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Nel giugno 2004 don Andrea Santoro raccontò in una lettera destinata alla pubblicazione la vita del parroco di frontiera, la fatica e la soddisfazione di essere sacerdote in paese come la Turchia. È una lettera in cui don Andrea racconta come passa le giornate occupato tra le mansioni religiose, le faccende da sbrigare, e i singolarissimi incontri con le persone del luogo. Impariamo a conoscerlo e ad essere in comunione.

FINESTRA PER IL MEDIORIENTE 
Numero 17  Giugno 2004

Trabzon, 11 maggio 2004

Carissimi,

S. Maria - Trabzon

è da un po' che non ci sentivamo e desideravo proprio raccontarvi le solite spicciole cose di ogni giorno e mettere in comune con voi la grazia di Dio, così come si manifesta, a sorpresa, come quando un raggio improvviso rischiara il cielo. Questa mattina stavo aspettando i falegnami e il fabbro, preoccupandomi di quando sarebbero arrivati. All'improvviso hanno suonato il campanello. «E lunedì, rispondo, le visite alla chiesa oggi non ci sono». Una voce dall'altra parte risponde: «Ho avuto un sogno ... ». Vado alla porta e mi trovo davanti un ragazzone sorridente e deciso: «Debbo entrare in chiesa. Due notti fa ho avuto un sogno che mi diceva di venire alla chiesa di Trabzon: c'era un crocifisso che mi tendeva la mano e mi diceva: vai a Trabzon! Ho preso l'autobus e sono venuto» (ha dovuto fare una decina di ore di autobus per arrivare!). Mentre aspettavo i falegnami stavo proprio meditando il vangelo di oggi: «Il vento soffia dove vuole, non sai da dove viene e dove va: così è di chi è nato dallo Spirito». Mi sono anche ricordato come fu proprio per un sogno che il centurione Cornelio mandò a chiamare Pietro a un centinaio di chilometri di distanza. Loredana, alla preghiera di questa sera me lo ricordava: «non ti devi preoccupare dei falegnami ma di quello che Dio fa».

Un altro ragazzo sui 25 anni ieri mi si è accostato e mi ha detto: «sono tre mesi che vengo in chiesa a pregare. Ho scelto Gesù. Sento che mi chiama. Che debbo fare?». Una donna non battezzata ma di famiglia cristiana, proveniente dal Caucaso, sposata a un turco musulmano mi diceva: «quando vengo in chiesa respiro, trovo un'aria pulita, sento la serenità nel cuore». Un altro giovane dopo aver letto la chiamata di Gesù agli apostoli diceva: «è proprio quello che è successo a me, circa un mese fa... Che debbo fare?». Noi, vi assicuro, non ci preoccupiamo di cercare nessuno, aspettiamo quelli che Dio chiama. Solo i cristiani ortodossi andiamo a trovarli, a informarli che c'è una chiesa per loro e una porta aperta per accoglierli. Gli altri cerchiamo di amarli, di guardarli con gli occhi del Signore, di accoglierli con la sua stessa benevolenza, di incontrarli per strada cercando di immaginare come Gesù incontrava la gente. Apriamo la chiesa quando vengono in visita cercando ancora prima di spalancare il nostro cuore.

Ci rendiamo conto che la grazia di Dio si muove in assoluta libertà e imprevedibilità, che a noi non è dato suggerirle nulla, solo riconoscerla, gioirne, accoglierla e assecondarla. Questo vale anche per noi: quando il Signore bussa bisogna aprire e farlo entrare e poi sedersi a mensa con Lui che viene per sedersi a mensa con noi. Vi assicuro che il Signore bussa davvero, lancia i suoi richiami, si accende come una scintilla improvvisa. Quando arriva una sua folata di «vento» non dobbiamo pensare che sia una fantasia. È Lui, è la sua grazia, è la sua attrazione segreta. È un momento personale che riguarda te e nessun altro. Dicendo il primo sì se ne predispongono degli altri. Interrogate il vostro passato: i punti luminosi che si sono accesi è il Signore che è passato. Dice il Cantico dei cantici: «Ha bussato il mio amato alla mia porta, appena ha messo la mano sul chiavistello ho sentito un fremito ... ». E ancora: «ho cercato l'amato del mio cuore, l'ho trovato e non lo lascerò mai ... ». E conclude dicendo: «vieni, fuggiamo sui monti degli aromi ... ». Il desiderio che Dio suscita nel cuore ti cattura e ti porta a fuggire con Lui. ­Inoltre Colui che ha iniziato la storia si preoccupa anche di portarla a compimento attraverso prove, tentazioni, sofferenze, gioie, un succedersi di luci e oscurità, di rapimenti di cuore e di aridità improvvise. Poi verrà il momento dell'incontro finale quando Lo vedremo faccia a faccia.

