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In
India la colpa dei cristiani è di battersi
contro la schiavitù
Sandro Magister, www.chiesa 30 agosto 2008
[vedi
anche: intervista mons Cervellera]
La schiavitù
è quella delle caste. Contro la quale i
cristiani predicano e praticano l'uguale
dignità di tutti. Il professor Parsi
analizza i motivi del crescendo delle
violenze induiste. E mette in guardia dalle
sue ripercussioni sull'ordine mondiale
Le 25 mila
scuole cattoliche dell'India hanno chiuso
stamane i battenti per l'intera giornata.
Per la prima domenica di settembre la Chiesa
cattolica indiana ha indetto una giornata di
preghiera e di digiuno, con cortei pacifici
in tutto il paese. Il motivo è la nuova
ondata di violenza che ha colpito i
cristiani nello stato dell'Orissa. Ogni
giorno si ha notizia di uccisioni, di
ferimenti, di stupri, di assalti a chiese,
conventi, scuole, orfanotrofi, villaggi, ad
opera di induisti fanatici. Centinaia di
persone hanno dovuto abbandonare le loro
case e fuggire nelle foreste. La scintilla
di questa ultima esplosione di violenza è
stata l'uccisione, il 23 agosto, del leader
religioso indù Swami Laxmanananda Saraswati
e di cinque suoi seguaci, uccisione compiuta
da gruppi armati maoisti ma usata dagli
induisti come pretesto per incolpare i
cristiani e vendicarsi su di essi.
L'epicentro delle ultime violenze è il distretto di Kandhamal,
nello stato dell'Orissa. Questo stato è da parecchi mesi il più insanguinato.
Qui i cattolici sono pochi, meno dell'1 per cento. Sono poche anche le
conversioni, anch'esse prese come pretesto di vendetta. Ciò che scatena le
violenze – sostiene Raphael Cheenath, arcivescovo di Chuttack-Bhubaneswar, nel
cui territorio si trova il distretto di Kandhamal – è l’opera di promozione che
nell'Orissa i cristiani compiono a favore dei tribali e dei dalit, gli ultimi
nella scala delle caste:
"Prima erano come schiavi. Adesso una parte di loro studiano nelle nostre
scuole, mettono in moto attività nei villaggi, rivendicano i propri diritti. E
chi – anche nell’India del boom economico – vuole mantenere intatta la vecchia
divisione in caste, ha paura che acquistino troppa forza. L’Orissa di oggi è un
laboratorio. In gioco c’è il futuro dei milioni di dalit e tribali che vivono in
tutto il paese".
Stando all'ultimo censimento, quello del 2001, l'80,5 per cento degli abitanti
dell'India sono di religione induista, mentre i musulmani sono il 13,4 per
cento. I cristiani sono il 2,3 per cento. E nell'Orissa sono ancora meno, così
come negli altri stati del centro e del nord del paese, i più fittamente
popolati. Le percentuali più alte di cristiani sono negli stati dell'estremo est
del paese, con punte dell'90 per cento nel Nagaland e nel Mizoram, del 70 per
cento nel Meghalaya, del 34 per cento nel Manipur. Ma si tratta di regioni
scarsamente popolate e molto arretrate. In cifre assolute, i cristiani hanno le
presenze più consistenti nel meridione del paese, a Goa, nel Tamil Nadu, nel
Kerala. In quest'ultimo stato i cristiani sono il 19 per cento e per la gran
parte sono cattolici. Qui l'istruzione, anche femminile, vanta i livelli più
alti di tutta l'india.
I fatti degli ultimi giorni confermano che la convivenza tra cristiani e
induisti in India non è più così pacifica e armonica come la tradizione – e il
mito – di questo paese farebbe pensare. Crescono l'intolleranza e il fanatismo
induisti e aumentano gli atti di violenza contro i cristiani. Nel silenzio e nel
disinteresse del mondo.
I motivi di questa evoluzione e i pericoli di questa sottovalutazione sono
acutamente analizzati da Vittorio E. Parsi, professore di politica
internazionale all'Università Cattolica di Milano, in questo editoriale
pubblicato il 27 agosto su "Avvenire", il quotidiano della conferenza episcopale
italiana:
Contraddizioni e fanatismi svuotano l'eredità di Gandhi
di Vittorio E. Parsi
La più grande democrazia del mondo. È questa la definizione che viene
normalmente associata all’India. Sarebbe oggi ingeneroso e comunque sbagliato
dimenticarla, o metterla radicalmente in discussione. E però appare doveroso
interrogarsi sulla qualità di questa democrazia e sulla direzione che essa sta
prendendo.
Nell’Unione indiana vige la separazione dei poteri, l’indipendenza della
funzione giudiziaria, un pluripartitismo non di facciata e la stampa è libera.
Allo stesso tempo, però, la corruzione diffusissima e la conduzione spesso
mafioso-clientelare della vita politica in singoli stati, unite alla sostanziale
impunità di cui godono le azioni violente delle formazioni estremiste, rischiano
di svuotare il significato concreto della democrazia indiana.
