«La nostra patria Europa» è il titolo di un discorso pronunciato da Alcide De Gasperi il 21
aprile 1954 a Parigi alla Conferenza parlamentare europea. Conferenza che non sarà destinata a prendere decisioni politiche che
spettavano ai parlamenti ma un foro nel quale si potranno confrontare pareri diversi e, come sottolineerà il presidente italiano,
«tutti ugualmente preoccupati del bene comune delle nostre patrie europee, della nostra Patria Europa».
De Gasperi, Schuman e Adenauer avevano lavorato a ritmo forzato per arrivare a lasciare al continente europeo ancora devastato
dalla guerra la traccia di una strada «dalla quale non sarebbe stato possibile tornare indietro». Parliamo, scriviamo,
insistiamo, non lasciamo un istante di respiro «che l'Europa rimanda l'argomento del giorno».
Tuttavia i tre Padri d'Europa non
erano degli illusi, sapevano tenere a bada il loro entusiasmo e, pur guardando alla novità di un'impresa tanto ardita, ne
prevedevano la gradualità necessaria. «Per quanto riguarda le istituzioni - scriveva De Gasperi - bisogna ricercare l'unione
soltanto nella misura in cui ciò è necessario, o meglio in cui è indispensabile».
È straordinario tuttavia come De Gasperi
riconoscesse, nell'implicazione civile e culturale di altri popoli, il nostro essere europei quasi coinvolgendoli nel nostro
futuro. Con una certa meraviglia infatti possiamo leggere nella relazione da lui svolta alla Conferenza della Tavola Rotonda di
Roma il 13 ottobre 1953 queste parole: «Per quanto riguarda Roma io personalmente vi vedo il vertice, forse il più elevato, di
quanto ha offerto la storia civile e politica degli uomini.
Ma in Europa non vi è soltanto Roma. Come trascurare l'elemento del
vicino Oriente, l'elemento greco, l'elemento delle coste africane del Mediterraneo, l'elemento germanico, l'elemento slavo?... Le
voci di tutte le epoche si armonizzano nel concerto europeo. Essi si fondano in una tradizione le cui radici sono classiche, ma
che si estendono in ramificazioni lussureggianti e folte, una tradizione che ci ispira unendoci».
Egli certo non poteva
immaginare quello cui noi oggi assistiamo: l'allargamento dell'Unione Europea fino a includere 25 Paesi. Un processo che già
prevede di coinvolgere altri Paesi ancora: ecco la strada dalla quale non possiamo tornare indietro. Ma la vera unità d'Europa
sarà tale quando potremo contare su un'autorità politica comune che ci renderà liberi di fronte al mondo.
«È la volontà politica unitaria che deve prevalere. È l'imperativo categorico che bisogna fare l'Europa per assicurare la
nostra pace, il nostro progresso e la nostra giustizia sociale che deve anzitutto servirci da guida... Tutta la nostra costruzione
politico-sociale presuppone un regime di moralità internazionale. I popoli che si uniscono, spogliandosi delle scorie egoistiche
della loro crescita, debbono elevarsi anche a un più fecondo senso di giustizia verso i deboli e i perseguitati. Lo sforzo di
mediazione e di equità che è compito necessario dell'Autorità europea le darà un nimbo di dignità arbitrale che si irradierà
al di là delle sue giuridiche attribuzioni e ravviverà le speranze di tutti i popoli liberi».
A questo programma ci troviamo chiamati a tener fede oggi che siamo pronti a firmare, anche assieme a popoli più poveri, una
Costituzione che dovrà diventare linea guida per 450 milioni di persone. Preghiamo perché il sogno dei Padri d'Europa raggiunga
una sua dignitosa completezza.