, dopo la Santa Messa nella forma straordinaria,
celebrata da mons. Athanasius Schneider, padre Nuara ha introdotto i lavori,
iniziati col canto del
, in una sala strapiena, con gente in
piedi, mentre molti sono stati costretti a seguire da aule laterali.
Egli ha
sottolineato come dalla promulgazione del
la vita di molti
dei presenti è cambiata, ma non ha passato sotto silenzio la situazione
difficile in ordine all’applicazione del testo pontificio, richiamando tuttavia
il valore ascetico della sofferenza per una giusta causa: proprio dalle pene
patite nel silenzio e nell’abbandono dai sacerdoti e dai fedeli legati
al Rito di Sempre è segnato il momento presente in attesa degli
sviluppi futuri.
Padre Nuara ha posto l'interrogativo se uomini di Chiesa possono
rifiutare la Messa in rito antico, affermando che se ciò avviene è un
grande problema per la Chiesa. Ma spesso, dove Vescovi e parroci la
rifiutano, si ottiene il risultato di spingere i giovani (laici e sacerdoti)
ad amarla e a praticarla. Ci sono comunque grandi segni di speranza, in
particolare il sorgere di nuove vocazioni per la Messa nel Rito Romano.
La prima conferenza è stata quella del vescovo Schneider sul tema della
“Sacralità e bellezza della Liturgia nei Santi Padri”.
Inizia con la
constatazione dell'avvenuto scardinamento di un sistema e degli eventi complessi
che richiede una ricezione corretta del Concilio, nella consapevolezza che la
Riforma parte dalla Liturgia correttamente intesa e vissuta e dalla
purificazione dello spirito e non dalla creatività frenetica e fanatica: questo
è il cuore del problema. Le prove, come quella che stiamo vivendo, sono
strumenti di grazia di cui Dio si serve per unirci al Sacrificio del Suo Figlio,
purifica la Sposa, le nostre anime. È il tempo dell'offerta... per rimeritare
ciò che è stato abbandonato o rifiutato con leggerezza e superficialità. Semi di
vita: la Croce, l'amore oblativo, la comunione ecclesiale.
Mons. Athanasius Schneider ha sottolineato che in ogni
caso si torna alle origini, non indietro: questa è vera Tradizione, che è la
forza di un organismo vivente; ma “fare riferimento alle fonti patristiche non
deve essere archeologismo liturgico” e si è soffermato in particolare sugli
scritti di Clemente I (I. sec.), sulla
Passio Perpetuae et Felicitatis
(II-III sec., Africa Settentrionale) e sull’Anafora di S. Giacomo (III-IV
sec., antica tradizione liturgica di Gerusalemme, madre di tutte le comunità
cristiane): queste tre fonti rappresentano quella omogeneità liturgica che
si esprime fin dai tempi apostolici e sub-apostolici. Negli scritti di
Clemente I si trova già il termine
ordo da cui deriva l’espressione
ordo missae. Nell’Anafora di S. Giacomo si afferma che al momento del
Sanctus tutta l’assemblea liturgica canta insieme agli angeli; la
bocca dei Serafini canta incessantemente la teologia (nel senso di parlare
di Dio e cantare la Sua gloria). Anche la dossologia (culto esterno) deve
essere fortemente teocentrica: infatti è necessario anzitutto “essere
orientati a Dio e alla Sua gloria, adorare la maestà di Dio in una
dimensione di verticalità, trascendenza, adorazione, prostrazione (in greco
proskýnesis)”; così “la liturgia è simultaneamente umana e divina,
dove l’umano è orientato e subordinato al divino”. I Serafini, ai quali si
unisce l’assemblea liturgica, cantano, dunque, incessantemente la teologia:
ciò si ritrova anche nella Costituzione
Sacrosanctum Concilium (n.
83), che recita: “Il culto cattolico è un culto razionale (in greco
logiké latréia)”. Noi siamo cooperatori, umili lavoratori nella vigna, che
custodiscono un dono inestimabile in vasi fragili e, come lo scriba della
Scrittura prendiamo dal Tesoro
Nova et Vetera. Il culto dovuto a Dio deve
essere consapevole della santità divina e questa nozione fondante e
imprescindibile è presente fin dai testi liturgici più antichi che ci vengono
dalla Tradizione e, soprattutto nel Sanctus, ci vedono in comunione spirituale
con gli Angeli che coinvolge tutta la creazione. In pratica, l’esatto opposto di
ciò che la moda liturgica prevalente, intrisa di valori umanistici e
intramondani, antropocentrici, ci vorrebbe imporre da 40 anni a questa parte. Il
simbolismo e la gestualità sono fondamentali per una retta comprensione del
mistero celebrato, che fin dall’Apocalisse appare modellato sulla Liturgia
celeste.
