UDIENZA ALL’ASSEMBLEA
GENERALE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA (C.E.I.)
24.05.2012
Nell’Aula del Sinodo, in Vaticano, il Santo Padre Benedetto
XVI incontra i partecipanti alla 64ma Assemblea Generale
della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) in corso dal 21
al 25 maggio sul tema: Gli adulti nella comunità: maturi
nella fede e testimoni di umanità.
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Venerati e cari Fratelli,
è un momento di grazia questo vostro annuale convenire in
Assemblea, in cui vivete una profonda esperienza di
confronto, di condivisione e di discernimento per il comune
cammino, animato dallo Spirito del Signore Risorto; è un
momento di grazia che manifesta la natura della Chiesa.
Ringrazio il Cardinale Angelo Bagnasco per le cordiali
parole con cui mi ha accolto, facendosi interprete dei
vostri sentimenti: a Lei, Eminenza, rivolgo i migliori
auguri per la riconferma alla guida della Conferenza
Episcopale Italiana.
L’affetto collegiale che vi anima nutra sempre più la
vostra collaborazione a servizio della comunione ecclesiale
e del bene comune della Nazione italiana,
nell’interlocuzione fruttuosa con le sue istituzioni civili.
In questo nuovo quinquennio proseguite insieme il
rinnovamento ecclesiale che ci è stato affidato dal Concilio
Ecumenico Vaticano II; il 50° anniversario del suo inizio,
che celebreremo in autunno, sia motivo per approfondirne i
testi, condizione di una recezione dinamica e fedele.
«Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il
sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e
insegnato in forma più efficace», affermava il Beato
Giovanni XXIII nel discorso d’apertura.
Egli impegnava i Padri ad approfondire e a presentare
tale perenne dottrina in continuità con la tradizione
millenaria della Chiesa, «trasmettere pura ed integra la
dottrina, senza attenuazioni o travisamenti», ma in modo
nuovo, «secondo quanto è richiesto dai nostri tempi».
(Discorso di solenne apertura del Concilio Ecumenico
Vaticano II, 11 ottobre 1962).
Con tale chiave di lettura e di applicazione, nell’ottica
non certo di un’inaccettabile ermeneutica della
discontinuità e della rottura, ma di un’ermeneutica della
continuità e della riforma, ascoltare il Concilio e farne
nostre le autorevoli indicazioni, costituisce la strada per
individuare le modalità con cui la Chiesa può offrire una
risposta significativa alle grandi trasformazioni sociali e
culturali del nostro tempo, che hanno conseguenze visibili
anche sulla dimensione religiosa.
La razionalità scientifica e la cultura tecnica, infatti,
non soltanto tendono ad uniformare il mondo, ma spesso
travalicano i rispettivi ambiti specifici, nella pretesa di
delineare il perimetro delle certezze di ragione unicamente
con il criterio empirico delle proprie conquiste. Così il
potere delle capacità umane finisce per ritenersi la misura
dell’agire, svincolato da ogni norma morale. Proprio in tale
contesto non manca di riemergere, a volte in maniera
confusa, una singolare e crescente domanda di spiritualità e
di soprannaturale, segno di un’inquietudine che alberga nel
cuore dell’uomo che non si apre all’orizzonte trascendente
di Dio. Questa situazione di secolarismo caratterizza
soprattutto le società di antica tradizione cristiana ed
erode quel tessuto culturale che, fino a un recente passato,
era un riferimento unificante, capace di abbracciare
l’intera esistenza umana e di scandirne i momenti più
significativi, dalla nascita al passaggio alla vita eterna.
Il patrimonio spirituale e morale in cui l’Occidente affonda
le sue radici e che costituisce la sua linfa vitale, oggi
non è più compreso nel suo valore profondo, al punto che più
non se ne coglie l’istanza di verità. Anche una terra
feconda rischia così di diventare deserto inospitale e il
buon seme di venire soffocato, calpestato e perduto. Ne è un
segno la diminuzione della pratica religiosa, visibile nella
partecipazione alla Liturgia eucaristica e, ancora di più,
al Sacramento della Penitenza. Tanti battezzati hanno
smarrito identità e appartenenza: non conoscono i contenuti
essenziali della fede o pensano di poterla coltivare
prescindendo dalla mediazione ecclesiale. E mentre molti
guardano dubbiosi alle verità insegnate dalla Chiesa, altri
riducono il Regno di Dio ad alcuni grandi valori, che hanno
certamente a che vedere con il Vangelo, ma che non
riguardano ancora il nucleo centrale della fede cristiana.
