Numero 17 Giugno 2004
Trabzon, 11 maggio 2004
Carissimi,
è da un po' che non ci sentivamo e
desideravo proprio raccontarvi le solite spicciole cose di ogni giorno e mettere
in comune con voi la grazia di Dio, così come si manifesta, a sorpresa, come
quando un raggio improvviso rischiara il cielo. Questa mattina stavo aspettando
i falegnami e il fabbro, preoccupandomi di quando sarebbero arrivati.
All'improvviso hanno suonato il campanello. «E lunedì, rispondo, le visite
alla chiesa oggi non ci sono». Una voce dall'altra parte risponde: «Ho avuto
un sogno ... ». Vado alla porta e mi trovo davanti un ragazzone sorridente e
deciso: «Debbo entrare in chiesa. Due notti fa ho avuto un sogno che mi diceva
di venire alla chiesa di Trabzon: c'era un crocifisso che mi tendeva la mano e
mi diceva: vai a Trabzon! Ho preso l'autobus e sono venuto» (ha dovuto fare una
decina di ore di autobus per arrivare!). Mentre aspettavo i falegnami stavo
proprio meditando il vangelo di oggi: «Il vento soffia dove vuole,
non sai da dove viene e dove va: così è di chi è nato dallo Spirito». Mi
sono anche ricordato come fu proprio per un sogno che il centurione Cornelio
mandò a chiamare Pietro a un centinaio di chilometri di distanza. Loredana,
alla preghiera di questa sera me lo ricordava: «non ti devi preoccupare dei
falegnami ma di quello che Dio fa».
Un altro ragazzo sui 25 anni ieri mi si è
accostato e mi ha detto: «sono tre mesi che vengo in chiesa a pregare. Ho
scelto Gesù. Sento che mi chiama. Che debbo fare?». Una donna non battezzata
ma di famiglia cristiana, proveniente dal Caucaso, sposata a un turco musulmano
mi diceva: «quando vengo in chiesa respiro, trovo un'aria pulita, sento la
serenità nel cuore». Un altro giovane dopo aver letto la chiamata di Gesù
agli apostoli diceva: «è proprio quello che è successo a me, circa un mese
fa... Che debbo fare?». Noi, vi assicuro, non ci preoccupiamo di cercare
nessuno, aspettiamo quelli che Dio chiama. Solo i cristiani ortodossi andiamo a
trovarli, a informarli che c'è una chiesa per loro e una porta aperta per
accoglierli. Gli altri cerchiamo di amarli, di guardarli con gli occhi del
Signore, di accoglierli con la sua stessa benevolenza, di incontrarli per
strada cercando di immaginare come Gesù incontrava la gente. Apriamo la chiesa
quando vengono in visita cercando ancora prima di spalancare il nostro cuore.
Ci rendiamo conto che la grazia di Dio si
muove in assoluta libertà e imprevedibilità, che a noi non è dato suggerirle
nulla, solo riconoscerla, gioirne, accoglierla e assecondarla. Questo vale anche
per noi: quando il Signore bussa bisogna aprire e farlo entrare e poi sedersi
a mensa con Lui che viene per sedersi a mensa con noi. Vi assicuro che il
Signore bussa davvero, lancia i suoi richiami, si accende come una scintilla
improvvisa. Quando arriva una sua folata di «vento» non dobbiamo pensare che
sia una fantasia. È Lui, è la sua grazia, è la sua attrazione segreta. È un momento personale che riguarda te e nessun altro. Dicendo il primo sì se ne
predispongono degli altri. Interrogate il vostro passato: i punti luminosi che
si sono accesi è il Signore che è passato. Dice il Cantico dei cantici: «Ha
bussato il mio amato alla mia porta, appena ha messo la mano sul chiavistello ho
sentito un fremito ... ». E ancora: «ho cercato l'amato del mio cuore,
l'ho trovato e non lo lascerò mai ... ». E conclude dicendo: «vieni,
fuggiamo sui monti degli aromi ... ». Il desiderio che Dio suscita nel
cuore ti cattura e ti porta a fuggire con Lui. Inoltre Colui che ha iniziato
la storia si preoccupa anche di portarla a compimento attraverso prove,
tentazioni, sofferenze, gioie, un succedersi di luci e oscurità, di rapimenti
di cuore e di aridità improvvise. Poi verrà il momento dell'incontro finale
quando Lo vedremo faccia a faccia.
