1 - Dopo il fermento tridentino che portò la
Tradizione in primissimo piano, l’interesse ad essa si raffreddò, specie a
cavallo tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900.
Nel XX sec. esso riesplose ad
opera del Franzelin e, soprattutto, del Billot. In seguito e fino all’enciclica
Humani
generis di Pio XII (1950), l’interesse conobbe una nuova fase ascensionale,
per addormentarsi di nuovo col Vaticano II ed il rimescolamento delle carte che
unificò Tradizione Scrittura e Magistero.
I nomi che s’eran distinti fin a tutto il 1950 sono noti:
Bainvel, Dieckmann, Deneffe, Geiselmann e tantissimi altri. Il tasto che essi
preferenzialmente battevano era quello della Tradizione
passiva (l’insegnamento
trasmesso): lo stesso Billot non fece eccezione. Tuttavia non ignoravan il
senso
attivo (l’autorità che trasmette l’insegnamento ricevuto), sul
quale insiste maggiormente la teologia contemporanea. Oggi, infatti, si
preferisce sottolinear il Magistero, considerandolo nei successori dei Dodici
come l’Autorità e l’organo della trasmissione e come l’atto ufficiale del
trasmettere.
Attualmente il Sommo Pontefice, continuando da Papa il suo
precedente insegnamento professorale, individua il Magistero nell’ “unico
soggetto Chiesa”. La tesi dipende dal Vaticano II – e ciò senza dire se e fin a
che punto la posizione del Concilio abbia recepito quella del giovane Ratzinger
in quanto stimatissimo ed ascoltato perito del card. Frings – : in realtà il
Vaticano II insegna che la Tradizione, attiva e passiva, ha il proprio soggetto
nella Chiesa ed il vertice propositivo nell’Autorità ecclesiastica. Alla luce di
tale insegnamento può dirsi che la tesi dell’unico-soggetto-Chiesa costituisca
la ragione unificante, in modo forse un po’ confuso, i tre distinti soggetti:
Tradizione, Scrittura e Magistero. E’ infatti noto che la Dei Verbum (DV
8-10) fa un tutt’uno di codesti stessi soggetti, distinguendone soltanto le
funzioni. Ciò significa che la Tradizione è tutta nella Scrittura, che
Scrittura e Tradizione sono un’unica fonte di Rivelazione, e che di essa
è garante il soggetto Chiesa, avendo Gesù lasciato a discrezione di tale
soggetto il tesoro della sua verità rivelata.
Il discernimento e la garanzia del soggetto Chiesa sono opera
del suo Magistero, che per un verso dipende dal suo oggetto(1), è al suo
servizio, non potendo insegnare se non quello che fu rivelato e come tale
tramandato; per un altro, è la sua stessa attività magisteriale, nonché il suo
contenuto, il complesso delle verità magisterialmente insegnate: ben a ragione
si dice d’una determinata dottrina: “questo è Magistero”. Nel primo caso, la
parola “Magistero” è intesa nel senso attivo dell’Autorità che insegna
entro limiti ben definiti, oltre o contro i quali tale Autorità perde vigore e
significato. Nel secondo caso, “Magistero” ha un senso passivo, quello
delle verità insegnate, oppure il senso strumentale dell’organo di cui la
Chiesa si serve per assolvere il suo mandato di “madre e maestra”.
L’assoluto con cui DV 10 sottopone il Magistero al servizio
della Parola di Dio e lo dichiara quindi ad essa “non superiore”, rispetta il
primato della Rivelazione in sé ed in quanto trasmessa: il Magistero può infatti
soltanto ri-trasmettere a modo d’insegnamento o definitorio o
“definitive tenendum” quello e soltanto quello che ha prima ricevuto: “Quæcumque
dixero vobis” (Gv 14,26). Si radica qui l’antico detto: “Nihil innovetur, nisi
quod traditum est”, il cui “nisi” non impedisce il rinnovamento, ma lo
presuppone e l’auspica omogeneo alla verità rivelata e trasmessa.
