Uno dei tabù post-moderni più insidiosi, dal quale fino a qualche anno fa
bisognava necessariamente emanciparsi nella Chiesa, è stato il lemma
“Tradizione”. Il rischio, sempre ricorrente, è quello di emanciparsi però non
solo da uno slogan, da una parola, per coniarne una nuova, ma dalla Chiesa
stessa, che dalla Tradizione è strutturata e della Tradizione vive. Infatti, in
diversi livelli ecclesiali, il processo del rinnovamento conciliare, doveva
passare necessariamente per un ammodernato concetto di Traditio, che non
ripetesse semplicemente quello che era stato già detto nei secoli precedenti, ma
che desse alla stessa Chiesa un vigore nuovo e potesse essere inteso come
dinamicità intrinseca, come vivezza del mistero, come progressività in una
conoscenza biblica sempre più matura e intelligente, fino a scartare come non
cattolico, quanto nella Bibbia non risultasse letteralmente scritto. Tradizione
doveva passare attraverso il filtro delle Scritture, viste in qualche modo in
opposizione ad essa e come suo metro di valutazione teologica. Il problema è
che, in realtà, si trattava di un falso problema. Non c’era un’opposizione
irriducibile tra Scrittura e Tradizione, per il semplice fatto che gli agiografi
avevano scritto quanto il Signore aveva detto e quanto gli Apostoli avevano
insegnato nella loro predicazione. La regola della fede sono le Scritture
canoniche in quanto consegnate alla Chiesa, ispirate da Dio in ragione del fatto
che, quei fedeli agiografi, avevano ricevuto dalla Chiesa per mano degli
Apostoli quelle Parole, trasmesse con l’assistenza dello Spirito Santo. La
Tradizione andava a costituire le Scritture e le Sacre Scritture diventavano il
canone fisso di un dogma maturato in una compagine viva, nella Chiesa del Dio
vivo, che così, con la sua stessa vita, diventava metro ultimo e prossimo della
cattolicità. Perciò, la Bibbia non escludeva la Tradizione, né lo potrebbe.
Facendo leva sulla scarsa distinzione dogmatica tra Scrittura e Tradizione di
Dei Verbum – Tradizione è solo la predicazione apostolica e solo la trasmissione
della Parola di Dio? (cf. Dei Verbum 9), oppure l’intera comprensione e
trasmissione della fede, principiante dalla predicazione ed estesa a tutta la
Chiesa, in ragione del Magistero ecclesiastico? –, e sul fatto che la classica
distinzione delle due fonti della divina Rivelazione fu accantonata per chiari
motivi pastorali ed ecumenici del Vaticano II, la divina Tradizione si è
facilmente smarrita ed offuscata, per fare spazio solo alla Bibbia, che
facilmente però scade nel libero esame, in una fede adogmatica, che oggi si
direbbe “fai da te”. Si è smarrito il criterio dell’essere cristiani. La forma
del cattolicesimo. Non basta la Bibbia, è necessaria anche la Chiesa. Quel «non
crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l’autorità della Chiesa», rivolto da
S. Agostino ai donatisti, oggi è di un’attualità imprescindibile e potrebbe
essere riformulato anche così: non avrei il Vangelo, né lo capirei, se non mi
venisse dato e spiegato dalla Chiesa. La Scrittura come regola di se stessa, del
suo esserci, di barthiana memoria, non regge. C’è prima la Chiesa e poi la
stesura del Vangelo, prima la trasmissione di quanto il Signore aveva detto e
fatto e poi la sua elaborazione scritta. Questo “prima” è da intendersi in senso
cronologico, che distingue in modo ontologico l’alterità tra Tradizione e
Scrittura e ne determina la loro impossibile riduzione ad unum. Nella
“Tradizione apostolica”, poi, che riceve e trasmette la Parola del Signore, si
innesta e si salda nell’unicità dello stesso tradere la “Tradizione
ecclesiastica”, quale fedele deposito e accresciuta comprensione nel tempo della
Chiesa di quelle verità di fede, che sempre identiche, crescono con colui che le
medita, lasciando alla Chiesa il compito di scrutarle, di interpretarle
rettamente e di insegnarle senza possibilità di errore. Anche quando le Parole
del Signore furono messe per iscritto, la Tradizione (orale) non perse la sua
efficacia, non solo al fine di interpretare rettamente le divine Scritture, ma
per approfondire la stessa fede. Così, con quella divina suggestio dello Spirito
Santo (cf. Gv 14,26), si arrivò alla comprensione e alla definizione di verità,
quali la Verginità perpetua di Maria, l’Immacolata Concezione, il numero
settenario dei Sacramenti, ecc.: non altre verità, ma quelle che il Signore
aveva insegnato e che la Tradizione aveva ininterrottamente consegnato,
attraverso le Scritture e attraverso la Trasmissione orale dell’unico
insegnamento del Signore Gesù. Unico è il deposito della fede, identico e
immutabile, due però le vie per riceverlo e ritrasmetterlo accresciuto fino a
quando il Signore verrà: quella scritta e quella orale.