Torniamo a ciò che accade qui nel
succedersi dei giorni. Un giorno durante l'orario delle visite un giovane sulla
trentina si avvicina e mi dice: «che tu possa accogliere l'Islam!... Dio
giudicherà con misericordia ma dipende dalle religione che si è professata...
perché non accogli Maometto? Gesù non è il Figlio di Dio... Accogli
l'Islam!».
«Dio è grande, gli rispondo io. Lascia a
lui il giudizio. Puoi forse sostituirti a Lui? La carità è più grande della
fede ... ». Il giovane continua con un misto di durezza e alterigia. C'è una
coppia di fidanzatini che ci osserva. Lei ha il velo, ascolta tutto. Uscendo, mi
passa accanto come un angelo e mi sussurra: «Her din Kutsal dir» («Ogni
religione è santa») e mi pare che queste sue parole consacrino questo luogo,
la preghiera che vi si fa e la fede che vi si vive. M'è sembrata una goccia di
rugiada, la dimostrazione che davvero la carità è più grande della fede.
Ieri due ragazze si sono presentate. Hanno
preso un vangelo e mi hanno chiesto di parlare. Una fa: «da tempo mi sento
insoddisfatta. Da qualche settimana ho cominciato a pensare al cristianesimo. Ho
visto anche il film su Gesù». Ho letto loro alcuni capitoli del vangelo di
Giovanni, dell'ultima cena, e il capitolo di Isaia sul servo sofferente che si
è addossato i nostri peccati. Ogni volta che si parlava di amore, di dolore, di
perdono, di salvezza, ogni volta che si faceva riferimento alla vicinanza di Dio
una delle due ragazze annuiva profondamente. «Dio è uno, dice l'altra. Che
differenza c'è tra Islam e cristianesimo?».
«Si, Dio è uno, dico io, ma non vuol
dire che è solo. L'unicità non va confusa con la solitudine. Nella solitudine
non c'è felicità e invece Dio è felice perché ha un cuore trinitario, è un
intimo mistero di amore e di gioia». Allora ha esclamato: «Assolutamente
forte!».
Per diversi giorni è venuta una signora
che cura dei programmi televisivi di musica. Col volto triste e addolorato ha
chiesto di pregare per lei. Col passare dei giorni si rasserenava. Ci ha detto:
«grazie per avermi fatto conoscere l'amore di Dio. Sento che mi ha guarita. Mi
avete accolto anche senza conoscermi, mi avete fatto sentire una sorella».
Una sera siamo andati a mangiare in una
locanda. Il padrone, il cuoco e un inserviente si sono mesi a parlare con noi
sul celibato, le tentazioni, la debolezza umana, il perdono di Dio. «Ma come si
fa senza una donna?» dice uno. «E anche se c'è una donna come si fa a non
andare con altre donne? dico io - Voi siete sposati. Ci andate mai con altre
donne?». «Io qualche volta», dice uno. «Come vedi ci vuole la grazia di Dio.
La buona volontà non basta. Se c'è la grazia di Dio e se è Lui a chiamare
allora si può consegnare il proprio cuore a Dio e fare a meno anche di una
donna. Dio è abbastanza grande da riempire anche il nostro cuore».
La sera ogni tanto troviamo cocci di
bottiglia nel cortile della chiesa. Anche questa sera rientrando ci siamo resi
conto di essere stati resi «beati». Ci ricordiamo delle beatitudini di Gesù e
cerchiamo di reprimere una voglia di ira che sale da dentro...
Torno indietro su un simpatico e
significativo episodio accaduto sull'aereo di ritorno da Roma in Turchia verso
la fine di Marzo. Mi si siede accanto un anziano signore turco con una bella
barba e un bel copricapo. È piuttosto grassoccio e ci scherza sopra nel
momento in cui straripa dal suo sedile verso il mio. A un certo punto comincia a
pregare e a cantare a bassa voce versetti del corano. Io e Loredana cominciamo
il vespro. Poi tira fuori il rosario musulmano dei nomi di Dio. Io pure tiro
fuori il mio. E’ bello ritrovarsi a pregare, ammirando l'uno la preghiera
dell'altro e rispettando l'uno la fede dell'altro. L'aereo diventerebbe un
inferno se qualcuno volesse imporre a tutti gli altri le stesse cose. Quello che
non succede in aereo, mi ritrovo a pensare, succede spesso nell'ambito dei
nazioni e di popoli.
