«Europa, non odiarti»
Olivier Clément, Avvenire 19 agosto 2006


Olivier Clément: «L’incontro fra le religioni non ceda al sincretismo. Solo se si rimane se stessi si può amare l’altro» È decisivo riuscire a far accettare ai musulmani una presenza cristiana in mezzo a loro (Pierangelo Giovanetti, da Parigi)

Se ne sta seduto sulla sedia a rotelle e osserva il mondo dalla finestra di casa. Fa fatica a muoversi, ma i suoi occhi sono pieni di luce. Parla lentamente, ed a ogni suo pensiero segue uno spazio di silenzio, che aiuta a comprenderlo in profondità, ad assaporarne l'intensità e la bellezza.

«Io ho scoperto Cristo a poco a poco», racconta Olivier Clément, storico e teologo ortodosso, tra i più stimati e fecondi testimoni dell'Ortodossia in Occidente. «Da ragazzo non si può dire che fossi credente. Vivevo nel Sud della Francia, sulla costa mediterranea. Ricordo gli anni dell'infanzia, la bellezza dei narcisi, i mandorli in fiore, le notti stellate, e soprattutto la luminosità dei volti, la forza che sprigiona lo sguardo. Sono stato colpito dalla bellezza del mondo. E mi chiedevo: ma se l'uomo è semplice materia, da dove proviene questa luce? Poi sono venuti gli studi storici, e la scoperta di quanto il fondamento spirituale permei le culture. L'incontro con i grandi russi come l'esule Vladimir Lossky, la filosofia di Nikolaj Berdjaev, i romanzi di Fedor Dostojevski determinarono la svolta. Attraverso di loro ho scoperto Cristo e il Vangelo, e per me fu un grande sconvolgimento».
Clément sta per compiere 85 anni. Non sta bene di salute, ma la speranza nel domani non lo abbandona mai, nemmeno per un istante. «La grande sventura della nostra società è la paura», dice. «Tutti hanno paura di tutti. Occorre invece conoscere, amare e condividere. E soprattutto non avere paura. È questo che manca all'Europa di oggi».

Olivier Clément, l'Europa ha ancora qualcosa da dire al mondo? Ha ancora una missione spirituale da svolgere?

«Ha senz'altro molto da dire al mondo. Soprattutto credo debba avere il coraggio della sua storia, del suo passato cristiano che a volte sembra voler dimenticare o addirittura rifiutare. L'Europa ha ancora oggi valori profondi da esprimere, e uomini che li vivono autenticamente. Forse il suo limite è di perdersi in divisioni inutili, in contrapposizioni che non hanno ragione di esistere. Valori vi sono anche fra chi non è cristiano. Occorre imparare a scoprirli e a trovare linguaggi comuni in cui esprimerli».

Come è possibile conciliare l'anima cristiana dell'Europa e la presenza di altre fedi, di credi diversi, spesso contrapposti?

«La condizione di partenza è che si rimanga una comunità cristiana viva, fertile, che vive la fede autenticamente. Poi una comunità aperta, accogliente, fraterna, che sa cogliere il positivo che c'è nell'altro e valorizzarlo. In questo incontro delle religioni - che io vedo molto positivo - non dobbiamo però scadere in forme di sincretismo. Occorre rimanere se stessi: è rimanendo se stessi che si può amare anche gli altri».

Giovanni Paolo II amava dire che i due polmoni dell'Europa, Oriente e Occidente, a lungo divisi devono poter respirare assieme. Cosa manca ad una piena unione e comunione tra ortodossia e cattolicità latina?

«Basterebbe rendersi conto che dopotutto non siamo separati, ciò che ci unisce è moltissimo. Così potremmo avere il coraggio di aprire la nostra comunione all'altro. C'è bisogno che tutti, anche nei più alti livelli, abbiano il coraggio di questa comunione. Abbiamo già bellissimi esempi di tale unità. Ci sono reti di amicizie, testimonianze di amore, desiderio di conoscenza reciproca. In Francia vi sono molti giovani cattolici che imparano a dipingere le icone, che cantano secondo la liturgia orientale. È un modo per capirsi e amarsi. E poi l'amore immenso di Benedetto XVI per la liturgia e il suo insistere per darvi la centralità che merita, è qualcosa di molto apprezzato dagli ortodossi, e porterà frutto. Nella comunità di San Gervaso, qui a Parigi, i monaci s'ispirano molto ai canti ortodossi, e anche nel resto della Francia, al sud vi sono comunità che studiano e apprezzano la liturgia ortodossa. Così si cammina verso la piena comunione».

