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Cyberdemocrazia.
La nuova partecipazione corre su Internet
Pierre Levy [*] «Dai
gruppi globali ai forum di quartiere, il web è l’agorà del XXI
secolo. Anche per lo Stato» Nuove
tendenze politiche sono già scaturite a causa dello sviluppo del
ciberspazio. Sono, questi, i primi passi sulla strada della
ciberdemocrazia. Le comunità territoriali virtuali di regioni e città
digitali stanno creando una democrazia locale connessa, caratterizzata
da un livello più alto di partecipazione rispetto al passato. La
transizione al governo elettronico e le relative riforme amministrative
prospettano a queste comunità uno scopo più grande per cui agire,
piuttosto che imporre loro un’autorità dall’alto. Le nuove agorà
on line guideranno l’emergere di nuovi modi d’informazione e di
dibattito politici, mentre il voto elettronico completerà il quadro di
una democrazia al passo con la società dell’informazione. Le nuove condizioni che accompagnano le forme di governo – globalizzazione, liberalismo e computerizzazione – hanno implicazioni importanti per il disegno di una nuova cultura politica. Il governo europeo dovrebbe poggiare, a causa della sempre maggiore interdipendenza della popolazione umana sul pianeta Terra, su un governo mondiale. Legge e giustizia non possono continuare a rimanere frammentate e divise in un momento in cui l’unità dell’economia, della tecnologia, della scienza e della biosfera sta diventando più evidente ogni giorno che passa. Suddiviso a livello globale, continentale, nazionale e regionale (o urbano), lo «Stato trasparente», adattato alla cibercultura, avrà tre funzioni chiave: giustizia (o governo della «città»), fondata sull’esercizio del potere legislativo e di quello esecutivo; governo del mercato (funzione della «banca centrale») e gestione delle finanze pubbliche (tasse, donazioni e sussidi); e governo della biosfera, in particolare la protezione della salute pubblica e dell’ambiente, e il controllo delle biotecnologie. Queste tre funzioni dovranno essere realizzate da un’amministrazione trasparente, flessibile e aperta al dialogo, che si sforzi di promuovere l’intelligenza collettiva della società a ogni scala e livello. Fin dalle sue origini, durante il Neolitico, lo Stato è stato descritto come la «testa» della società. La testa è il l uogo della memoria, perciò dell’intelligenza e del governo. Gli scribi, i primi impiegati statali, erano i soli capaci di leggere le leggi, redigere i documenti e tenere i conti. Erano perciò capaci di vedere la loro posizione in una prospettiva temporale (e perciò intellettuale) più ampia rispetto alle persone che governavano. Con l’esplosione del ciberspazio, la memoria è ovunque, siamo tutti nella «testa della società». Di conseguenza, abbiamo bisogno di inventare nuove forme di governo e di statualità.