Il Regno di Dio è dono che ci trascende. Come affermava il
beato Giovanni Paolo II, «il regno non è un concetto, una
dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma è
innanzi tutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù
di Nazareth, immagine del Dio invisibile» (Redemptoris
missio, 18).
Purtroppo, è proprio Dio a restare escluso dall’orizzonte
di tante persone; e quando non incontra indifferenza,
chiusura o rifiuto, il discorso su Dio lo si vuole comunque
relegato nell’ambito soggettivo, ridotto a un fatto intimo e
privato, marginalizzato dalla coscienza pubblica. Passa da
questo abbandono, da questa mancata apertura al
Trascendente, il cuore della crisi che ferisce l’Europa, che
è crisi spirituale e morale: l’uomo pretende di avere
un’identità compiuta semplicemente in se stesso. In questo
contesto, come possiamo corrispondere alla responsabilità
che ci è stata affidata dal Signore? Come possiamo seminare
con fiducia la Parola di Dio, perché ognuno possa trovare la
verità di se stesso, la propria autenticità e speranza?
Siamo consapevoli che non bastano nuovi metodi di
annuncio evangelico o di azione pastorale a far sì che la
proposta cristiana possa incontrare maggiore accoglienza e
condivisione. Nella preparazione del Vaticano II,
l’interrogativo prevalente e a cui l’Assise conciliare
intendeva dare risposta era: «Chiesa, che dici di te
stessa?». Approfondendo tale domanda, i Padri conciliari
furono, per così dire, ricondotti al cuore della risposta:
si trattava di ripartire da Dio, celebrato, professato e
testimoniato. Non a caso, infatti, la prima Costituzione
approvata fu quella sulla Sacra Liturgia: il culto divino
orienta l’uomo verso la Città futura e restituisce a Dio il
suo primato, plasma la Chiesa, incessantemente convocata
dalla Parola, e mostra al mondo la fecondità dell’incontro
con Dio. A nostra volta, mentre dobbiamo coltivare uno
sguardo riconoscente per la crescita del grano buono anche
in un terreno che si presenta spesso arido, avvertiamo che
la nostra situazione richiede un rinnovato impulso, che
punti a ciò che è essenziale della fede e della vita
cristiana. In un tempo nel quale Dio è diventato per molti
il grande Sconosciuto e Gesù semplicemente un grande
personaggio del passato, non ci sarà rilancio dell’azione
missionaria senza il rinnovamento della qualità della nostra
fede e della nostra preghiera; non saremo in grado di
offrire risposte adeguate senza una nuova accoglienza del
dono della Grazia; non sapremo conquistare gli uomini al
Vangelo se non tornando noi stessi per primi a una profonda
esperienza di Dio. Cari Fratelli, il nostro primo, vero e
unico compito rimane quello di impegnare la vita per ciò che
vale e permane, per ciò che è realmente affidabile,
necessario e ultimo. Gli uomini vivono di Dio, di Colui che
spesso inconsapevolmente o solo a tentoni ricercano per dare
pieno significato all’esistenza: noi abbiamo il compito di
annunciarlo, di mostrarlo, di guidare all’incontro con Lui.
Ma è sempre importante ricordarci che la prima condizione
per parlare di Dio è parlare con Dio, diventare sempre più
uomini di Dio, nutriti da un’intensa vita di preghiera e
plasmati dalla sua Grazia. Sant’Agostino, dopo un cammino di
affannosa, ma sincera ricerca della Verità era finalmente
giunto a trovarla in Dio. Allora si rese conto di un aspetto
singolare che riempì di stupore e di gioia il suo cuore:
capì che lungo tutto il suo cammino era la Verità che lo
stava cercando e che l’aveva trovato. Vorrei dire a
ciascuno: lasciamoci trovare e afferrare da Dio, per aiutare
ogni persona che incontriamo ad essere raggiunta dalla
Verità. E’ dalla relazione con Lui che nasce la nostra
comunione e viene generata la comunità ecclesiale, che
abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi per costituire
l’unico Popolo di Dio.