Come si vede, Tradizione non è un elemento opzionale, facilmente superabile
tacendone la sua essenza o riducendolo al mero momento dell’interpretazione
scritturistica. Non è neanche un discrimen politico, come purtroppo da diversi
anni a questa parte viene inteso. Sì, forse è stata questa la ragione del suo
progressivo accantonamento: una Chiesa (politicamente) più aperta al domani, al
progresso, al mondo, all’evoluzione (-ismo), avrebbe dovuto rinunciare al dato
antico, al suo passato, al suo ieri. L’ieri era immagine di una Chiesa fissista.
L’oggi quello di una Chiesa capace d’avanguardie. Emanciparsi dalla Tradizione
(dal mistero in definitiva) era l’urgenza dei tempi nuovi. Anche qui però si era
impostato il problema in modo surrettizio: la Tradizione non era identità di un
partito conservatore della Chiesa, era ed è la sua vita, la sua possibilità di
essere, ieri come oggi. Se si rinuncia alla Tradizione, dimenticando quello che
la Chiesa era, si smarrisce il vero fine di quello che la Chiesa dovrà essere.
Un ritorno alla genuina e cattolica identità della Chiesa, è indispensabile per
superare le divisioni nell’unico Corpo di Cristo e per dare speranza al futuro
come presenza dell’unico ed indiviso Cristo nel mondo, per mezzo della Chiesa.
2. Il dato della Tradizione in Dei Verbum:
I numeri della Costituzione sulla Divina Rivelazione riguardanti la
Tradizione orale che maggiormente ci interessano sono il n. 9 e 10, i quali
recitano rispettivamente:
«La sacra Tradizione dunque e la sacra Scrittura sono strettamente congiunte
e comunicanti tra loro. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina
sorgente, esse formano in certo qual modo un tutto e tendono allo stesso fine.
Infatti la sacra Scrittura è la parola di Dio in quanto consegnata per iscritto
per ispirazione dello Spirito divino; quanto alla sacra Tradizione, essa
trasmette integralmente la parola di Dio - affidata da Cristo Signore e dallo
Spirito Santo agli apostoli - ai loro successori, affinché, illuminati dallo
Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la
espongano e la diffondano; ne risulta così che la Chiesa attinge la certezza su
tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura e che di conseguenza l'una e
l'altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e
riverenza» (n. 9).
«È chiaro dunque che la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il magistero
della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente
connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre, e
tutte insieme, ciascuna a modo proprio, sotto l'azione di un solo Spirito Santo,
contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime» (n. 10).