La relazione seguente è stata quella del prof. Roberto de Mattei, sul
tema della “Cattolicità e Romanità della Chiesa nell’ora presente” [
qui]. Lo storico
romano ha presentato una sintesi del significato di Roma e della romanità
all’interno della visione cattolica del mondo.
La romanitas non è una nota
aggiuntiva e di secondario valore per definire la vera Chiesa di Dio, anzi essa
appare strettamente interconnessa alla cattolicità.
È
per questo che i nemici della Chiesa sono nemici anche della romanità e
della latinità. La modernità, inaugurata dall’anti-romanesimo luterano, registra
due fenomeni speculari e convergenti: da un lato si vuole “purificare” il
cristianesimo dalla romanità, come vorranno tutte le sette protestanti, il
giansenismo, e poi il modernismo e il neo-modernismo; dall’altro si esalta Roma,
per farne una sorta di idolo in funzione anti-cattolica: si pensi qui a Federico
II, a Machiavelli, al ghibellinismo, ai giacobini e al nazionalismo laico
otto-novecentesco.
Il Prof. Roberto De Mattei ha spiegato in modo mirabile come
“nella romanità si riassume in modo visibile il Corpo Mistico di Cristo”:
per questo motivo è necessario continuare ad usare la denominazione “Santa
Chiesa Cattolica Romana”, citando S. Prospero di Aquitania e S. Leone Magno,
per i quali è stata la Provvidenza a scegliere Roma quale sede della
Cattedra di S. Pietro: da Roma il Cristianesimo poteva così irradiarsi in
modo più facile e ampio seguendo le antiche strade dell’Impero. S. Tommaso
d’Aquino condivide tutto ciò e aggiunge che Gesù non è nato a Roma ma a
Betlemme perché doveva esprimere la Sua potenza nascendo in un luogo umile.
Anche S. Caterina da Siena, richiamando Gregorio XI a Roma da Avignone,
ribadì che “la Sede di Roma è il Principio e il Fondamento della nostra
Fede”. Nella
Pastor Aeternus si riafferma ciò che fu stabilito nel
1439 al Concilio di Firenze e cioè che il “Romano Pontefice è superiore a
tutto il creato” e quindi agli stessi Concilii. Da qualche tempo purtroppo
sono in atto due processi concentrici: la “de-romanizzazione” della Chiesa e
la “de-cristianizzazione” di Roma, i quali confluirono nel Risorgimento
italiano per poi riemergere nel Post-concilio: in verità, conclude il Prof.
De Mattei, soltanto lo “spirito romano” è in grado di trasmettere il
sensus Ecclesiae.
Sono seguite due brevi ma dense comunicazioni del Vice Presidente della
Pontificia Commissione dei Beni Culturali della Chiesa e di Archeologia Sacra, dom Michael John Zielinski, e di mons. Valentino Miserachs Grau, Presidente del
Pontificio Istituto di Musica Sacra. Essi hanno sottolineato con accenti di
vibrante consapevolezza e passione l’importanza per l’Arte sacra e per la musica
di Chiesa del legame con la tradizione liturgica latina e gregoriana: quindi
hanno criticato molte delle recenti evoluzioni artistiche e musicali, che di
fatto occultano la sacralità del culto cristiano, che lo rende innanzitutto
culto autentico al Signore e vitale per la spiritualità dei fedeli. In
particolare:
L’abate Michael John Zielinski ha sottolineato come l’arte sacra
debba essere sempre a servizio della liturgia. Sono pertanto deprecabili
tutti gli orientamenti antropocentrici e antropomorfi che hanno influenzato
negli ultimi tempi l’arte sacra, anche a causa dello sganciamento di quest’ultima
dalla liturgia cattolica.