L’unificazione, pertanto, dei tre soggetti –
Rivelazione/Tradizione/Magistero – non rispettandone la distinzione ed
implicandola solamente per le correlative funzioni, sembra difficilmente
sostenibile: non salvaguarda a sufficienza le peculiarità dei tre distinti
soggetti, di cui non si discutono le interrelazioni, ma queste non sarebbero interrelazioni,
se partissero da un unico soggetto. Diverso sarebbe il presente rilievo se, al
posto della loro unificazione, si fosse messo l’accento sul loro identificarsi
nell’essere e nella vita della Chiesa, determinata dalla divina Rivelazione ed
in funzione di essa, sua vivente immutata ed immutabile Tradizione, ed unica
Autorità divinamente istituita e legittimata a riceverla, conservarla,
interpretarla ed insegnarla: l’accento quindi sulla Chiesa come organo
d’insegnamento e come supremo Magistero tanto in senso attivo quanto in senso
passivo. Peraltro, in considerazione sia dei tre distinti soggetti e delle
relative funzioni, sia della speciale configurazione del Magistero in quanto Chiesa
docente, suo organo d’insegnamento e complesso di verità insegnate, è
lecito chiedersi:
- se non si possa approfondir un po’ meglio la natura e
la funzione del Magistero;
- se il soggetto-Chiesa sia ed in che senso garante del
Magistero passivamente inteso.
2 - Fermo restando tutto quant’è dottrina irreversibile -
Rivelazione, trasmissione di essa da Cristo agli Apostoli, da questi alla
Chiesa, e nella Chiesa per successione apostolica ai e dai vescovi -; fermo pure
restando che tale irreversibilità dipende da pronunciamenti dogmatici –
soprattutto ma non esclusivamente del Concilio di Trento – i quali, a loro
volta, si richiamano alla Sacra Scrittura – p. es. Mt 18,19; Mc 16,15; Lc 24,47
e Gv21,15-18 - se ne deduce un rapporto ineludibile tra la verità salvifica ed
ogni singolo cristiano. Nessun battezzato, però, può presumere l’accesso
immediato e personale a tale verità, alla sua totalità, alla sua
indiscutibilità; ogni essere umano, infatti, è fallibile, porta anzi in sé e con
sé lo stigma di quella colpa d’origine, che privò la natura umana della
giustizia originale e dell’integrità psico-corporea. Una tale alterazione della
natura umana, anche se relativa e non assoluta, ebbe i suoi effetti sulle
quattro potenze dell’anima: intelligenza, volontà, appetito irascibile ed appetito
concupiscibile ne rimasero feriti ed esposti rispettivamente all’ignoranza, alla malizia, alla
debolezza e alla concupiscenza (2). Sta qui il motivo per
il quale l’accesso alla verità rivelata non è prerogativa né effetto della
semplice intelligenza, ferita ed indebolita dal peccato, ma anche e specialmente
della grazia. Per “grazia”, in questo contesto, s’intende la disposizione con
cui Cristo, venendo in soccorso alla natura umana non solo di per sé limitata,
ma anche fiaccata dalle conseguenze del peccato, volle che il predetto accesso
avvenisse attraverso l’istituzione ecclesiale. La Chiesa, in effetti, ebbe la
Parola di Dio dalla diretta attività rivelatrice del Signore e dalla
predicazione apostolica, non solo perché la custodisse quale inestimabile
tesoro, ma anche perché la ritrasmettesse nella sua integrità, e fedelmente
l’interpretasse ed insegnasse, a ciò abilitata dal promesso carisma dello
Spirito Santo “in rebus fidei et morum”(3)
L’identità magisteriale della Chiesa si definisce, dunque,
nei confini della ricezione-custodia-interpretazione-ritrasmissione.
Rispetto alla Parola di Dio rivelata, la sua è Parola di Dio ricevuta-custodita-interpretata-trasmessa.
Se nel suo primo momento (in actu primo) la Parola di Dio è
“norma remota” della vita cristiana, nei successivi momenti della
ri-trasmissione (in actu secundo) è “norma prossima”. Ma
perché tale possa essere e come tale godere dell’infallibilità del promesso
carisma, è imprescindibilmente sottoposta – per questo DV 10/b dichiara che non
è superiore alla Parola rivelata – alla condizione del totale ed indiscusso
rispetto della Parola di Dio in actu primo. Se quella che dovrebb’esser
la Parola di Dio in actu secundo non adegua radicalmente totalmente
omogeneamente, almeno quanto alla sostanza, la Parola di Dio in actu primo, non
potrà affatto pretendere di regolare la Fede ed i costumi dell’esistenza
cristiana; non sarebbe infatti garantita dalla Parola di Dio in actu primo,
non potendo esser una sua contraddizione in actu secundo. In tal caso,
non sarebbe né Parola di Dio, né godrebbe del carisma promesso e della
corrispondente infallibilità. Vale a dire che anche il Magistero ecclesiastico
può, in ipotesi, sbagliare; se l’adeguamento della Parola di Dio,
all’interno d’una speciale contingenza storica, non corrispondesse alla
Rivelazione compiuta da Cristo e chiusa con la morte dell’ultimo Apostolo, non
d’ipotesi dovremmo parlare, bensì di realtà.
