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Per il futuro dell'Europa. La rilevanza
pubblica delle religioni
Angelo Scola Patriarca di Venezia
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Il 12 marzo il
patriarca di Venezia, card. Angelo Scola, ha
tenuto una conferenza nella abbazia benedettina
di Santa Scolastica, a Subiaco, su "Il
cristianesimo, una risorsa per il futuro
dell'Europa". Dedichiamo attenzione a un passaggio della relazione.
Considerare il cristianesimo come una risorsa
per l'Europa significa riconoscerne il peso come
fatto sociale pubblicamente rilevabile non solo
per il passato (un'evidenza che solo un bieco
pregiudizio ideologico riesce ad oscurare), ma
anche per il futuro del vecchio continente. Un
futuro che, comunque, dovrà fare i conti con il
presente di una realtà plurale caratterizzata da
una forte interculturalità. Proprio questo dato,
secondo alcuni esponenti dell'accademia,
costituirebbe la risorsa per ridurre le attuali
divisioni dell'Europa allargata e per evitare
quelle future, aprendo così una strada
privilegiata per l'integrazione europea.
In Europa, per lo scarso peso dato ai corpi
intermedi, soprattutto con l'esplosione della
civiltà delle reti che ha perlomeno mutato la
natura della partecipazione, è diffusa
l'opinione che il rapporto tra diritti
fondamentali del soggetto e stato in una società
democratica plurale si possa correttamente dare
solo a patto di non introdurre, in nessuna
forma, altri elementi di riferimento e di
mediazione. La religione, in questo contesto,
costituirebbe un "terzo incomodo", tollerabile
solo se ridotta a fatto privato proprio del
singolo individuo.
Tuttavia io sono convinto che negare alle
religioni ogni rilevanza pubblica in una società
democratica plurale sia una posizione debole,
che non regge la prova di un sereno vaglio
critico. E lo dico non perché sono credente, ma
perché voglio affrontare rigorosamente il
problema. Va anche detto, tra parentesi, che
l'Islam non potrà mai accettare la logica dei
diritti fondamentali e delle democrazie sulla
base della riduzione privatistica della
dimensione religiosa.
In Francia, in Italia ed in Spagna, dove il
dibattito sulla laicità dello Stato è molto
acceso, normalmente si sostiene che lo Stato
contemporaneo debba essere laico. Ma questa
formula ha bisogno di essere ben interpretata.
Nelle letture più accese infatti "Stato laico"
suona talora come un sinonimo di
"antireligioso". E questo spiega la forte
diffidenza con cui altri popoli, soprattutto
quelli dell'Islam, guardano ad operazioni volte
a proporre una democrazia fondata su una simile
"laicità" quale condizione "indispensabile" per
accedere ai presunti benefici influssi della
modernità.
Obbligare i credenti a comportarsi come se
fossero atei (etsi Deus non daretur), a
censurare la corrispondenza tra la razionalità e
l'origine divina di una determinata
prescrizione, non è imporre loro un prezzo
troppo alto per vivere in società? Soprattutto
siamo sicuri che non tolga qualcosa di positivo
alla società?
Quale potrebbe essere allora, nell'attuale
frangente storico, il ruolo delle religioni in
Occidente? Io credo che ci si debba muovere
verso la configurazione di una sfera pubblica
plurale e religiosamente qualificata, in cui le
religioni svolgano un ruolo di soggetto
pubblico, ben separato dall'istituzione statuale
e distinto dalla stessa società civile benché
all'interno di essa. Da parte del potere
politico si tratta di superare il rapporto di
tolleranza passiva nei confronti delle religioni
a vantaggio di un atteggiamento di "attiva
apertura", che non riduca la rilevanza pubblica
della religione agli spazi concordatari con lo
stato. Da parte delle religioni è necessario
abbandonare autointerpretazioni di tipo
privatistico o fondamentalista per creare il
terreno di un interscambio diretto con le altre
religioni e le altre culture; uno spazio di
dialogo in cui le religioni possono giocare il
loro ruolo nel discorso pubblico sui valori di
civiltà ed esprimere il loro giudizio storico.
[Fonte: SIR 14 marzo 2008]
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