Perché ancora così tanti ostacoli?

«Ci sono difficoltà depositate dalla storia, ma anche incomprensioni perché non ci conosciamo a sufficienza. Vi racconto un fatto che mi capitò anni fa, trovandomi in viaggio in Toscana con mia moglie. Eravamo sul treno zeppo di persone, e una signora ci ha chiesto se eravamo cristiani. Rispondemmo di sì, che eravamo ortodossi. La signora allora volle saperne di più e ci chiese se credevamo in Dio, se nel Padre nel Figlio e nello Spirito Santo, se nella madre di Dio. A tutte le domande rispondemmo sì. A quel punto la signora esclamò: ma allora siete cristiani come noi».

Anche in Europa si parla di un nuovo ruolo pubblico delle chiese e della religione. Come è possibile rispettando la laicità dello stato moderno?

«Creando una forma di laicità aperta, non contrapposta al cristianesimo, nel quadro di una cultura anch'essa aperta. In questo modo credo che tutti potrebbero accettare il ruolo della Chiesa nella società, come avviene in America in cui la religione ha piena cittadinanza e piena accettazione da parte della politica. Occorre trovare la formula in cui la Chiesa possa sempre dire la sua sui problemi che riguardano la persona e le grandi questioni dell'umanità e della società. Qui in Francia su questo punto c'è ancora del cammino da fare».

Secondo lei, è possibile una presenza cristiana nei Paesi arabi? E di che tipo?

«Credo ci possa essere una presenza cristiana anche dentro l'islam. Una presenza discreta, che dia la possibilità ai musulmani di diventare cristiani, ma che non sia gridata. È molto importante riuscire a far accettare questa presenza ai musulmani, e a farla rispettare. Attorno a questo punto si giocherà tutto nei prossimi anni: far sì che la comunità cristiana venga accettata dai musulmani».

Olivier Clément, è più forte la nostra identità di popolo, di religione, di cultura, o la nostra appartenenza all'umanità universale? Come può convivere l'identità di ciascuno con quella diversa degli altri?

«In questo crollo pressoché totale dei valori collettivi, ma non individuali, c'è la tentazione di affermare, anzi di imporre, la propria identità contro quella degli altri. Dimentichiamo che la mia identità si può affermare benissimo con gli altri e non necessariamente contro gli altri. Io posso amare mia moglie, ma questa relazione di affetto non pregiudica rapporti di simpatia e di amicizia con chi mi viene a trovare. L'errore, che troppo a lungo abbiamo commesso anche noi europei, è di concepire l'identità come qualcosa di negativo, di contrapposto, invece che di positivo. È giusto esprimere le differenze e le proprie specificità, ma non per negarle agli altri. Io mi trovo nella mia terra, con le mie tradizioni e il mio passato, ma questa storia e identità che mi contraddistingue si può benissimo aprire agli altri. L'avvenire si giocherà tutto all'interno di un'identità aperta, che si costruisce e arricchisce continuamente».

Se lei dovesse indicare due-tre elementi che costituiscono la cultura europea, cosa individuerebbe?
«La persona, la tecnica e la ricerca. Che poi sono Gerusalemme, Atene e Roma: i nostri retaggi costitutivi».

Come mai i giovani europei sono così ignoranti dal punto di vista religioso?
«Qui a Parigi m'è capitato di sentire dei giovani che, passando davanti alla chiesa della Trinità, pensassero che prendesse il nome dalla stazione del metrò, che si chiama così. Troppo a lungo si è ignorato la religione a scuola, per le lunghe controversie del passato. Ed ora se ne vedono i risultati, con l'ignoranza di intere generazioni in fatto di cultura religiosa. Una responsabilità c'è anche da parte della Chiesa, che si è troppo a lungo contrapposta in negativo con divieti e proibizioni, invece di trasmettere in positivo la bellezza del Cristo».

Secondo lei bisogna ripensare l'insegnamento della religione a scuola?
«Occorre ripensare la cultura in modo globale, includendo la religione. Altrimenti il rischio è di avere un popolo di ignoranti. Ma non si può ignorare quella che è la spina dorsale della cultura, e cioè la religione».

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