Di fronte alle
folle minacciose delle capitali islamiche l’Europa è apparsa
incerta e timida. È giunto il momento di preparare una risposta
della ragione, capace di convincere ed unire, ma anche di
svegliare. Più che per le vignette islamiche, le manifestazioni
(e le violenze) hanno imposto ai media una precisa agenda delle
notizie e indicato a noi un ordine del discorso, il confine tra
ciò di cui possiamo parlare e ciò di cui dovremmo
assolutamente tacere. Ogni messaggio che tocchi ora l’identità
religiosa islamica viene riscritto – come nel caso di
Benedetto XVI a Ratisbona – in funzione di una campagna
aggressiva, di promozione dell’identità, quasi a far superare
il pregiudizio negativo della violenza alle maggioranze che
ancora la rifiutano. La presunta "blasfemia
occidentale" fornisce una nuova piattaforma del consenso di
piazza e nuovi proseliti per l’esercito delle bombe umane.
Ma
se il discrimine tra bene e male è l’appartenenza, un’appartenenza
che la nascita determina, ritroviamo un percorso che l’Europa
ben conosce, e che si chiama totalitarismo. E se il nuovo
collante religioso, oltre a legittimare la violenza, trova nella
disuguaglianza economica le vecchie ragioni che animavano il
conflitto ideologico tra capitalismo e sottosviluppo, l’Europa
è sotto scacco con il suo senso di colpa. Ma di quale Europa
parliamo? Quella delle differenze e delle diversità è assai
lontana dal miracolo degli Stati Uniti, costato una guerra
civile e decenni di lacrime e di sangue.
Da noi l’integrazione
è in crisi. L’Europa dei diritti e delle libertà spesso è
stata a guardare, al di fuori di sé, diritti negati o violati.
Scontiamo quello che gli studiosi non religiosi del nostro tempo
definiscono come il deficit motivazionale dei nostri Stati di
diritto. E però abbiamo respinto con fastidio, e poi rimosso,
il tema delle radici cristiane, senza accorgerci che il mondo
del dopo 11 settembre non è, definitivamente, come la Ragione
illuminista lo aveva immaginato, con alle sp alle ormai il
"pregiudizio religioso".
Dobbiamo, invece, saper
guardare alle religioni come a spazi privilegiati di importanti
esperienze individuali e collettive di cui è difficile fare a
meno (e neanche forse augurabile, se pensiamo alla storia
politica del Novecento). L’Europa ha fin qui scelto, più che
il silenzio, il silenziatore della religiosità salvo la tiepida
difesa dall’antisemitismo o più recentemente dall’islamofobia.
E continua ad essere arido e vuoto il nostro cuore proprio
mentre Benedetto XVI apre al rapporto tra religione e ragione
("non religione e violenza, ma religione e ragione vanno
insieme") o afferma il tema della libertà religiosa e
dello statuto politico della religione nella società. Il tema
delle radici cristiane rappresenta oggi una triplice sfida:
della nostra identità europea; di un universo religioso che
ritorna; di un cristianesimo che – nel porre il tema della
libertà come via del dialogo – è parte del nostro futuro.
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L’Europa sarà a partire dalla sua identità. Un’identità
mobile attenta alle radici e capace di distinguere l’universalità
del senso dagli errori della storia. Non possiamo ignorare il
debito che i valori della modernità hanno nei confronti della
tradizione ebraico-cristiana; né ignorare i limiti della
filosofia nel sostituirsi del tutto e senza residui alla
religione. Non possiamo ignorare che i principi dell’uguaglianza,
della separazione tra sfera di governo e sfera religiosa, della
tolleranza religiosa e delle libertà nascono nei testi, nelle
divisioni e nei conflitti di un percorso cristiano della nostra
Europa. Fino al "magistero dei diritti" che Papa
Wojtyla ha saputo interpretare. Il processo di unificazione
europea ci mette di fronte ai nuovi dilemmi della nostra
identità e dunque al bisogno di un nucleo condiviso: per
costruire in modo aperto questa nuova comunità sovrannazionale,
civile e politica, che si chiama Europa.
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Siamo nel pieno di una rinascita delle identità religiose e
dell’esperienza r eligiosa. Ci sono infatti in Europa milioni
di credenti sinceri, praticanti, ortodossi; rappresentano un
fattore comunque costitutivo del pluralismo morale delle nostre
società. Sono parte di noi, vogliono vivere con noi, siamo noi:
per affermare il rapporto tra religione e libertà, il rifiuto
di qualsiasi legame tra religione e violenza. E la novità di
Papa Ratzinger è rappresentata dal sostegno a una civiltà in
cui si riconosca il valore della libertà e quindi la differenza
tra sacro e razionale.
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E ora la terza sfida: il cristianesimo non come nostalgia di
un passato, ma pensiero vivente che intende aiutare la pace
garantendo la libertà. In primo luogo quella religiosa
E
questa affermazione da un lato offre una ricomposizione della
frattura con il mondo laico; dall’altro aiuta il futuro d’Europa,
di una constituency europea che chiede alle religioni di
definire il loro rapporto con la libertà e con la ragione. Non
a caso la mozione approvata due giorni fa dal Parlamento Europeo
saluta il programmato viaggio in Turchia del Papa «come
contributo al dialogo interreligioso e interculturale».