Torniamo a ciò che accade qui nel succedersi dei giorni. Un giorno durante l'orario delle visite un giovane sulla trentina si avvicina e mi dice: «che tu possa accogliere l'Islam!... Dio giudicherà con misericordia ma dipende dalle religione che si è professata... perché non accogli Maometto? Gesù non è il Figlio di Dio... Accogli l'Islam!».

«Dio è grande, gli rispondo io. Lascia a lui il giudizio. Puoi forse sostituirti a Lui? La carità è più grande della fede ... ». Il giovane continua con un misto di durezza e alterigia. C'è una coppia di fidanzatini che ci osserva. Lei ha il velo, ascolta tutto. Uscendo, mi passa accanto come un angelo e mi sussurra: «Her din Kutsal dir» («Ogni religione è santa») e mi pare che queste sue parole consacrino questo luogo, la preghiera che vi si fa e la fede che vi si vive. M'è sembrata una goccia di rugiada, la dimostrazione che davvero la carità è più grande della fede.

Ieri due ragazze si sono presentate. Hanno preso un vangelo e mi hanno chiesto di parlare. Una fa: «da tempo mi sento insoddisfatta. Da qualche settimana ho cominciato a pensare al cristianesimo. Ho visto anche il film su Gesù». Ho letto loro alcuni capitoli del vangelo di Giovanni, dell'ultima cena, e il capitolo di Isaia sul servo sofferente che si è addossato i nostri peccati. Ogni volta che si parlava di amore, di dolore, di perdono, di salvezza, ogni volta che si faceva riferimento alla vicinanza di Dio una delle due ragazze annuiva profondamente. «Dio è uno, dice l'altra. Che differenza c'è tra Islam e cristianesimo?».

«Si, Dio è uno, dico io, ma non vuol dire che è solo. L'unicità non va confusa con la solitudine. Nella solitudine non c'è felicità e invece Dio è felice perché ha un cuore trinitario, è un intimo mistero di amore e di gioia». Allora ha esclamato: «Assolutamente forte!».

Per diversi giorni è venuta una signora che cura dei programmi televisivi di musica. Col volto triste e addolorato ha chiesto di pregare per lei. Col passare dei giorni si rasserenava. Ci ha detto: «grazie per avermi fatto conoscere l'amore di Dio. Sento che mi ha guarita. Mi avete accolto anche senza conoscermi, mi avete fatto sentire una sorella».

Una sera siamo andati a mangiare in una locanda. Il padrone, il cuoco e un inserviente si sono mesi a parlare con noi sul celibato, le tentazioni, la debolezza umana, il perdono di Dio. «Ma come si fa senza una donna?» dice uno. «E anche se c'è una donna come si fa a non andare con altre donne?  dico io - Voi siete sposati. Ci andate mai con altre donne?». «Io qualche volta», dice uno. «Come vedi ci vuole la grazia di Dio. La buona volontà non basta. Se c'è la grazia di Dio e se è Lui a chiamare allora si può consegnare il proprio cuore a Dio e fare a meno anche di una donna. Dio è abbastanza grande da riempire anche il nostro cuore».

La sera ogni tanto troviamo cocci di bottiglia nel cortile della chiesa. Anche questa sera rientrando ci siamo resi conto di essere stati resi «beati». Ci ricordiamo delle beatitudini di Gesù e cerchiamo di reprimere una voglia di ira che sale da dentro...

Torno indietro su un simpa­tico e significativo episodio accaduto sull'aereo di ritorno da Roma in Turchia verso la fine di Marzo. Mi si siede accanto un anziano signore turco con una bella barba e un bel copricapo. È piuttosto grassoccio e ci scherza sopra nel momento in cui straripa dal suo sedile verso il mio. A un certo punto comincia a pregare e a cantare a bassa voce versetti del corano. Io e Loredana cominciamo il vespro. Poi tira fuori il rosario musulmano dei nomi di Dio. Io pure tiro fuori il mio. E’ bello ritrovarsi a pregare, ammirando l'uno la preghiera dell'altro e rispettando l'uno la fede dell'altro. L'aereo diventerebbe un inferno se qualcuno volesse imporre a tutti gli altri le stesse cose. Quello che non succede in aereo, mi ritrovo a pensare, succede spesso nell'ambito dei nazioni e di popoli.