«Una
diversa "repubblica" deve avere un’etica diversa, rispettosa
dall’ambiente e delle culture» Oltre tale riflessione, la risposta al quesito deve tenere in considerazione la doppia (e nuova) identità del cibercittadino, allo stesso tempo locale e globale, e quindi la sua doppia responsabilità. Si tratta di una nuova etica, ancora da fondare, basata sul modello del civismo implicito in ogni idea di repubblica, che dovrebbe condurre a un insieme coerente di diritti e privilegi e anche di responsabilità sia locali che globali. Oggigiorno, si intravedono le premesse della nuova etica, per esempio, nella revisione a cui è sottoposta la politica o nella tutela dell’ambiente naturale e sociale. Ciò che si può definire «globalismo» implica l’obbligo di rispettare le alterità delle culture e le diversità, anche semplicemente nel modo di parlare degli altri o con gli altri. Il multiculturalismo, o l’utilizzo di una politica di coesistenza pacifica tra le diverse culture, è per esempio consapevolmente praticato in Canada. Per di più esiste una coscienza delle responsabilità ecologiche, che non consiste solamente nel riciclo dei rifiuti urbani, ma anche nell’orientare gli investimenti finanziari personali verso imprese socialmente ed ecologicamente responsabili. Si può constatare, non senza speranza, il rifiuto largamente praticato nel mondo di consumare prodotti o di beneficiare di servizi di origine sospetta sul piano dei diritti dell’uomo. Attualmente, il cibercittadino, come già il semplice cittadino, deve senza ombra di dubbio manifestare il suo desiderio di una pur minima partecipazione alla gestione degli affari dello Stato, qualunque essi siano. Tale partecipazione n on consiste solamente nella pratica del potere e del diritto di voto, di cui si usufruisce sempre meno in quanto le alternative proposte mancano sempre più di sostanza e dunque generano un interesse minore. Si tratta soprattutto di esigere sempre e incontestabilmente di essere informati riguardo le spese dello Stato, come è naturale per un azionista essere informato riguardo agli investimenti dell’impresa in cui ha investito i suoi fondi. Richard Rorty intravede nella partecipazione attiva l’unica forma di resistenza concessa ai cittadini dei Paesi ancora democratici, allo scopo di frenare la tendenza, generata dagli Stati Uniti, di imporre ai cittadini un regime di sorveglianza allargata in nome della lotta al terrorismo. È
molto probabile che il globalismo segnerà il nostro avvenire, sarà la
matrice politica che funzionerà da scrigno per la libera rigenerazione
di un mondo in cui la media dei cibercittadini vorrà realmente vivere.
Non si può affermare che esso contrassegni il mondo in cui viviamo
oggi. Tuttavia la risposta mondiale al disastro provocato dallo tsunami
il 26 dicembre 2004 sembra mostrare che non ogni speranza è perduta.
Nato
a Tunisi nel 1956 e laureato in Filosofia a Parigi, Pierre Lévy
attualmente insegna a Ottawa, dove è impegnato in un progetto
multimediale su un linguaggio universale per le reti. Ha approfondito le
modalità di approccio ipertestuale e ha sviluppato, con Michel Authier,
il concetto di rete conosciuto come «alberi della conoscenza». Tra i
più brillanti «media philosopher» del momento, ha dedicato oltre una
decina di libri alle tecnologie digitali, come il molto influente
L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del ciberspazio Direttore
del Programma McLuhan di Cultura e tecnologia all'università di
Toronto, Derrick De Kerckhove è nato a Wanzé-Lez-Huy nel 1944 e
prosegue il lavoro di Marshall McLuhan verso la comprensione di come le
tecnologie influenzano e influenzeranno la società. De Kerckhove
promuove una nuova forma di espressione artistica, che unisce le arti,
l'ingegneria e le nuove tecnologie di telecomunicazione. Insegna anche
all'università di Napoli e alla Biblioteca del Congresso di Washington.
Tra le sue numerose opere tradotte in italiano si segnalano le recenti
La pelle della cultura. Un'indagine sulla nuova realtà elettronica
(Costa & Nolan), La civilizzazione video-cristiana (Feltrinelli) e
Brainframes.
Il saggio LA DEMOCRAZIA DOPO LA DEMOCRAZIA I testi di questa pagina sono tratti dalla raccolta Dopo la democrazia? Il potere e la sfera pubblica nell'epoca delle reti, curata da Derrick De Kerckhove e Antonio Tursi e pubblicata da Apogeo (pagine 200, euro 13,00). A delineare le prospettive future per la mediazione democratica - se possa rinascere qualche forma di democrazia diretta, quali siano le nuove entità politico-istituzionali dopo gli Stati-nazione, a che punto sia la formazione di un'opinione pubblica globale - sono i saggi di Alberto Abruzzese, Sara Bentivegna, Franco Berardi Bifo, Derrick De Kerckhove, Pierre Lévy, Michele Prospero, Stefano Rodotà, Luca Toschi e Antonio Tursi. | indietro | | inizio pagina | |
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