Riprendo la lettera dopo il giro di visita
alle comunità cristiane del sud e dell'est della Turchia. Il 9 maggio era la
festa della mamma. Un giovane musulmano viene in chiesa con dei fiori e mi dice:
«è la festa della mamma, vado a portarli alla Madre Maria».
Ieri siamo andati in ospedale a trovare
una ragazza malata di tubercolosi di cui ci aveva parlato una signora che spesso
viene in chiesa. Abbiamo trovato quattro ragazze: 13, 21, 25, 27 anni. Una ha un
bambino di 6 anni. Storie di dolore, di solitudine, di sfruttamento, di
separazione. Eppure desiderio di vita, di gioia, di pulito. «Verrò a trovarti
in chiesa» dice la più grande col bambino. Uscendo ho poggiato la mano sul
capo di ognuna come segno di affetto e di benedizione. Il dolore è una strada
luminosa che accomuna, è un sentiero di sapienza e di purificazione. È proprio lì che il Signore è venuto a incontrarci. Dice S. Paolo: «ci ha
riconciliati nel suo corpo trafitto e nel suo sangue versato». Nel nostro
giro ai cristiani dell'est abbiamo rivisto volti conosciuti e una vita
cristiana che germoglia e si rinnova. Abbiamo visto la fatica, i contrasti a
volte interni a volte esterni alla chiesa. Abbiamo visto i desideri rivolti al
Signore e i desideri della carne che ci portano lontani da lui. Ci siamo sentiti
accolti e incoraggiati. Abbiamo cercato di incoraggiare a nostra volta e di
onorare la presenza di questi nostri fratelli. Abbiamo ritrovato vecchi villaggi
curdi visitati e ne abbiamo incontrati di nuovi. Se il Signore accendesse qua e
là piccole luci per testimoniare l'amore del Padre e rendere presente il dono
dello Spirito... Lo desideriamo e lo chiediamo al Signore: la tua Pentecoste
Signore continui e il tuo Spirito visiti la faccia della terra!».
Il Signore visiti ognuno di voi e vi porti
consolazione e grazia. Vi trasformi in luce per il mondo. La vostra preghiera
ottenga altrettanto per noi. C'è una piccola, minuta, nascosta Pentecoste che
volevo segnalarvi, un minuscolo segno di speranza e un esempio per noi: un
giovane musulmano che ci aiuta nei lavori di restauro e di pulizia della chiesa
e di custodia di essa quando noi manchiamo. Ci colpisce per la sua umiltà, il
suo rispetto, la sua meticolosità e l'accuratezza con cui fa le cose. Sempre
pronto a dire di sì, anche nei lavori più ingrati, sempre gentile con noi e
sollecito per i suoi numerosi fratelli di famiglia. L'ho conosciuto mesi fa
mentre scavava una fossa di due metri e mezzo in mezzo a un fango che quasi lo
seppelliva, per i pochi soldi che gli dava chi lo aveva ingaggiato. Siamo andati
a trovarlo a casa: una povertà totale in mezzo a una ricchezza di cuore. Chi
è più vicino a Dio, mi sono detto? Mille messe non valgono una semplicità di
cuore e una purezza di comportamento come quello che abbiamo visto.
Oggi, parlando prima con due ragazze che
mi hanno sottoposto simpaticamente a una raffica di domande e poi con un giovane
che si sente attirato dalla vicinanza di Gesù mi dicevo che alla fin fine
quello che conta è portare in noi il bene che Gesù vuole per tutti e
lasciarglielo esprimere attraverso di noi. Quello che conta è la parte meno
appariscente della nostra vita, quella in cui si riflette il Gesù «mite e
umile di cuore», il buon pastore che «conosce e ama le pecore
una per una», il servo che si china a lavare i piedi.
Tutto questo convince e attira, il resto
può solo impressionare o incuriosire.
Che la Pentecoste crei in noi questo
cuore. Ve lo auguro e lo chiedo per me dal profondo.
Vi saluto con affetto ricordandovi che
dal 1 al 5 settembre a Ciciliano vicino Roma ci saranno per quanti seguono la
“Finestra per il Medio Oriente” gli esercizi spirituali sulla figura di
Abramo e che nel mese di agosto sarà possibile trascorrere (in 2 periodi di 2
settimane ciascuno) un tempo di permanenza qui a Trabzon sul Mar Nero. Notizie
più dettagliate le troverete all'interno del giornalino.
Con la benedizione che invoco da Dio su di voi
Don Andrea