Riprendo la lettera dopo il giro di visita alle comunità cristiane del sud e dell'est della Turchia. Il 9 maggio era la festa della mamma. Un giovane musulmano viene in chiesa con dei fiori e mi dice: «è la festa della mamma, vado a portarli alla Madre Maria».

Ieri siamo andati in ospedale a trovare una ragazza malata di tubercolosi di cui ci aveva parlato una signora che spesso viene in chiesa. Abbiamo trovato quattro ragazze: 13, 21, 25, 27 anni. Una ha un bambino di 6 anni. Storie di dolore, di solitudine, di sfruttamento, di separazione. Eppure desiderio di vita, di gioia, di pulito. «Verrò a trovarti in chiesa» dice la più grande col bambino. Uscendo ho poggiato la mano sul capo di ognuna come segno di affetto e di benedizione. Il dolore è una strada luminosa che accomuna, è un sentiero di sapienza e di purificazione. È proprio lì che il Signore è venuto a incontrarci. Dice S. Paolo: «ci ha riconciliati nel suo corpo trafitto e nel suo sangue versato». Nel nostro giro ai cristiani dell'est abbiamo rivisto volti conosciuti e una vita cristiana che germoglia e si rinnova. Abbiamo visto la fatica, i contrasti a volte interni a volte esterni alla chiesa. Abbiamo visto i desideri rivolti al Signore e i desideri della carne che ci portano lontani da lui. Ci siamo sentiti accolti e incoraggiati. Abbiamo cercato di incoraggiare a nostra volta e di onorare la presenza di questi nostri fratelli. Abbiamo ritrovato vecchi villaggi curdi visitati e ne abbiamo incontrati di nuovi. Se il Signore accendesse qua e là piccole luci per testimoniare l'amore del Padre e rendere presente il dono dello Spirito... Lo desideriamo e lo chiediamo al Signore: la tua Pentecoste Signore continui e il tuo Spirito visiti la faccia della terra!».

Il Signore visiti ognuno di voi e vi porti consolazione e grazia. Vi trasformi in luce per il mondo. La vostra preghiera ottenga altrettanto per noi. C'è una piccola, minuta, nascosta Pentecoste che volevo segnalarvi, un minuscolo segno di speranza e un esempio per noi: un giovane musulmano che ci aiuta nei lavori di restauro e di pulizia della chiesa e di custodia di essa quando noi manchiamo. Ci colpisce per la sua umiltà, il suo rispetto, la sua meticolosità e l'accuratezza con cui fa le cose. Sempre pronto a dire di sì, anche nei lavori più ingrati, sempre gentile con noi e sollecito per i suoi numerosi fratelli di famiglia. L'ho conosciuto mesi fa mentre scavava una fossa di due metri e mezzo in mezzo a un fango che quasi lo seppelliva, per i pochi soldi che gli dava chi lo aveva ingaggiato. Siamo andati a trovarlo a casa: una povertà totale in mezzo a una ricchezza di cuore. Chi è più vicino a Dio, mi sono detto? Mille messe non valgono una semplicità di cuore e una purezza di comportamento come quello che abbiamo visto.

Oggi, parlando prima con due ragazze che mi hanno sottoposto simpaticamente a una raffica di domande e poi con un giovane che si sente attirato dalla vicinanza di Gesù mi dicevo che alla fin fine quello che conta è portare in noi il bene che Gesù vuole per tutti e lasciarglielo esprimere attraverso di noi. Quello che conta è la parte meno appariscente della nostra vita, quella in cui si riflette il Gesù «mite e umile di cuore», il buon pastore che «conosce e ama le pecore una per una», il servo che si china a lavare i piedi.

Tutto questo convince e attira, il resto può solo impressionare o incuriosire.

Che la Pentecoste crei in noi questo cuore. Ve lo auguro e lo chiedo per me dal profondo.

Vi saluto con affetto ricordandovi che dal 1 al 5 settembre a Ciciliano vicino Roma ci saranno per quanti seguono la “Finestra per il Medio Oriente” gli esercizi spirituali sulla figura di Abramo e che nel mese di agosto sarà possibile trascorrere (in 2 periodi di 2 settimane ciascuno) un tempo di permanenza qui a Trabzon sul Mar Nero. Notizie più dettagliate le troverete all'interno del giornalino.

Con la benedizione che invoco da Dio su di voi

Don Andrea

   
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