Per questo ho voluto indire un Anno della Fede, che
inizierà l’11 ottobre prossimo, per riscoprire e
riaccogliere questo dono prezioso che è la fede, per
conoscere in modo più profondo le verità che sono la linfa
della nostra vita, per condurre l’uomo d’oggi, spesso
distratto, ad un rinnovato incontro con Gesù Cristo «via,
verità e vita». In mezzo a trasformazioni che interessavano
ampi strati dell’umanità, il Servo di Dio Paolo VI indicava
chiaramente quale compito della Chiesa quello di
«raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del
Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i
punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti
ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in
contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza»
(Evangelii nuntiandi, 19).
Vorrei qui ricordare come, in occasione della prima
visita da Pontefice nella sua terra natale, il beato
Giovanni Paolo II visitò un quartiere industriale di
Cracovia concepito come una sorta di «città senza Dio». Solo
l’ostinazione degli operai aveva portato a erigervi prima
una croce, poi una chiesa. In quei segni, il Papa riconobbe
l’inizio di quella che egli, per la prima volta, definì
«nuova evangelizzazione», spiegando che «l’evangelizzazione
del nuovo millennio deve riferirsi alla dottrina del
Concilio Vaticano II. Deve essere, come insegna questo
Concilio, opera comune dei Vescovi, dei sacerdoti, dei
religiosi e dei laici, opera dei genitori e dei giovani». E
concluse: «Avete costruito la chiesa; edificate la vostra
vita col Vangelo!» (Omelia nel Santuario della Santa Croce, Mogila, 9 giugno 1979).
Cari Confratelli, la missione antica e nuova che ci sta
innanzi è quella di introdurre gli uomini e le donne del
nostro tempo alla relazione con Dio, aiutarli ad aprire la
mente e il cuore a quel Dio che li cerca e vuole farsi loro
vicino, guidarli a comprendere che compiere la sua volontà
non è un limite alla libertà, ma è essere veramente liberi,
realizzare il vero bene della vita. Dio è il garante, non il
concorrente, della nostra felicità, e dove entra il Vangelo
– e quindi l’amicizia di Cristo – l’uomo sperimenta di
essere oggetto di un amore che purifica, riscalda e rinnova,
e rende capaci di amare e di servire l’uomo con amore
divino. Come evidenzia opportunamente il tema principale di
questa vostra Assemblea, la nuova evangelizzazione necessita
di adulti che siano «maturi nella fede e testimoni di
umanità». L’attenzione al mondo degli adulti manifesta la
vostra consapevolezza del ruolo decisivo di quanti sono
chiamati, nei diversi ambiti di vita, ad assumere una
responsabilità educativa nei confronti delle nuove
generazioni. Vegliate e operate perché la comunità cristiana
sappia formare persone adulte nella fede perché hanno
incontrato Gesù Cristo, che è diventato il riferimento
fondamentale della loro vita; persone che lo conoscono
perché lo amano e lo amano perché l’hanno conosciuto;
persone capaci di offrire ragioni solide e credibili di
vita. In questo cammino formativo è particolarmente
importante – a vent’anni dalla sua pubblicazione – il
Catechismo della Chiesa Cattolica, sussidio prezioso per una
conoscenza organica e completa dei contenuti della fede e
per guidare all’incontro con Cristo. Anche grazie a questo
strumento possa l’assenso di fede diventare criterio di
intelligenza e di azione che coinvolge tutta l’esistenza.
Trovandoci nella novena di Pentecoste, vorrei concludere
queste riflessioni con una preghiera allo Spirito Santo:
Spirito di Vita, che in principio aleggiavi sull’abisso,
aiuta l’umanità del nostro tempo a comprendere
che l’esclusione di Dio la porta a smarrirsi nel deserto
del mondo,
e che solo dove entra la fede fioriscono la dignità e la
libertà
e la società tutta si edifica nella giustizia.
Spirito della Pentecoste, che fai della Chiesa un solo
Corpo,
restituisci noi battezzati a un’autentica esperienza di
comunione;
rendici segno vivo della presenza del Risorto nel mondo,
comunità di santi che vive nel servizio della carità.
Spirito Santo, che abiliti alla missione,
donaci di riconoscere che, anche nel nostro tempo,
tante persone sono in ricerca della verità sulla loro
esistenza e sul mondo.
Rendici collaboratori della loro gioia con l’annuncio del
Vangelo di Gesù Cristo,
chicco del frumento di Dio, che rende buono il terreno
della vita e assicura l’abbondanza del
raccolto.
Amen.
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