pertanto la rappresentazione di un
Dio che “sceglie liberamente, nella sua compassione verso le sue creature,
di agire ragionevolmente in coerenza con se stesso, così che noi possiamo
usare la nostra ragione per allineare noi stessi alla guida e agli ordini di
Dio”.
Se affermare che la ragione non è normativa per Dio, e che Dio è coerente
con sé stesso solo per scelta sovranamente libera e non esternamente
vincolata alla ragione, equivale ad affermare – come mi pare Nayed faccia –
che Dio potrebbe esistere ed agire in spregio alla ragione se solo lo
volesse con atto di sovrana illimitata libertà, allora è opportuno precisare
che Tommaso, e con lui il magistero cattolico, rigetta tale convinzione,
scorgendovi un volontarismo irrazionalistico incompatibile con la retta
ragione e con la fede cattolica, come il papa stesso rimarca nella “lectio”
di Regensburg:
“Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono
sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito
greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo
agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica,
la quale alla fine, nei suoi successivi sviluppi, portò all'affermazione che
noi di Dio conosceremmo soltanto la ‘voluntas ordinata’. Al di là di essa
esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto
creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto.
Qui si profilano delle posizioni che, senz'altro, possono avvicinarsi a
quelle di Ibn Hazm e potrebbero portare fino all'immagine di un Dio-arbitrio,
che non è legato neanche alla verità e al bene. La trascendenza e la
diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato, che anche la
nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene non sono più un vero
specchio di Dio, le cui possibilità abissali rimangono per noi eternamente
irraggiungibili e nascoste dietro le sue decisioni effettive.”
Qui sta parlando non il Ratzinger teologo impegnato – come molti hanno
sostenuto – nell’illustrare sbrigliate e audaci posizioni teologiche
autorevoli quanto si vuole ma pur sempre personali, bensì papa Benedetto XVI,
il quale dottamente non fa che ribadire contenuti consolidati della dottrina
cattolica, enunciati in termini identici da Giovanni Paolo II nell’enciclica
“Fides et Ratio” del 1998. Nella quale si proclama il valore universale di
alcuni principi razionalmente conoscibili e applicabili, tra cui il
principio di non contraddizione: principio che è universale –
trascendentale, direbbero i filosofi – appunto perché nemmeno Dio può
derogarvi:
“In questo senso è possibile riconoscere, nonostante il mutare dei tempi e i
progressi del sapere, un nucleo di conoscenze filosofiche la cui presenza è
costante nella storia del pensiero. Si pensi, solo come esempio, ai principi
di non contraddizione, di finalità, di causalità, come pure alla concezione
della persona come soggetto libero e intelligente e alla sua capacità di
conoscere Dio, la verità, il bene; si pensi inoltre ad alcune norme morali
fondamentali che risultano comunemente condivise. Questi e altri temi
indicano che, a prescindere dalle correnti di pensiero, esiste un insieme di
conoscenze in cui è possibile ravvisare una sorta di patrimonio spirituale
dell'umanità. E come se ci trovassimo dinanzi a una filosofia implicita per
cui ciascuno sente di possedere questi principi, anche se in forma generica
e non riflessa. Queste conoscenze, proprio perché condivise in qualche
misura da tutti, dovrebbero costituire come un punto di riferimento delle
diverse scuole filosofiche. Quando la ragione riesce a intuire e a formulare
i principi primi e universali dell'essere e a far correttamente scaturire da
questi conclusioni coerenti di ordine logico e deontologico, allora può
dirsi una ragione retta o, come la chiamavano gli antichi, orthòs logos,
recta ratio” (“Fides et Ratio”, 4).
Non meno limpido ed eloquente è questo passaggio della costituzione
dogmatica sulla fede cattolica del Concilio Vaticano I “Dei Filius” (IV, DS
3017), citato con palese approvazione in “Fides et Ratio” al paragrafo 53:
“Ma anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere una vera
divergenza tra fede e ragione: poiché lo stesso Dio, che rivela i misteri e
comunica la fede, ha anche deposto nello spirito umano il lume della
ragione; questo Dio non potrebbe negare se stesso, né il vero contraddire il
vero”.