3 – Basterà allora riferirsi al “soggetto Chiesa” per aver la
garanzia dell’adeguamento poco sopra indicato?
Alla domanda non può darsi una risposta affrettata e priva
delle distinzioni legate allo stesso concetto di Chiesa. Se dal punto di vista
magisteriale, nei limiti sopra descritti e soltanto in essi, la
Chiesa è indubbiamente l’unico ed infallibile soggetto che
riceve-custodisce-interpreta-trasmette la Parola di Dio, dal punto di vista
delle condizioni, alle quali la sua attività magisteriale è sottoposta, ne è
anche l’oggetto. In ultim’analisi, chi effettivamente sta sul podio con
la bacchetta in mano e dirige l’orchestra non è la Chiesa, ma la Parola di Dio.
La Chiesa esegue obbedisce s’adegua. Resta, comunque, il fatto che
all’interno delle condizioni anzidette, la Chiesa è davvero soggetto: unico,
ho detto, ed infallibile, e quindi norma prossima dell’agire in senso cristiano.
Operando però all’interno di determinate condizioni, ne segue che la Chiesa non
dispone a piacimento della Parola di Dio, né le è consentito di farlo, nemmeno
per adeguare la Parola di Dio al variare delle tendenze culturali nel passaggio
da un’epoca all’altra, l’adeguamento essendo possibile e doveroso esclusivamente
in base al confronto con la Rivelazione in actu primo.
Ci sarebbe anche un’altra risposta, questa: la Chiesa è
l’unico soggetto non d’una Rivelazione pietrificata, ma d’una Rivelazione
vivente. L’una è quella che, chiusa per sempre dalla morte dell’ultim’Apostolo,
è oggi disponibile come sacro deposito delle verità rivelate. L’altra è una
Rivelazione sempre in atto, che si rinnova col rinnovarsi degli eventi
attraverso i quali lo Spirito Santo parla e si manifesta alla guida della
Chiesa, indicando di volta in volta le rotte da seguire. La chiamerei una
risposta “gioachimita”, che però non potrebb’aver una sorte più favorevole di
quella toccata a Gioacchino da Fiore (†1202), il quale per primo la propose: una
condanna(4). E se per caso la Chiesa, dimenticando o correggendo il suo passato,
non la pronunciasse, ognuno sarebbe autorizzato a farlo privatamente, in
ossequio all’ininterrotta Tradizione che, per disposizione di Cristo, ha
veicolato e veicola la Chiesa attraverso le onde lunghe e corte della storia. Il
concetto gioachimita di Rivelazione tornò d’attualità nel pieno dell’attacco
modernista ai valori della Tradizione, quando i campioni del modernismo,
rifiutando con disprezzo una Rivelazione “piovuta dal cielo” e “meccanicamente”
riproposta sempre uguale a fronte di non uguali condizioni storiche,
introdussero un concetto puramente psicologico di Rivelazione: la presenza e
l’azione, sempre imprevedibili, dello Spirito Santo alla guida della Chiesa per
adattarla ai tempi. Come nei tempi andati fiorirono nella Chiesa quei movimenti
spiritualisti(5)che introdussero in essa il “fermento corruttore”(6) della
spiritualità e della teologia, così il fenomeno si rinnoverebbe oggi e domani,
ogni volta che qualcuno presentasse come “rivelata” dallo Spirito Santo qualche
novità sostanzialmente non componibile con il “quod semper, quod ab omnibus,
quod ubique creditum” dell’ininterrotta Tradizione. Si rinnoverebbero in tal
modo i sogni medievali d’un nuovo “Evangelo eterno”, in funzione del quale gli
attuali modernisti e liberali darebbero il loro contributo al magma del cristianesimo-in-divenire,
sognato dai loro predecessori tra la fine del 1800 e gl’inizi del 1900 come
significativa riproposta d’analoghe utopie medievali, mai del resto
completamente tacitate.
