Domenico Montalto, su
"Avvenire" del 4 febbraio 2004
Le
riflessioni di un ebreo e di un battista alla presentazione dell'ultima
opera del fondatore di Comunione e Liberazione
La Chiesa
non è un'organizzazione né un discorso, ma una vita e una compagnia
che da duemila anni risponde al grido dell'uomo, alle sue domande più
urgenti e imponenti circa il senso dell'essere sulla terra. Questa è
la Chiesa secondo l'ultimo libro di monsignor Luigi Giussani, Perché
la Chiesa che conclude la trilogia del PerCorso, presentato
l'altra sera a Milano. La serata si è rivelata un momento raro di
emozione, di riflessione, di ecumenismo.
Ecumenismo
non di facciata ma sostanziale, quello che nasce dal confronto aperto
dei cuori e delle intelligenze, dove non si annacquano le differenze
ma si esaltano le cose che uniscono.
È
infatti singolare - ma non sorprende - che a parlare con accorata
passione dell'insegnamento di Giussani siano stati un ebreo, Claudio
Morpurgo, vicepresidente delle comunità ebraiche italiane, e un
teologo protestante, Archie Spencer, ministro della Chiesa Battista
canadese.
Entrambi
hanno riconosciuto nell'evocazione drammatica della libertà personale
il tratto originale e attualissimo del metodo giussaniano, di quel suo
approccio all'umano che giusto cinquant'anni fa, e proprio a Milano,
fu all'origine del movimento di Comunione e Liberazione; l'inizio di
una storia straordinaria che, nel tempo, avrebbe coinvolto migliaia di
persone in 70 Paesi del mondo.
A questo
proposito il terzo relatore, don Stefano Alberto, docente di teologia
alla Cattolica, ha ricordato le parole dello stesso Giussani: «Non ho
voluto fondare un movimento, ma comunicare agli altri ciò che ha
mosso e commosso la mia vita». Ovvero Cristo incarnato, cioè la
Chiesa.
Questa responsabilità della persona di fronte al suo Creatore è
stata sottolineata da Morpurgo: «La voce di Giussani - ha detto -
chiama al coraggio, alla responsabilità; egli è un maestro che parla
all'uomo così com'è, perché il singolo è un valore assoluto». Per
Morpurgo, Giussani «esorta l'uomo a vivere la santità sempre, e in
questo risulta vicinissimo alla sensibilità ebraica, perché ogni
singola azione umana vive del rapporto con l'Origine. Il modello di
libertà indicato da "Gius" è ampio, e giudica una società
che invece ghettizza le fedi. Per questo la sua voce è potente,
rivoluzionaria, artefice di un vero ecumenismo: l'incontro è una
responsabilità a cui nessun uomo di fede può sottrarsi».
Dal canto suo, Spencer ha letto nell'«antropologia cristologica» di
Giussani, nella sua forte e fondativa affermazione della Chiesa quale
Corpo mistico del Salvatore, una potente ma costruttiva «critica alla
soggettività protestante».
Secondo
Spencer, proprio la «perdita del senso della comunità è stata una
delle grandi tragedie del protestantesimo» visto che invece «il vero
essere umano è una persona che appartiene a Cristo, la cui presenza
è data dalla comunità». Per Spencer il tesoro della testimonianza
di Giussani è che «una vera esperienza religiosa non è mai
scollegata dall'umanità concreta, dalla comunità. Il senso religioso
è riconoscimento del mistero, non soggettivismo. Da "Gius"
noi protestanti dobbiamo imparare».