Il Magistero insegna dunque che Dio non può esercitare la propria libertà in
modo contraddittorio, cioè totalmente sganciato dai principi della ragione:
ai quali non si assoggetta per arbitrario decreto, ma perché egli stesso è
fondamento non contraddittorio di tutto ciò che esiste. Un Dio che potesse
violare il principio di non contraddizione come, quando e se vuole potrebbe
indifferentemente essere amore e non amore, creatore misericordioso e
carnefice sadico ed efferato, il quale impartisce un comando e poi può
discrezionalmente castigare e dannare chi obbedisce al comando: una sfinge
indecifrabile, volubile e potenzialmente nemica dell’uomo. Un pericoloso
autocrate onnipotente che, come il papa ha evidenziato a Regensburg, “non
sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola”, poiché “niente lo
obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo
dovrebbe praticare anche l'idolatria”.
Il Dio annunciato dalla Chiesa cattolica è invece – e non può che essere –
sempre e soltanto buono, datore di vita e di amore, redentore e salvatore e
mai persecutore, creatore e non distruttore. Egli non si compiace della
sofferenza né del peccato, ma non può che porre le Sue creature nelle
condizioni di attingere il proprio bene sommo. Egli è fedele e coerente – e
non può che esserlo – nonostante le infedeltà e le incoerenze degli uomini
nel faticoso cammino dell’esistenza individuale e della storia. Non può che
essere così, perché “Dio non potrebbe negare se stesso, né il vero
contraddire il vero”. Dio non può essere amore infinito e anche,
contraddittoriamente, amore a termine, capriccioso, intermittente,
opportunistico.
Non ignoro che molta teologia, anche in ambiente cattolico, tema il Dio che
non può disattendere il principio di non contraddizione, reputando che un
Dio che non possa aggirare tale principio non sia onnipotente e non possa
esercitare il proprio amore in maniera sovranamente libera. Ma è chiaro
quali sono i rischi che il magistero addita annidarsi nell’immagine di un
Dio supremamente libero di agire contro ragione. Sarebbe tempo che venga
superata l’oziosa e sterile contrapposizione tra il Dio-Logos, che
ottemperando al principio di non contraddizione si rinchiude in un
imperturbabile distacco razionalistico impermeabile all’amore, e il
Dio-Amore, che può a talento violare i principi razionali pur di secondare
la propria indole di amore libero in modo assoluto e onnipotente.
Come insegna Benedetto XVI a Ratisbona, “non agire con il ‘logos’ è
contrario alla natura di Dio. […] Dio non diventa più divino per il fatto
che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma
il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come ‘logos’ e come
‘logos’ ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l’amore
‘sorpassa’ la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del
semplice pensiero (cfr Efesini 3,19), tuttavia esso rimane l'amore del
Dio-’logos’, per cui il culto cristiano è ‘spirituale’ – un culto che
concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Romani 12,1).”
Insomma: Dio è amore – Deus caritas est! – proprio in quanto è Logos, ed è
Logos proprio in quanto è amore.
Tale è il Dio della Chiesa cattolica. Non mi pare dunque si possa concordare
con Nayed, quando asserisce che “il contrasto tra cristianesimo e islam su
questa base non solo è ingiusto, ma anche equivoco”.
Se è vera l’immagine del Dio dell’islam avvalorata da Nayed – e non intendo
entrare nel merito di tale questione né avventurarmi in perigliosi esercizi
di esegesi coranica –, se cioè “Dio sceglie liberamente, nella sua
compassione verso le sue creature, di agire ragionevolmente in coerenza con
se stesso”, e se “la ragione non deve essere al di sopra di Dio, né essere
esternamente normativa per lui. Può essere normativa solo per grazia di Dio,
a motivo del libero impegnarsi di Dio stesso ad agire in coerenza con sé”,
allora va rilevato con nettezza che questa immagine di Dio cozza con quella
professata come genuina dalla Chiesa cattolica, come il papa teologo ha
nitidamente spiegato a Ratisbona.