3. Il dato della Tradizione in Trento e nel Vaticano I
Questo insegnamento è contenuto nel decreto Sacrosancta del Concilio di
Trento, promulgato nella IV sessione dell’8 aprile 1546, che dice:
«[…] il sinodo sa che questa verità e disciplina è contenuta nei libri
scritti e nelle tradizioni non scritte, che raccolte dagli apostoli dalla bocca
dello stesso Cristo e dagli stessi apostoli, sotto l’ispirazione dello Spirito
santo, tramandate quasi di mano in mano, sono giunte fino a noi, seguendo
l’esempio dei padri della vera fede, con eguale pietà e venerazione accoglie e
venera tutti i libri, sia dell’antico che del nuovo Testamento, essendo Dio
autore di entrambi, e così pure le tradizioni stesse, inerenti alla fede e ai
costumi, poiché le ritiene dettate dalla bocca dello stesso Cristo o dallo
Spirito Santo, e conservate nella chiesa cattolica in forza di una successione
mai interrotta»[1].
Secondo alcuni critici, tra i quali J.R. Geiselmann, Y. Congar, P. de Vooght,
scomparsa nel testo tridentino definitivo la particella partim e sostituita con
la congiunzione et alquanto innocua, da sola sarebbe stata incapace di definire
la Tradizione come canale della Rivelazione, distinto e indipendente dalla
Scrittura. Per questi, il Concilio avrebbe assunto una posizione agnostica,
limitandosi ad affermare che accanto alla Scrittura ci sono anche tradizioni
apostoliche non scritte. Pertanto concludevano che:
a) la Scrittura contiene tutta la rivelazione («principio, questo, comune sia
ai cattolici che ai protestanti, della sufficienza materiale della “Scriptura
sola”»);
b) la Scrittura per essere rettamente capita necessita della Tradizione
(principio dell’insufficienza formale delle Scritture, non in comune con i
protestanti);
c) di conseguenza la Tradizione ha solo una funzione interpretativa e
dichiarativa della Scrittura.
In realtà, come ripeterà il Vaticano I, la Chiesa attinge e dalla Scrittura e
dalle tradizioni non scritte la sua fede. Pertanto, c’è anche una Tradizione
costitutiva della fede.
Il testo principale del Vaticano I, che tratta della Tradizione, è la
Costituzione Dei Filius, promulgata nella III sessione del 24 aprile 1870 che,
mentre riproduce quasi letteralmente il decreto Sacrosancta del Tridentino, si
intrattiene più diffusamente sulla Scrittura, per rispondere ai problemi e alla
necessità di quel tempo. I Padri del Vaticano I chiedono fondamentalmente due
cose al primigenio testo della Commissione dottrinale: riprodurre fedelmente il
testo del Tridentino, e togliere quelle piccole aggiunte che erano state
apportate. Così recita il testo definitivo:
«Questa rivelazione soprannaturale, secondo la fede della chiesa universale,
proclamata dal santo concilio di Trento, è contenuta “nei libri scritti e nella
tradizione non scritta, che, ricevuta dagli apostoli dalla bocca dello stesso
Cristo o trasmessa quasi di mano in mano dagli stessi apostoli, per ispirazione
dello Spirito Santo, è giunta fino a noi”»[2].
Il p. Umberto Betti, acuto conoscitore del Vaticano I, membro della
Commissione dottrinale del Vaticano II e relatore sul cap. II della Dei Verbum,
commentando questo testo della Dei Filius, riconosce che anche nelle precedenti
formulazioni del testo, «mai è affiorato qualche dubbio sull’uguale importanza
della parola di Dio scritta e non scritta». Pertanto «non è arbitrario pensare
che se i Padri conciliari ne avessero avuto l’occasione avrebbero dato anche
sulla Tradizione un insegnamento ufficiale conforme alla convinzione comune che
ne avevano. Ed essa era appunto che la Tradizione è fonte di rivelazione nello
stesso modo che lo è la Scrittura»[3].