4 – Per concludere, mi pare che dal complesso della questione
esposta possa trarsi qualche idea suscettibile di condivisione, o, nella misura
in cui fu oggetto di definizione dogmatica, da doverosamente condividere. P.
es., le seguenti.
a. La Chiesa è divinamente dotata della “potestas
docendi”, in quanto soggetto cui appartiene, per divina disposizione, il
diritto-dovere di definire ciò che fu da Dio rivelato e ciò che non rientra
in tale rivelazione. “Andate in tutt’il mondo, ammaestrate tutte le
popolazioni, battezzatele nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito
Santo ed insegnate loro a conservare tutto quanto vi ho ordinato” (Mt
28,18-20). Non la legge dell’entropia o della relatività, non gli ultimi
sviluppi della scienza, non le sue applicazioni tecnologiche, ma solamente
“le cose dette da me” (Gv 14,26).
b. La Chiesa esercita il suo diritto-dovere d’insegnare
attraverso un organo ufficiale autorevole ed infallibile, vale a dire il Magistero.
La sua infallibilità è garantita dall’oggetto infallibile del suo
insegnamento - le verità rivelate - e dall’assistenza promessagli dello
Spirito Santo: “Lo Spirito Santo che il Padre v’invierà in mio nome, vi
suggerirà tutto quanto io vi avrò insegnato” (Gv 14,26). “Quando verrà lo
Spirito della verità v’introdurrà in tutta la verità: non parlerà in
proprio, ma… di ciò che avrà udito da me e l’annuncerà a voi” (Gv 16,13.14).
La sua autorevolezza, invece, ed ufficialità han la loro legittimazione
nella catena successoria, ovvero nella successione ai Dodici per via
sacramentale. Nonostante la sua legittimazione, il Magistero perderebbe
immediatamente la caratteristica d’ufficialità, autorevolezza ed
infallibilità nel momento in cui trasmettesse qualcosa di non radicato nel
solco del “sempre dovunque e da tutti creduto” e d’estraneo al “senso
comunemente inteso e formulato (eodem sensu eademque sententia)”.
c. Due son le forme dell’insegnamento magisteriale:
quella solenne e quella ordinaria. Ambedue son organicamente
legate al Primato dell’apostolo Pietro e, se intendono rimanere se stesse,
dal detto legame non possono assolutamente prescindere. La prima prevede un
esercizio collegiale ed uno personale. Quello collegiale è proprio del
Concilio ecumenico(7); del Papa, invece, è quello personale della
“locutio ex cathedra”, quando il Papa si pronuncia in materia di Fede e di
Costumi come Dottore e Pastore supremo di tutt’i cristiani(8). La seconda
forma, detta Magistero ordinario o universale, prevede essa
pure un esercizio personale ed uno collegiale. Si verifica il primo quando
il Papa parla in forma non cattedratica – p. es., alle udienze generali, o
con encicliche, o con i documenti ordinari della Curia romana - pur
proponendo dottrine direttamente o no radicate nella Rivelazione scritta ed
orale della Chiesa; si verifica l’altro quando Papa e Vescovi, non già
conciliarmente congregati, ma separativamente presenti in tutto l’orbe
cattolico, si richiamano, in comunione gerarchica col Papa, a dottrine
precedentemente definite, oppure dichiaran ad esse conformi o difformi
alcuni discussi asserti del momento. Ordinario è considerato anche
l’insegnamento del Vescovo diocesano in forma scritta - lettere pastorali,
approvazione dei catechismi e dei libri per l’insegnamento religioso – o in
quella orale dell’ordinaria predicazione, purché sempre in comunione col
Papa ed in stretto rapporto con precedenti rivelati e/o definiti (9)
E’ pertanto evidente che, quando si parla di Magistero, si fa
riferimento al vertice della Chiesa, non perché esso sia al di sopra d’ogni
limite e condizione – ne ha, infatti, e li ho indicati – ma perché, entro quei limiti, nessun’altra istanza può
attenuar o imbrigliare l’autorità e la libertà del Magistero. Autorità e
libertà, dunque, tutelate dall’indiscusso e fedele rispetto dei limiti