3. Our God and Your God is One
by Aref Ali Nayed
In response to my commentary on the Lecture of Benedict XVI, Alessandro
Martinetti wrote a series of comments under the title: “Will or Logos? The
God of Islam and the God of Christianity [Arbitrio o Logos? Il Dio
dell’islam e quello cristiano]”. The following notes and extensive
quotations constitute a response to some of the important points made by
Martinetti.
In developing my notes, and in the hope of achieving mutual understanding, I
shall invoke only such sources and arguments that would be deemed
authoritative or normative by the Catholic Martinetti. I will strive to show
that Martinetti’s own Catholic tradition supports, rather than opposes, a
position similar to that of Ibn Hazm and other Muslim theologians as briefly
outlined in my commentary.
Starting from the Qur’anic injunction to discuss matters with the people of
the Book in the best possible way, and with the Prophetic injunction to
speak to people in modes suitable for their ways of reasoning, I shall not
appeal, in these notes, to the Qur’an, the Sunnah, or the Islamic tradition,
but to Martinetti’s own Christian and philosophic tradition. In my notes I
shall strive towards the Qur’anically sought after “common discourse” (kalimatun
sawa): common recognition of the One True God.
My guide in these notes is the following Qur’anic aya (29:46):
“Do not argue with the People of the Book but in the best of ways, except
with those who have been unjust, and say: ‘we believe in what has been
revealed to us, and what has been revealed to you, our God and your God is
One, and we are devoted to Him’.”
Of course, my own Asha’rite position is rooted in God’s revelation in the
Qur’an and the Sunnah as understood and expounded by the Sunni scholars of
the Asha’rite school.
Martinetti’s main strategy is that of undermining my claim that it is unfair
and questionable to contrast a purported rational God of Christianity with a
purported irrational and whimsical God of Islam.
Martinetti, as is suggested by the title of his comments, counter-claims
that the “God of Christianity” contrasts with the “God of Islam”. The God of
Christianity is supposedly a “God of logos”, and the God of Islam is
supposedly a “God of will”. The aim of my notes is to collapse this false
distinction, using Martinetti’s own traditional sources, and to show that
his contrast between two different Gods, a rational and a whimsical one,
reaffirms yet another polarity in the dubious ‘contrast tables’ discredited
in my commentary.
Martinetti basically uses passages in which I tried to briefly make sense of
Ibn Hazm’s position, in order to prove that I am putting forth an irrational
whimsical God, which he then contrasts with his rational God.
Martinetti is also keen to undermine my claim that the Catholic tradition
itself, and especially Thomas Aquinas, does not support the elevation of
Reason above God.
He counter-claims that God can not but respect and act according to the
rules of Reason, including the “principle of non-contradiction”. Martinetti
believes that Aquinas, the Catholic tradition (he especially cites “Fides et
Ratio”), and Benedict XVI, all share that counter-claim.
My strategy in these notes consists in two moves:
– strive to show Martinetti that Catholic normative doctrines and documents
clearly state that the God of the Muslims and that of the Christians is the
very same God, and that his false contrast between “our God” and “your God”
is not only unfair, but constitutes a rejection of authoritative (for him)
Catholic teachings in this regard;
– strive to show Martinetti that Thomas Aquinas, based on Biblical grounds,
does not elevate Reason above God, and that he, to the contrary, holds views
that are very close to Ibn Hazm and Asha’rite Muslim theologians. “Fides et
Ratio” can also be shown to be in a continuous line with a more accurate
reading of Aquinas and close to Asha’rite teachings on Faith and Reason.
It is hoped that my notes will make clear to Martinetti that there is no
need to appeal to a normative transcendental Reason, above God, for Muslims
to be rational, or for our God to be considered rational. It is hoped that
Martinetti will ultimately see that our God is One!
Move I: Catholic normative teachings regarding the worship of the One God in
Islam and Christianity
Martinetti, by taking “Fides et Ratio” as authoritative, signals that he is
a devout Catholic who should equally uphold, as Pope John Paul II always did,
and as Pope Benedict XVI still does, the teachings of the Second Vatican
Council (underlining added for emphasis):
“Nostra Aetate”:
“The Church regards with esteem also the Moslems. They adore the one God,
living and subsisting in Himself; merciful and all-powerful, the Creator of
heaven and earth, who has spoken to men; they take pains to submit
wholeheartedly to even His inscrutable decrees, just as Abraham, with whom
the faith of Islam takes pleasure in linking itself, submitted to God.