Mons. Miserachs Grau ha evidenziato che l’antiromanità, di cui era a
suo parere pervasa la commissione che redasse il documento post-conciliare
Musicam sacram, ha determinato la rottura con il patrimonio musicale
della Tradizione. S. Pio X scrisse nel
motu proprio Inter sollicitudines
del 22 novembre 1903, che “il canto gregoriano è vincolo formidabile di
unità cattolica”. Il 22 novembre 2003 Giovanni Paolo II emanò il chirografo
“Mosso da viva gratitudine” a ricordare l’attuale validità del documento
scritto cent’anni prima dal Suo venerato predecessore S. Pio X: purtroppo
quel chirografo di Giovanni Paolo II non sembra aver avuto quella risposta
che il Pontefice stesso auspicava.
Dopo il pranzo, è intervenuto mons. Guido Pozzo, neo Segretario della Pontificia
Commissione Ecclesia Dei, che con accenti chiari e decisi ha ribadito
l’importanza della liturgia tradizionale per la continuità dottrinale cattolica
rilevando che l’applicazione del
Motu proprio dovrà continuare ad estendersi,
pur in presenza delle difficoltà tuttora in atto.
È seguita la relazione di padre Stefano M. Manelli, fondatore dei Francescani
dell’Immacolata, una delle più giovani e promettenti famiglie della “riforma
francescana”. Il saggio e ieratico vegliardo ha sviluppato una lunga accorata
analisi del rapporto inscindibile tra la vita religiosa e la liturgia, le quali
simul stabunt vel simul cadent. La decadenza liturgica attuale, più volte
segnalata da Benedetto XVI, ha influito certamente sul calo delle vocazioni
sacerdotali e religiose e anche sul decadimento di monasteri, conventi e
istituti un tempo fiorenti. La decisione dei Francescani dell’Immacolata di
tornare alla messa e all’ufficio liturgico tradizionale sta dando frutti
preziosi, sia per la vita spirituale delle comunità maschili e femminili che in
termini di vocazioni. Padre Manelli sottolinea che, proprio grazie al
Motu
proprio i religiosi in primis debbono riprendere gli antichi usi liturgici e
ascetici, che li costituiscono come sante oasi di cui si fa sempre più
impellente il bisogno e soprattutto essi diventano sempre di più ciò che
realmente sono: il cuore pulsante della Chiesa e della sua presenza nel mondo ma
non del mondo, per il bene di tutta l'umanità.
L’ultima relazione è stata tenuta da mons. Brunero Gherardini,
illustre esponente della
“Scuola romana” e recentemente autore del testo
Concilio Ecumenico Vaticano II. Un
discorso da fare, che rappresenta una importante messa a punto sul corretto
inquadramento dei documenti conciliari. Egli ha ricordato che il
Motu proprio si
proietta ben al di là della condizione storica di cui costituisce una “sanatio”,
traendo la sua giustificazione e alimentandosi nel terreno in cui affondano le
radici: Tradizione come ininterrotta inalterata fedeltà della Chiesa al proprio
atto di nascita, ai suoi principi vitali. Con cristallina chiarezza e profondità
teologica, mons. Gherardini ha mostrato l’antitesi tra la “tradizione vivente” –
di conio modernista, storicista e soggettivistico, che esclude la continuità e
sancisce una rottura sempre nuova, perché “vivente” non è la tradizione, ma il
principio che la neutralizza – e la “ermeneutica teologica evolutiva”, perché
Tradizione e fissità non stanno insieme. Infatti chiunque voglia dare un nome ai
criteri interpretativi di cui si avvale deve farlo
secundum normas teologicae
interpretationis; il che esclude tutti i criteri immanentistici antropocentrici
e storicisti post illuministi che si ispirano al sentimentalismo, al
romanticismo e forniscono di volta in volta unicamente risposte a domande
contingenti, pretendendo di conformare il dogma e la dottrina alle molteplici
variazioni del fragile pensiero umano, anziché ancorarli alla Divina
Rivelazione.
L’ermeneutica teologica definita della “continuità evolutiva”,
esclude tutti quei criteri immanentistici che si sono imposti,
dall’Illuminismo ad oggi, sia alla filosofia che alla teologia.
Gli Apostoli ci hanno lasciato quanto da Cristo avevano ricevuto
ratione ecclesiae, non i carismi personali ma le verità riguardanti la Fede e la
Chiesa.