accennati(10). La sorgente, infatti, alla quale s’abbevera il Magistero e dalla
quale trae tutto il suo insegnamento è la divina Parola “scritta” ed “orale”, e
con riferimento ad essa i simboli della Fede, le definizioni conciliari, i
pronunciamenti cattedratici. Su questa base il Magistero s’appoggia, in essa
affonda saldamente ogni suo pronunciamento, ad essa lo adegua, con essa lo
confronta per coestenderne al presente e allo stesso futuro l’indiscussa
validità. Le sue formule posson esser giustamente cambiate, se pur con somma
cautela e mai per un progresso dogmatico intrinseco, né per quello che
intendesse integrare nel dogma culture ed ideologie del momento; qualunque
cambiamento s’autentica nella piena corrispondenza tra la dottrina proposta e la
base anzidetta. Alla gradualità di tale corrispondenza corrispondon infatti, con
proprie differenze e sfumature, le formulazioni con cui vien espressa
tecnicamente la Fede: “dogma cattolico”, “dogma di Fede”, “dottrina di Fede”,
“dottrina rivelata”, “dottrina contenuta nella Scrittura”, dottrina
tradizionale”, “dottrina esplicitamente/implicitamente rivelata”, “prossima alla
Fede” ed altre. Ma tutte segnalano la capacità discriminante del Magistero che,
garantito dalla sua base, cioè dalla Parola di Dio scritta ed orale,
ne analizza i contenuti, li sottrae al sovrapporsi di dottrine fallaci, li
accorda sul diapason della divina Rivelazione e ne fa succo e sangue
dell’esistenza autenticamente cattolica.
22 marzo 2011
1) DV 10/b: “Quod quidem Magisterium non supra Verbum Dei
est, sed eidem ministrat, docens nonnisi quod traditum est”.
2) Dovrei citar in lungo ed in largo: per brevità mi limito a
S. TOMMASO, STh I, 85, 3. Quanto alla questione in sé, si tenga presente
che l’indebolimento delle forze naturali s’oppone alla tesi protestante della
corruzione naturale: ancor una volta S. Tommaso fa chiarezza: “Ea quæ sunt
naturalia, homini neque subtrahuntur neque dantur per peccatum”, STh I, 98,2.
3) Ci si può chiedere che cosa ci sia ancora di cattolico in
chi banalizza la formula fide set mores come “tardo-medievale”,
“canonizzata dal Tridentino” e generatrice d’ “astrattezza dottrinale,
giuridismo istituzionale e settorialismo, come se il Vangelo e la Fede non
fossero che la norma remota della vita cristiana”, ALBERIGO G., Dinamica
assembleare e conclusioni conciliari, in FATTORI M.T.-ALBERIGO G. (a c.
di), L’evento e le decisioni. Sudi sulle dinamiche del Concilio Vaticano II, Il
Mulino, Bologna 1997, p. 520 e n. 23.
4) Mi riferisco alla condanna che il Lateranense IV (11-30
nov.1215) fulminò contro le opere – alcune pubblicate da suoi discepoli – del
ben noto abate cistercense, cf DENIFLE H.-CHATELAIN E., Carthularium
Universitatis Parisiensis, Parigi 1889ss, v. 1, p.81 (n. 22), e DS 803-808.
5) Cf al riguardo DE LUBAC H., La posterité spirituelle de
Joachim de Flore, due voll., ed. Dessain & Tobra, Parigi 1979.
6) L’espressione è di CHENU M.-D., La théologie au XIIe Librairie
Philosophique Vrin, Parigi 1957, p. 82.
7) VATICANUM I, Constit. dogmatica “de Ecclesia” (18 luglio
1870), DS 3069.
8) Ibid., cap. IV: “…cum ex cathedra loquitur, id est, cum
omnium Christianorum pastoris et doctoris munere fungens pro suprema sua
Apostolica auctoritate doctrinam de fide vel moribus ab universa Ecclesia
tenendam definit”, DS 3074.
9) Cf PARENTE P., Theologia fundamentalis, ed.
Marietti, Roma 19472, p. 226-227
10) Mi fermo ai limiti qui in parola, senza dimenticare,
ovviamente, che la tutela è pure “carismatica”, dovuta all’assistenza dello
Spirito Santo secondo le ripetute promesse di Cristo. E tanto dico senza
rifugiarmi sotto “il comodo ombrello dello Spirito Santo”, per usar
un’espressione del non sempre entusiasmante ALBERIGO G., Dinamica
assembleare,cit. p. 518.