In particolar modo, desta allarme il crescere della violenza settaria, che
prende di mira in particolar modo i cristiani – responsabili di assistere i
dalit, i fuori casta, vera base schiavistica del sistema piramidale sul quale è
tradizionalmente organizzata la società indù – ma anche musulmani e buddisti.
Ciò che sta avvenendo in India con frequenza e intensità preoccupanti mostra il
lato oscuro della medaglia della conquista di un’indipendenza illuminata
dall’azione non violenta del Mahatma Gandhi, nella cui stessa parabola
esistenziale, con la sua tragica conclusione, è racchiuso simbolicamente il
carico di contraddizioni di questo straordinario paese: dalla riscoperta della
cultura tradizionale e dell’economia di villaggio, fino alla scelta di vivere
come l’ultimo degli ultimi, al tentativo di preservare l’unità e la pluralità
religiosa dell’antico Raji britannico, alla morte violenta per mano di un
estremista indù.
A distanza di oltre sessant’anni dall’indipendenza, oggi sono proprio le
posizioni che vorrebbero un’India solo ed esclusivamente indù a fare sempre più
proseliti. Movimenti come la Rashtriya Swayamsevak Sangh sono espressione di una
cultura nazistoide, che predica con la violenza la falsa equazione tra indiani e
indù, nonostante il fatto che vivano in India più musulmani che in gran parte
dei paesi islamici. Certo, l’egemonia indù all’interno del sistema politico
indiano è sempre esistita, ma essa era stata in qualche modo depotenziata dal
fatto che i primi protagonisti della vita repubblicana, da Nehru a Indira
Gandhi, tutti espressione del Partito del Congresso, si muovevano all’interno di
una visione sostanzialmente laica della politica, e finivano quindi col
congelare le conseguenze più devastanti di tale contraddizione.
È probabile che questo odierno ghignante "spirito del tempo" in cui i
fondamentalismi e l’abuso politico della religione sembrano risorgere, oltre
alla deriva radicale intrapresa dal vicino Pakistan, abbiano contribuito ad
alimentare il successo di movimenti come la Rashtriya Swayamsevak Sangh e di un
partito come il Bharatiya Janata. Ma – come giustamente ha osservato il
cardinale Jean-Louis Tauran – c’è anche nell’induismo una spinta crescente
all’intolleranza e al fanatismo, che è tanto più grave proprio perché troppo
poco conosciuta e troppo spesso negata.
Accanto alla contraddizione politica c’è poi quella economica. L’India è
"l'ufficio" del mondo, almeno quanto la Cina è la sua "fabbrica". È una società
che sforna ingegneri anglofoni a decine di migliaia l’anno, e però vive ancora
nel mito gandhiano dell’economia di villaggio, cioè di quella struttura
ossificata che sottrae ogni speranza, per questa e ogni altra vita, agli
"ultimi" e alimenta il sistema castale con la sua scia di ordinaria violenza. Di
offrire speranza agli "ultimi", per questa e ogni altra vita, sono ritenuti
responsabili i cristiani. E di questa responsabilità hanno accettato di farsi
carico, fino al martirio, come accaduto nell'Orissa.
Un ultimo spunto di riflessione. Il Brasile, la Russia, l' India e la Cina sono
considerati, con l’aggiunta del Sudafrica, i grandi paesi che dovrebbero
bilanciare lo strapotere occidentale e rendere un po’ più multilaterale il
governo del mondo. Occorre iniziare a riflettere sul fatto che, con l’eccezione
del Brasile, nessuno di questi paesi sembri avviato a ridurre i pesanti deficit
di democrazia interna, e sulle conseguenze che ciò implica per la "governance"
internazionale.
Al termine dell'udienza generale di mercoledì 27 agosto Benedetto XVI si è così
espresso a proposito dei fatti dell'India:
"Ho appreso con profonda tristezza le notizie circa le violenze contro le
comunità cristiane nello stato indiano dell’Orissa, scoppiate in seguito al
deplorevole assassinio del leader indù Swami Lakshmananda Saraswati. Sono state
finora uccise alcune persone e ne sono state ferite diverse altre. Si è avuta
inoltre la distruzione di centri di culto, proprietà della Chiesa, e di
abitazioni private.
"Mentre condanno con fermezza ogni attacco alla vita umana, la cui sacralità
esige il rispetto di tutti, esprimo spirituale vicinanza e solidarietà ai
fratelli e alle sorelle nella fede così duramente provati. Imploro il Signore
che li accompagni e sostenga in questo tempo di sofferenza e dia loro la forza
di continuare nel servizio d’amore in favore di tutti.
"Invito i leaders religiosi e le autorità civili a lavorare insieme per
ristabilire tra i membri delle varie comunità la convivenza pacifica e l’armonia
che sono sempre state segno distintivo della società indiana".
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