|
«La buona volontà azzittisca i faziosi»
[Commento
di InternEtica] C'è un'aria brutta nei rapporti tra
credenti e non credenti, istituzioni cattoliche e laiche in Italia.
Dall'adozione della pillola abortiva Ru486 alla questione degli
insegnanti di religione, gli ultimi guelfi imbracciano gli archibugi
polemici e gli ultimi ghibellini si trincerano dietro le loro picche.
È un revival grottesco di toni e modi
superati: il Becco Giallo, Podrecca e Galantara, da una parte,
l'anticlericalismo stentoreo che il Concilio Vaticano II dovrebbe aver
seppellito in ogni coscienza candida. Dall'altra un ripetersi di anatemi
cari ai microfoni della Guerra Fredda altrettanto anacronistico.
È bene che quest'aria si dissolva al più presto, con l'afa di agosto. Ed
è bene che uomini e donne di buona volontà in entrambi i mondi prendano
risolutamente in mano il dibattito, isolando e smorzando le invettive
rauche. Che la Chiesa cattolica, come tutte le altre confessioni
religiose grandi e piccole, abbia diritto di predicazione è non solo
sancito dalla storia e dal buon senso, ma assicurato dalla Costituzione
tra i principi più sacri. E che la Repubblica italiana sia e debba
restare laica è altrettanto scandito da storia, buon senso e
Costituzione.
Purtroppo nei giorni roboanti e davanti alle tv per un titolo in più si torna alla guerra. Se la Chiesa parla di diritti dei lavoratori e di immigrati, applausi da una parte e fischi dall'altra. Se condanna la pillola e chiede spazio per la religione a scuola fronti invertiti e chiasso uguale. La politicizzazione del dibattito va evitata, come ha fatto il presidente Fini sulla Ru486. La Conferenza episcopale guidata dal pastorale monsignor Bagnasco si sforza di cancellare ogni traccia di ingerenza, predica il proprio precetto e segue la strada di fede. I media cattolici migliori, su tutti l'Osservatore Romano di Gian Maria Vian, guidano la discussione con equilibrio. Da parte laica il Quirinale è stato preciso nel dare voce laica alla Repubblica, riconoscendo l'antica tradizione religiosa di tanti cittadini. Si può trovare una soluzione che non laceri sulla Ru486
e sull'ora di religione solo a patto di non accusare niente meno che
l'illuminismo, come se fosse colpa dell'Enciclopedia di Diderot e D'Alembert
o della tolleranza cara a Voltaire. E parlare di teocrazia in Italia fa
altrettanto ridere. Fede e stato sono due mondi troppo seri per
lasciarli ai propagandisti di Ferragosto.
Forse ora la minoranza sono davvero i cattolici;
ma non sono i "numeri" che fanno la differenza, è la qualità e
l'ineludibilità del proprio 'esserci', perché è Qualcuno che l'ha
costituito, il cui Nome, che è quello del Signore Gesù Cristo (non
il Cristo perché rischia di divenire impersonale), è stato
sostituito anche nella Chiesa da troppi -ismi. Se viene
escluso Lui, è la nostra stessa umanità a degenerare. Diceva nel
1990 - ma con che attualità! - l'allora card Ratzinger: "Non è di
una chiesa più umana di cui abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più
divina; solo allora essa sarà anche veramente umana". Ok, questo
vale per noi Credenti, ma almeno chi si professa tale, cerchi di
ricordarselo e di viverlo!
L’affermazione innanzitutto. Secondo i giudici amministrativi l’insegnamento della religione cattolica comporterebbe 'una scelta di carattere religioso': di qui una serie di conseguenze negative per la laicità dello Stato, per la libertà religiosa e per l’eguaglianza dei cittadini senza distinzione di religione. È un’affermazione che sorprende, perché ignora un’abbondante bibliografia in merito, nella quale è chiaramente dimostrato che si tratta di un insegnamento culturale e non confessionale. Ma soprattutto l’affermazione sorprende perché i giudici sembrano ignorare la normativa vigente in materia: basterebbe scorrere le disposizioni di programmi e di libri di testo per rendersene conto. Soprattutto è ignorato lo stesso art. 9 del Concordato che, prevedendo l’ora di religione cattolica nelle scuole pubbliche, ne motiva la ragione in termini esclusivamente culturali. Dunque non si tratta di un insegnamento catechetico, diretto cioè a sostenere un cammino di fede, ma di un insegnamento culturale di ciò che oggettivamente è il cristianesimo, così come trasmesso da quella tradizione cattolica che tanta parte ha avuto nel forgiare l’identità degli italiani e che ancora marca tanto, della sua presenza, la nostra società. Non a caso si tratta di insegnamento che, pur opzionale, è aperto a tutti, anche ai non cattolici, anche non credenti; è aperto in particolare a coloro che hanno interesse a conoscere ciò che la Chiesa cattolica crede e professa, a prescindere da personali scelte di fede. Ma quand’anche fosse un insegnamento confessionale – cosa che, va ribadito, non è – sarebbe per ciò stesso lesivo della libertà religiosa e della laicità dello Stato? Dove sarebbe lesa la libertà religiosa in presenza di un insegnamento che chiunque può rifiutare? Dove verrebbe lesa la laicità dello Stato se questo è a servizio della società civile, in cui è la religione, e non viceversa? Sarebbe davvero laico uno Stato che disattendesse le richieste della società di avere nella scuola di tutti un insegnamento, opzionale, della religione? E che vi sia una consistente richiesta dell’insegnamento è nel fatto che novantuno studenti su cento scelgono ogni anno di frequentare l’ora di religione. E veniamo all’omissione. Posto che nella vigente normativa quello di religione cattolica è insegnamento curricolare – perché tenuto nell’orario scolastico, perché i programmi ed i libri di testo sono normativamente definiti, perché viene impartito da docenti di ruolo che hanno superato un pubblico concorso – ne consegue che per gli studenti che abbiano liberamente scelto di inserire tale insegnamento nel proprio piano di studi vi sia non solo il dovere, ma anche il diritto di essere valutati; che essi abbiano il diritto di veder riconosciuti i crediti scolastici maturati. La sentenza chiaramente frustra tale diritto. Tra le righe della decisione, ma non troppo, si
avverte la preoccupazione della conformità costituzionale della
normativa vigente in materia. Ma se ad altri spetta il giudizio di
costituzionalità, rimane pur sempre che la Corte costituzionale si è
pronunciata in merito per ben tre volte, confermando sempre la
legittimità dell’ora di religione. | indietro | | inizio pagina | |
|