Though they do not acknowledge Jesus as God, they revere Him as a prophet.
They also honor Mary, His virgin Mother; at times they even call on her with
devotion. In addition, they await the day of judgment when God will render
their deserts to all those who have been raised up from the dead. Finally,
they value the moral life and worship God especially through prayer,
almsgiving and fasting”. (1)
The reaffirmations and clarifications of “Nostra Aetate” by Pope John Paul
II:
“Christians and Muslims, we have many things in common, as believers and as
human beings. We live in the same world, marked by many signs of hope, but
also by multiple signs of anguish. For us, Abraham is a very model of faith
in God, of submission to his will and of confidence in his goodness. We
believe in the same God, the one God, the living God, the God who
created the world and brings his creatures to their perfection”. (2)
“As I have often said in other meetings with Muslims, your God and ours
is one and the same, and we are brothers and sisters in the faith of
Abraham. Thus it is natural that we have much to discuss concerning true
holiness in obedience and worship to God.” (3)
“On other occasions I have spoken of the religious patrimony of Islam and of
its spiritual values. The Catholic Church realizes that the element of
worship given to the one, living, subsistent, merciful and almighty Creator
of heaven and earth is common to Islam and herself, and that it is a great
link uniting all Christians and Muslims. With great satisfaction she
also notes, among other elements of Islam which are held in common, the
honour attributed to Jesus Christ and his Virgin Mother”. (4)
The recent reaffirmations of “Nostra Aetate” by Pope Benedict XVI:
“The position of the Pope concerning Islam is unequivocally that
expressed by the conciliar document ‘Nostra Aetate’”. (5)
Martinetti’s contrast between the God of Christianity and the God of Islam
is in direct violation of the teachings of the last and most authoritative
Vatican Council. Given his obvious devotion to Catholic doctrine, Martinetti
must reconsider his position.
The Qur’an teaches Muslims to invite the People of the Book (Jews and
Christians) to come to a common discourse and to affirm the worship of the
One True God. Vatican II teaches Catholics to come to such a common
discourse. It is sad to see a Catholic wanting to lapse to pre-Vatican II
positions that were not conducive to mutual respect or co-living.
Move II: Thomas Aquinas is not on the side of Martinetti!
Martinetti, without any documentation, claims that Aquinas would never
concur with a position similar to the one I attributed to Ibn Hazm. While, I
am no Thomist, I dare bring the attention of Martinetti to the following
facts.
1. Aquinas affirms, just as most Muslim theologians do, that it is
Revelation that is the ultimate and real teacher about God and His ways.
Reason must strive to understand, but it is Revelation that saves:
“It was necessary for man's salvation that there should be a knowledge
revealed by God besides philosophical science built up by human reason.
Firstly, indeed, because man is directed to God, as to an end that
surpasses the grasp of his reason: ‘The eye hath not seen, O God,
besides Thee, what things Thou hast prepared for them that wait for Thee’ (Isaiah
66:4). But the end must first be known by men who are to direct their
thoughts and actions to the end. Hence it was necessary for the salvation
of man that certain truths which exceed human reason should be made known to
him by divine revelation. Even as regards those truths about God which
human reason could have discovered, it was necessary that man should be
taught by a divine revelation; because the truth about God such as reason
could discover, would only be known by a few, and that after a long time,
and with the admixture of many errors. Whereas man's whole salvation, which
is in God, depends upon the knowledge of this truth. Therefore, in order
that the salvation of men might be brought about more fitly and more surely,
it was necessary that they should be taught divine truths by divine
revelation. It was therefore necessary that besides philosophical science
built up by reason, there should be a sacred science learned through
revelation”. (6)
2. Aquinas affirms, just as most Muslim theologians do, that God is
omnipotent and that His Power and Will are utterly efficacious:
“God is bound to nobody but Himself. Hence, when it is said that God can
only do what He ought, nothing else is meant by this than that God can do
nothing but what is befitting to Himself, and just”.
