Un altro scatto dopo l'89. Tutti i muri speriamo abbattuti
Elio Maraone, su Avvenire del 29 ottobre 2004

Il Campidoglio, come nel 1957, ha ospitato la cerimonia per la firma del Trattato I rappresentanti dei Venticinque sono stati chiamati seguendo l’ordine alfabetico dei Paesi Su un enorme cartellone anche le firme di Bulgaria, Romania, e Turchia Una dichiarazione del rappresentante croato. Un altro passo nella storia.

Sala Orazi e Curiazi

Si ricomincia da Roma. Quarantasette anni dopo la firma in Campidoglio del Trattato che sanciva la nascita della Comunità, l'Europa ritorna nello stesso luogo per dar vita al suo Trattato costituzionale. Quello che viene firmato da 25 capi di Stato e di governo è infatti un patto interstatuale, non - non ancora - la Carta fondamentale di un popolo. E questo non è necessariamente un male, ma è bene tenerlo presente lungo la strada dell'integrazione continentale, quella strada già esposta al rischio della mancata ratifica del Trattato da parte di questo o quel Paese: un esito preoccupante, soprattutto se, attraverso referendum, esprimesse un disamore popolare. Forse, e senza forse, si poteva diminuire questo rischio producendo un testo meno sterminato e più palpitante, quindi più facile da far comprendere e amare a quei cittadini europei che, ignari e perplessi, non danno segno in queste ore di festosa accoglienza.

Eppure, nonostante questi inciampi e le oscurità che in parte rendono labili o insoddisfacenti sia i princìpi ispiratori del Trattato sia le norme di funzionamento dell'Unione, questo venerdì è da celebrare e da ricordare: i popoli di un continente finalmente pacificato, senza muri o blocchi contrapposti, fanno un'altro scatto dopo quello dell'89, e si impegnano per iscritto a un progetto di comunione senza precedenti. E la scelta di firmarlo in Campidoglio quarantasette anni dopo il primo, ha un buon sapore augurale, insieme ad un rilievo simbolico: come ha osservato ieri il Papa ricevendo il presidente uscente della Commissione Romano Prodi, «chi dice Roma dice irradiazione di valori giuridici e spirituali universali».

Starà ai popoli e ai loro governanti impedire che questo luminoso spunto iniziale si attenui, rendendo nel tempo e nei fatti più grave il mancato riferimento alle radici cristiane dell'Europa. E se è vero che il testo è tramato in molte parti del senso profondo della dignità umana, non si può per questo tacere che quel senso è maturato non nella Roma dei Cesari, ma in quella cristiana. Ancora ieri il Papa ha puntualmente ricordato come «il cristianesimo, nelle sue varie espressioni, abbia contribuito alla formazione di una coscienza comune dei popoli europei ed abbia dato un grande apporto a plasmare la loro civiltà».

La Chiesa ha accompagnato il cammino dell'Europa dalle origini ai tempi recenti, seguendone - ha soggiunto il Papa - «con attivo interesse le varie tappe», e la Santa Sede, pur nel mantenimento di una benevola attenzione, «si è anche sempre sentita in dovere di esprimere apertamente le giuste attese di un grande numero di cittadini cristiani che chiedevano il suo interessamento». 

Parole chiare, quelle di Giovanni Paolo II, da tenere presenti durante la giusta soddisfazione per la firma del Trattato e soprattutto durante il tentativo - che si annuncia lungo e tormentato - di renderlo più ricco, più praticabile, insomma migliore. I documenti costitutivi sono anche uno specchio delle società che li hanno elaborati: sarebbe terribile se, alla lunga, vi si riconoscesse una cittadinanza europea fondata primariamente sui desideri dell'individuo, ovvero sull'edonismo indotto dal mercato, avendo lasciato alla tecnocrazia il compito di guidare una macchina politica ormai troppo complessa, e dalla destinazione imprecisata.
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[Fonte: Avvenire del 29 settembre 2004]

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