Successio et Traditio: al successor viene trasmesso un deposito di cui
diventa
custos et traditor, ossia custode e trasmettitore di
quod semper, quod
ubique, quod ab omnibus creditum est. Tradizione da tradere: trasmettere,
consegnare, comunicare; il che implica l’atto, il contenuto, l’Autorità che
trasmette la sapienza metabolizzata dalle più lontane generazioni consegnata
alla presente da consegnare alle future. Paolo a Timoteo afferma che la grazia
ricevuta con l'imposizione delle mani lo abilita a trasmettere la verità
ricevuta a uomini 'sicuri'. Ecco già in atto la catena della successione
apostolica. Tertulliano parla di trasmissione della 'semente apostolica'. I
Padri la chiamano
Traditio Dominica o
Traditio Apostolica “lo Spirito Santo vi
ricorderà tutte le cose che vi ho insegnato io” (Gv 14, 26). L’
insufflatio dello
Spirito non ha per oggetto una o più, ma “
quaecumque dixero vobis”: tutte le
cose, acquisizioni sempre più approfondite,
nova et vetera (Gv 16,13).
Notazione particolare: caratteristica comune delle relazioni, ognuna delle quali
può essere definita "magistrale", è stata la densità e la profonda luminosa
ricchezza dei contenuti e dell'esposizione degli intervenuti, che ha lasciato
ogni volta il moderatore, notoriamente molto abile nel condensare e focalizzare
i tratti più significativi, letteralmente senza parole, proprio perché qualunque
commento avrebbe spezzato l'incanto. Soltanto il silenzio, gravido di
gratitudine e di gioia spirituale, ha permesso ai convenuti di iniziare a
custodire, dopo esserne stati copiosamente inondati, i fiumi di Grazia riversati
su di loro. Era, netta, la percezione di trovarsi nel cuore della vera Chiesa.
Il seguito: tutto da vivere, nel Signore.
I lavori sono stati chiusi da Padre Nuara, che ha ringraziato i partecipanti ed
ha espresso la sua gioia con le parole del salmista: «
Quid retribuam Domino pro
omnibus quae retribuit mihi?», rilevando con gioiosa gratitudine che il Convegno
è parso come una grazia di Dio e la sua riuscita come un vero miracolo.
Al termine della giornata, i numerosi convegnisti si sono
ritrovati nella cappella per intonare il Canto del
Te Deum, e
ricevere la benedizione Eucaristica,
impartita da Mons. Camille Perl, segretario
uscente dell'Ecclesia Dei, recentemente
confluita nella Congregazione per la
Dottrina della Fede.
Domenica 18 ottobre i convegnisti hanno avuto la gioia di partecipare alla Santa
Messa pontificale, celebrata da mons. Raymond Leo Burke, Prefetto della
Segnatura Apostolica, nella Basilica di san
Pietro.
Alla Messa conclusiva, come
del resto già durante tutto il convegno, erano presenti moltissimi sacerdoti
diocesani nonché membri di tutti gli Istituti che usano del messale antico:
dalla Fraternità san Pietro all’Istituto di Cristo Re, dai Francescani
dell’Immacolata all’Istituto del Buon Pastore, oltre alla figura ben nota di
mons. Perl e quelle di altri Prelati. Ne emerge, chiara, l’unità della “famiglia
cattolica tradizionale”, pur tra tante difficoltà. La cronaca di questo evento
non può tacere la suggestione e la solennità della "processione regale" -
composta da un centinaio tra Pastori, Sacerdoti e Ministranti - che ha percorso
longitudinalmente la Basilica tra due ali di folla trattenuta dai gendarmi,
dalla sacrestia fino alla Cappella dell'Adorazione, sia in apertura che a
conclusione della Celebrazione. Era la prima volta, dopo 40 anni, in S. Pietro.
I convegnisti si sono poi ritrovati sulla P.za S. Pietro
- accompagnati da Mons.
Burke e Mons. Scnheider, Fr. Nuara - dove, all’Angelus, il Santo Padre li ha salutati
menzionando il Convegno e suggellando così l’importante evento.
Con un Comunicato ufficializzato nel loro sito,
"Giovani e Tradizione" e "Amicizia Sacerdotale
Summorum
Pontificum" hanno espresso il loro ringraziamento a S. Em. il Card.
Angelo Comastri, Arciprete della Basilica Patriarcale di San Pietro per il
permesso dato ed al personale della Basilica per la collaborazione e il servizio
reso alla celebrazione e per l'accoglienza riservata. Una collaborazione
preziosa che ha consentito di affrontare al meglio anche l’eccezionale afflusso
di fedeli. (Maria Guarini)