“Although this order of things be restricted to what now exists, the divine
power and wisdom are not thus restricted. Whence, although no other order
would be suitable and good to the things which now are, yet God can do
other things and impose upon them another order”.
3. Aquinas points out the common mistake of subjecting divine acts to
natural necessity:
“In this matter certain persons erred in two ways. Some laid it down that
God acts from natural necessity in such way that as from the action of
nature nothing else can happen beyond what actually takes place – as, for
instance, from the seed of man, a man must come, and from that of an olive,
an olive; so from the divine operation there could not result other things,
nor another order of things, than that which now is. But we showed above
that God does not act from natural necessity, but that His will is the
cause of all things; nor is that will naturally and from any necessity
determined to those things. Whence in no way at all is the present course of
events produced by God from any necessity, so that other things could
not happen. Others, however, said that the divine power is restricted to
this present course of events through the order of the divine wisdom and
justice without which God does nothing. But since the power of God, which
is His essence, is nothing else but His wisdom, it can indeed be
fittingly said that there is nothing in the divine power which is not in the
order of the divine wisdom; for the divine wisdom includes the whole potency
of the divine power. Yet the order placed in creation by divine wisdom, in
which order the notion of His justice consists, as said above, is not so
adequate to the divine wisdom that the divine wisdom should be restricted to
this present order of things. Now it is clear that the whole idea of
order which a wise man puts into things made by him is taken from their end.
So, when the end is proportionate to the things made for that end, the
wisdom of the maker is restricted to some definite order. But the divine
goodness is an end exceeding beyond all proportion things created. Whence
the divine wisdom is not so restricted to any particular order that no other
course of events could happen. Wherefore we must simply say that God can do
other things than those He has done”.
4. Aquinas explains why this mistake is often made:
“In ourselves, in whom power and essence are distinct from will and
intellect, and again intellect from wisdom, and will from justice, there can
be something in the power which is not in the just will nor in the wise
intellect. But in God, power and essence, will and intellect, wisdom and
justice, are one and the same. Whence, there can be nothing in the divine
power which cannot also be in His just will or in His wise intellect”.
5. Aquinas does teach that objects that are impossible by their very
definition can not be done, but that we should still not say that God can
not do them:
“Whence, whatsoever has or can have the nature of being is numbered among
the absolutely possible things, in respect of which God is called
omnipotent. Now nothing is opposed to the idea of being except non-being.
Therefore, that which implies being and non-being at the same time is
repugnant to the idea of an absolutely possible thing, within the scope of
the divine omnipotence. For such cannot come under the divine omnipotence,
not because of any defect in the power of God, but because it has not the
nature of a feasible or possible thing. Therefore, everything that does
not imply a contradiction in terms, is numbered amongst those possible
things, in respect of which God is called omnipotent: whereas whatever
implies contradiction does not come within the scope of divine omnipotence,
because it cannot have the aspect of possibility. Hence it is better to
say that such things cannot be done, than that God cannot do them. Nor
is this contrary to the word of the angel, saying: ‘No word shall be
impossible with God’. For whatever implies a contradiction cannot be a
word, because no intellect can possibly conceive such a thing”. (7)
It is noteworthy that Muslim Asha’rite theologians, including Asha’ri
himself, upheld a very similar doctrine to that outlined by Aquinas in this
regard. The way to avoid what is often called the “paradox of omnipotence”
is to hold that things like “unmovable stones”, “squared circles” and
“Euclidean triangles with angles adding up to more that 180 degrees” simply
can not be. Thus, the question of whether or not an omnipotent God can make
them should not even arise. God does not make such things not because of an
externally imposed normative “law of non-contradiction” to which he must
abide, but simply because such things, by definition, can not be. They do
not have what it takes to be not because of a logical contradiction, but
because of an ontological failure to be.