4. Un “nuovo” concetto di Tradizione o una scelta pastorale del Vaticano II?
Perché però il Vaticano II preferisce non ritornare sulla dottrina delle due
fonti della Rivelazione e spiegare la Tradizione come trasmissione della Parola
di Dio e dell’insegnamento degli Apostoli, tralasciando la definizione ormai
matura e opportuna della insufficienza materiale delle Scritture? Chiaramente,
qui si enuclea il fine del Concilio che è pastorale e una delle sue principali
preoccupazioni: l’ecumenismo nel dialogo con gli esponenti della Riforma. Il
fine del Concilio permea anche un documento così importante quale la
Costituzione sulla Divina Rivelazione. La non-infallibilità (generale o
generica) dei documenti del Vaticano II, che non significa affatto fallibilità
ma unicamente non-definitività, perciò suscettibilità di verifica e di
miglioramento, in vista di un eventuale pronunciamento ex cathedra, in questo
caso, mentre spiega la ragione di una scelta e di una riduzione così importanti,
diventa sprone per un’analisi attenta, in ragione soprattutto degli effetti
deleteri di un’ermeneutica della discontinuità applicata alla Costituzione sulla
Divina Rivelazione.
Perciò non si può prescindere dalla scelta pastorale del Concilio, quale vero
metro di confronto dottrinale.
Questa scelta pastorale di dire la dottrina della Tradizione, attraversa
l’intero Concilio e limita allo stesso tempo anche l’insegnamento propriamente
dogmatico al tempo che si voleva incontrare, nulla vietando che il Magistero si
possa nuovamente pronunciare su questo tema in modo definitivo, chiarendo l’in
sé della Tradizione della Chiesa, riprendendo così quanto era già unanime.
Dalla Dei Verbum in poi c’è stata comunque una vera svolta. La Tradizione
normalmente è presentata come sola trasmissione della Scrittura. È un caso il
possente biblicismo impostosi a scapito della Parola di Dio letta con la fede
della Chiesa?
Si è verificata una vera inversione che puntualmente viene così sintetizzata
da Gherardini:
«…la disgregazione dell’identità cattolica, dovuta ad un’insostenibile
reinterpretazione delle fonti cristiane, con conseguente alterazione dei dati
storici, relativizzazione della parola di Dio orale e scritta e una rilettura
della Tradizione apostolica sullo sfondo dello storicismo hegeliano e del
relativismo dottrinale[4].
È prevalso poi l’attributo “vivente” applicato alla Tradizione, inteso come
progresso in sé, mutazione evolutiva, non nell’alveo dell’eodem sensu eademquae
sententia, ma del nuovo voluto per se stesso e spesso in contraddizione con
l’antico. Facendo ingresso la categoria “storia” nell’impianto della fede, la
fede stessa, libera da un canone quale regola fidei proxima et norma normans
fidei, ovvero la Tradizione, è stata soggetta ad ogni divenire. Anche al
divenire della fede. Quell’adattamento al mondo era possibile perché la fede
poteva diventare anche un’altra cosa, poteva assumere anche un’altra forma da
quella cattolica.
La Tradizione della Chiesa, invece, è un baluardo di difesa, un vero
progresso, è il criterio della verità, la sua misura, perché radicata nella
verità di Cristo. Di quell’unica verità è annunziatrice, di quella Verità che
ininterrottamente ci raggiunge oggi, ed è la sola che può assicurare alla fede
la sua consistenza e durata, ieri come oggi e nel futuro.
Grazie a Mons. Gherardini per la sua intrepida lotta volta a difendere il
genuino senso della Traditio, come ricevuta dalla Chiesa nella sua forma
originaria e perciò sempre valida.
Non si tratta di fare un processo al Vaticano II, ma di vedere con realismo i
punti di svolta rispetto alla dottrina definita sulla Tradizione (orale). Questo
non per affossare il Concilio, ma per capirlo correttamente e collocarlo nella
sua giusta dimensione: non un tutto, ma uno sforzo di dialogo pastorale.
p. Serafino M. Lanzetta,FI
[1] DH 1501.
[2] DH 3006.
[3] U. Betti, La Tradizione è una fonte di rivelazione?, in «Antonianum» 38
(1963) 41.
[4] B. Gherardini, Quod et tradidi vobis. La Tradizione vita e giovinezza
della Chiesa, Frigento 2010, p. 230.