Many classical Muslim theologians who argued against the sensibility of the
Christian doctrine of trinity used logic very similar to that of Aquinas,
but added that the notion of the trinity itself “implies being and non-being
at the same time [and] is repugnant to the idea of an absolutely possible
thing, within the scope of the divine omnipotence”. “For whatever implies
a contradiction cannot be a word, because no intellect can possibly conceive
such a thing”. For many classical Muslim theologians, the idea of a
“Man-God” was taken to be of the same category as the idea of a “squared
circle”. Such ideas, as the phenomenologist Meinong rightly points out, can
“subsist” and be referred to, talked about, and even believed in, but can
not possibly “exist”.
Of course, despite the authority of Aquinas on things reasonable and
logical, Aquinas himself, and the Catholic Church, throughout its history
had to preserve a space for ultra-logics that do not fit neatly into the
categories of human logics. That is the only way to preserve the
authoritative (for them) teachings of Paul and other Christian sages on a
“Wisdom of God” that transcends the “Wisdom of the World”. The appeal to
such “extra-rationality” is very clear in the authoritative teachings of the
Catholic Church. “Fides et Ratio” itself has many passages defending
precisely such a position not on the basis of “Reason” but on the basis of
“Revelation”.
6. “Fides et Ratio”, just as most Muslim theologians do, reaffirms the
normativity of Revelation over Reason:
“Restating almost to the letter the teaching of the First Vatican Council's
constitution ‘Dei Filius’, and taking into account the principles set out by
the Council of Trent, the Second Vatican Council's constitution ‘Dei Verbum’
pursued the age-old journey of understanding faith, reflecting on Revelation
in the light of the teaching of Scripture and of the entire Patristic
tradition. At the First Vatican Council, the Fathers had stressed the
supernatural character of God's Revelation. On the basis of mistaken and
very widespread assertions, the rationalist critique of the time attacked
faith and denied the possibility of any knowledge which was not the fruit of
reason's natural capacities. This obliged the Council to reaffirm
emphatically that there exists a knowledge which is peculiar to faith,
surpassing the knowledge proper to human reason, which nevertheless by
its nature can discover the Creator. This knowledge expresses a truth based
upon the very fact of God who reveals himself, a truth which is most
certain, since God neither deceives nor wishes to deceive”. (8)
7. “Fides et Ratio” reaffirms that divine Will can overcome human “habitual
patterns of thought”, and that it is not bound by human logic and systems:
“This is why the Christian's relationship to philosophy requires
thorough-going discernment. In the New Testament, especially in the Letters
of Saint Paul, one thing emerges with great clarity: the opposition
between ‘the wisdom of this world’ and the wisdom of God revealed in Jesus
Christ. The depth of revealed wisdom disrupts the cycle of our
habitual patterns of thought, which are in no way able to express that
wisdom in its fullness.
“The beginning of the First Letter to the Corinthians poses the dilemma in a
radical way. The crucified Son of God is the historic event upon which
every attempt of the mind to construct an adequate explanation of the
meaning of existence upon merely human argumentation comes to grief. The
true key-point, which challenges every philosophy, is Jesus Christ's death
on the Cross. It is here that every attempt to reduce the Father's saving
plan to purely human logic is doomed to failure. ‘Where is the one who
is wise? Where is the learned? Where is the debater of this age? Has not God
made foolish the wisdom of the world?’ (1 Corinthians 1:20), the Apostle
asks emphatically. The wisdom of the wise is no longer enough for what God
wants to accomplish; what is required is a decisive step towards welcoming
something radically new: ‘God chose what is foolish in the world to shame
the wise...; God chose what is low and despised in the world, things that
are not to reduce to nothing things that are’ (1 Corinthians 1:27-28). Human
wisdom refuses to see in its own weakness the possibility of its strength;
yet Saint Paul is quick to affirm: ‘When I am weak, then I am strong’ (2
Corinthians 12:10). Man cannot grasp how death could be the source of life
and love; yet to reveal the mystery of his saving plan God has chosen
precisely that which reason considers ‘foolishness’ and a ‘scandal’.
“The wisdom of the Cross, therefore, breaks free of all cultural
limitations which seek to contain it and insists upon an openness to the
universality of the truth which it bears. What a challenge this is to
our reason, and how great the gain for reason if it yields to this wisdom!
Of itself, philosophy is able to recognize the human being's ceaselessly
self-transcendent orientation towards the truth; and, with the assistance of
faith, it is capable of accepting the ‘foolishness’ of the Cross as the
authentic critique of those who delude themselves that they possess the
truth, when in fact they run it aground on the shoals of a system of their
own devising”. (9)
Of course, based on what we take to be God’s own and final Qur’anic
revelation of the truth regarding Jesus (peace be upon him), we Muslims
accept God’s judgment that it is not “befitting” to God to have a son or
become human. Thus most Muslim theologians deny the doctrines of the
incarnation and crucifixion not only on the basis of the philosophical logic
concerning impossible objects (as briefly outlined above), but on the basis
of divine revelation (or revealed divine logic) that Muslims solemnly hold
authentic and true.
Despite the fact that a Muslim, based on the ultimate revelatory authority
he or she accepts, must reject the contents of the particular example
claimed by “Fides et Ratio” to be a willful rupture of the rules of human
reason, the example itself does establish that Catholicism, like Islam, does
elevate the freedom and will of God over any limits on them by any external
human or transcendental “Reason”. Does that make Catholic teaching
irrational, or the Catholic God an irrational God?
One person’s extra-rationality is often another person’s irrationality! It
all depends on one’s ultimate criterion. For us Muslims that ultimate
criterion (al-furqan) on the doctrine of God, is the Qur’an and the Sunnah.
It is pointless, however, for Christians and Muslims to exchange accusations
of irrationality based on their contrasting communal experiences of what
they take to be extra-rational ruptures of the divine into history. Such a
mutually-destructive polemical exchange will only satisfy atheistic
secularists who think that religiosity as such is fundamentally irrational.
Muslim and Christians must cooperate in staking a place for the
extra-rational in a world increasingly dominated by a godless secularist
outlook. As pointed out in the beginning of my commentary, Benedict XVI’s
just call for an expansion of the notion of Reason so as to accommodate
revelatory insights is something that both Christians and Muslims can
positively respond to.
Furthermore, having different authoritative revelatory criteria for the
doctrine of God does not necessarily mean that we have different Gods. Here
it is useful to invoke the important distinction, made by the logician
Frege, between “sense” and “reference”. In talking of God, He is our common
“reference”, and we are all referring to the very same God. However, in
talking of God, we, of course, have different “senses” or ways of
understanding and referring to Him (senses and ways that are deeply rooted
in our different revelatory traditions and communal experiences).
Perhaps this distinction can help Martinetti see that its is possible for a
Muslim and a Christian to worship and talk about the same God, while at the
same time solemnly upholding different, and even opposing, senses of Him.
In some areas, as in the upholding of the sovereign Will of God, it is
possible for Muslim and Christian theological senses to come very close to
each other, in addition to sharing the same reference. In other areas, as in
Trinitarian versus Unitarian doctrines, Christian and Muslim theological
senses are in clear opposition. Despite such opposition, we must not fall
into the temptation of scoffing at, or dismissing, each other. We must,
together, keep our hearts and minds focused on Him who is our common
reference, and continue to engage each other in a pray-full, reasoned, and
peaceful dialectical discussion.
Part of the task of inter-religious dialogue is to invoke the unity of
reference in order to make room for the exploration of the diversity of
senses. Such exploration can enhance our understandings of the different,
and even oppositional senses, we have of the divine. Our own different
senses of the divine become clearer as we engage each other in sincere and
devout discussion regarding the One God. This is why I am so grateful for
Martinetti’s comments. I sincerely hope our discussion will continue.
8. The biblical basis for the affirmation of the sovereignty of the will of
God
The above teachings of the Catholic Church regarding the will of God are not
at all surprising. The Bible, in both the Old Testament and the New
Testament, is full of repeated affirmations of the total sovereignty of the
will of God. The following passage of Paul (Romans 9:14-26) suffices as an
illustration:
“What shall we say then? Is there unrighteousness with God? May it never be!
For he said to Moses: ‘I will have mercy on whom I have mercy, and I will
have compassion on whom I have compassion’. So then it is not of him who
wills, nor of him who runs, but of God who has mercy. For the Scripture says
to Pharaoh, ‘For this very purpose I caused you to be raised up, that I
might show in you my power, and that my name might be proclaimed in all the
earth’. So then, he has mercy on whom he desires, and he hardens whom he
desires. You will say then to me, ‘Why does he still find fault? For who
withstands his will?’ But indeed, O man, who are you to reply against God?
Will the thing formed ask him who formed it: ‘Why did you make me like
this?’ Or hasn't the potter a right over the clay, from the same lump to
make one part a vessel for honor, and another for dishonor? What if God,
willing to show his wrath, and to make his power known, endured with much
patience vessels of wrath made for destruction, and that he might make known
the riches of his glory on vessels of mercy, which he prepared beforehand
for glory, us, whom he also called, not from the Jews only, but also from
the Gentiles? As he says also in Hosea: ‘I will call them my people, which
were not my people; and her beloved, who was not beloved. It will be that in
the place where it was said to them, 'You are not my people,' there they
will be called children of the living God’.”
It is a simple fact that the God of the Bible, just as the God of the
Qur’an, cannot be made to fit within the bounds and designs of the human
logics of the philosophers (not even within the great logic of Aristotle so
revered in both of our traditions by Aquinas and al-Ghazali). It is
important to remember the famous words of Pascal in his “Pensées”:
“The God of Christians is not a God who is simply the author of mathematical
truths, or of the order of the elements; that is the view of heathens and
Epicureans... But the God of Abraham, the God of Isaac, the God of Jacob,
the God of Christians, is a God of love and of comfort, a God who fills the
soul and heart of those whom He possesses, a God who makes them conscious of
their inward wretchedness, and His infinite mercy, who unites Himself to
their inmost soul, who fills it with humility and joy, with confidence and
love, who renders them incapable of any other end than Himself”. (10)
In one’s apologetic efforts to make room for theology and religion amidst
their contemporary secular “cultured despisers”, one must remember the
important stark difference so rightly pointed out by Pascal: “The God of
Abraham, the God of Isaac, the God of Jacob. Not of the philosophers and
intellectuals. Certitude, certitude, feeling, joy, peace!”
If being rational and having a rational God means adopting the God of the
philosophers, be it called “Reason” or “Logos”, most Muslim theologians
would simply opt to pass! That is why Asha’rite theologians, while always
upholding the importance of devout reasoning that is guided by revelation,
never accepted the Hellenistic philosophical worship of “Logos” or the
“Active Intellect”.
Islam’s devout insistence on the sovereignty of the living God of Abraham,
Isaac, Jacob, Ishmael, Moses, Jesus and Muhammad (peace be upon them all)
must not be cheaply turned against it, with unfair accusations of whimsical
irrationality! If properly appreciated such devout Muslim insistence can be
a real aid to Christian affirmations of the divine in the face of the
atheistically secular.
Let us help each other by overcoming our false “contrast tables”, and by
praying for peace and guidance from the One beloved God of all.
God truly knows best!
Notes:
(1) Declaration of the Second Vatican Council on the Relation of the Church
to non-Christian Religions: “Nostra Aetate”. Proclaimed by Paul VI, October
28, 1965.
(2) “Address of John Paul II to Young Muslims”, Morocco, August 19, 1985.
(3) “Address of John Paul II to the Participants in the Colloquium on
‘Holiness in Christianity and Islam’”, May 9, 1985.
(4) “Meeting of John Paul II with the Muslim Leaders”, Nairobi, Kenya, May
7, 1980.
(5) “Statement by Card. Tarcisio Bertone Secretary of State”, September 16,
2006.
(6) Thomas Aquinas, “The Summa Theologica”, Translated by Fathers of the
English Dominican Province, Benziger Bros. edition, 1947, First Part,
Questions 1-119.
(7) This and other passages are all from the Chapter on the “Power of God”
in Thomas Aquinas, “The Summa Theologica”.
(8) John Paul II, Encyclical Letter “Fides et Ratio”, n. 8.
(9) John Paul II, Encyclical Letter “Fides et Ratio”, n. 23.
(10) B. Pascal, “Pensées”, E.P. Dutton & Co., New York, 1958.
© 2006 Aref Ali Nayed
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