«India. I cristiani tra due fuochi»
Sandro Magister, 29 novembre 2008

Sono i soli a rifiutare il ricorso alla violenza, in un paese insanguinato da un doppio fondamentalismo in armi, musulmano e indù. Da Mumbai all'Orissa, l'analisi di conflitti interreligiosi che non sembrano aver fine

[I recenti conflitti tra indù e cristiani in India,Michael Amaladoss]

L'attacco terrorista islamico a Mumbai è scattato mentre ancora i cristiani dell'India sono sotto i colpi delle violenze indù in Orissa e in altre regioni. I crudi bilanci delle due offensive sono simili. Più di 160 gli uccisi in un sol giorno nella capitale economica dell'India. Almeno 118 quelli certificati in Orissa in tre mesi, ma altre fonti spingono la cifra fino a 500. E poi le centinaia di feriti, le chiese distrutte, le migliaia di case bruciate, le decine di migliaia di fuggiaschi.
Stretto tra i due fondamentalismi aggressivi musulmano e induista, il "piccolo gregge" cristiano dell'India si distingue per il rifiuto di ricorrere alla violenza. L'uso della forza lo reclama dall'autorità costituita, che però manca al suo dovere di esercitarlo. Dalla comunità internazionale arriva un conforto anch'esso debole, distratto. Nemmeno tra i cristiani di tutto il mondo si attiva una forte solidarietà a favore delle vittime appartenenti alla propria stessa fede, siano esse in India o in altre regioni del globo.
Giovedì 27 novembre, nelle stesse ore in cui Mumbai era sotto attacco, Benedetto XVI ha lanciato un nuovo appello per la liberazione di due suore missionarie rapite due settimane prima da bande musulmane tra il Kenya e la Somalia. Sempre nelle stesse ore, al Cairo, diecimila musulmani hanno assalito impunemente una chiesa gremita di cristiani copti in preghiera, la cui colpa era di aver aperto un nuovo luogo di culto.

Colpendo al cuore Mumbai, i suoi hotel di lusso, la sua clientela occidentale, l'attacco musulmano ha ottenuto una grandissima visibilità sui media di tutto il mondo. Le vittime designate erano americani, inglesi ed ebrei. Ed è bastato questo a dare una scossa alla geopolitica mondiale. Ma ciò non giustifica che si trascurino le quotidiane violenze interreligiose che insanguinano il continente indiano, e che probabilmente avranno una recrudescenza nel futuro prossimo, con nuovi scontri tra musulmani e indù.

La persecuzione che colpisce i cristiani in India non è un fenomeno soltanto locale. Alcuni dei moventi che la generano sono esclusivi di una società divisa per caste. Ma il caso dell'India è specchio di fratture molto più generali, che dividono il mondo intero lungo crinali che sono anche religiosi.
Basti pensare a quanto diversa e confliggente può essere l'idea di martirio: puro dono della vita per gli uni, arma d'uccisione efferata per altri. In questo tormentato paesaggio globale, i cristiani sono in India vittime pacifiche e maltrattate. Sono in Iraq l'unico gruppo religioso non armato e anche per questo il più perseguitato. Sono negli angoli più disastrati e ostili del mondo – la Somalia, ma non solo – quelli che restano accanto agli "ultimi" mentre tutti gli altri sono fuggiti via.
Di ogni situazione di conflitto interreligioso vanno analizzati a fondo sia i connotati generali, sia quelli particolari. Ed è quanto fa qui di seguito, per il caso dell'India, il teologo e gesuita indiano Michael Amaladoss, che opera tra Delhi, Bangalore e Chennai, autore di libri importanti tradotti in più lingue.
La sua analisi – scritta prima dell'attacco terroristico di Mumbai, ma quasi presagendolo – è apparsa sull'ultimo numero della rivista "Il Regno", pubblicata a Bologna dai religiosi dehoniani:


I recenti conflitti tra indù e cristiani in India
di Michael Amaladoss

I conflitti tra indù e musulmani sono stati un fenomeno endemico in India per circa un secolo. Sono stati una caratteristica specifica dei periodi delle feste religiose, quando ogni comunità cerca di manifestare pubblicamente la propria esistenza. Il bersaglio di tali conflitti era costituito solitamente dai musulmani, poiché per la gran parte la polizia e la burocrazia erano favorevoli agli indù. Oggi la situazione sta peggiorando, dal momento che i musulmani preferiscono reagire con attacchi terroristici. Gli indiani di solito incolpavano di tale terrorismo i pakistani. Quest’anno si sono resi conto che i terroristi sono nati e cresciuti in casa propria, anche se possono aver ricevuto un qualche addestramento all’estero.
I conflitti tra indù e cristiani nel passato erano sporadici. Ce n’è stato uno nell’India del Sud circa vent’anni fa. In anni più recenti alcuni cristiani sono stati aggrediti e i loro edifici di culto dati alle fiamme nelle aree tribali del Gujarat. Gli assalti che si sono verificati da agosto nello stato dell’Orissa e in altre regioni sono stati fino ad ora i più gravi, prolungati ed estesi. Il 24 agosto 2008 un sannyasi (dal sanscrito "rinuncia", "abbandono"; è colui che ha raggiunto il culmine del cammino ascetico) indù, lo Swami Laxmananda Saraswati, e quattro dei suoi seguaci sono stati uccisi nel distretto di Kandhamal, nelle regioni montagnose dello stato dell’Orissa. Il corteo funebre per la cremazione della sua salma è stato fatto passare attraverso molti villaggi. Alle popolazioni indù è stato detto che dietro all’uccisione dello Swami c’erano i cristiani. Questo ha spinto le folle indù ad aggredire i cristiani, ad assaltare le loro case, i loro istituti e le loro chiese in tutto il distretto. Molti cristiani per salvarsi sono fuggiti nella giungla. Le loro case sono state saccheggiate e distrutte.
Ecco le cifre della distruzione nell’Orissa tra il 24 agosto e il 4 ottobre 2008: persone uccise 59, chiese o edifici di culto distrutti 151, scuole e orfanotrofi assaltati 13, case date alle fiamme 4.400, villaggi cristiani distrutti 300, feriti 15.000, senzatetto rifugiati in campi profughi 50.000. Una suora è stata picchiata e stuprata. Verso la metà di settembre il conflitto si è esteso allo stato del Karnataka, nel Sud, lungo la costa occidentale: chiese assaltate 22, feriti 20. Sono state attaccate anche 4 chiese nel Madhya Pradesh, 3 nel Kerala, 1 nel Tamil Nadu e 1 a Nuova Delhi.
Un gruppo maoista ha rivendicato la responsabilità dell’uccisione dello Swami e dei suoi compagni, affermando di averlo fatto perché le vittime stavano promuovendo divisioni tra il popolo in nome della religione. Ma gli indù hanno preferito accusare i cristiani di essere i mandanti degli omicidi. Il governo locale ha nominato una commissione giudiziaria per scoprire la "verità", ma ciò richiede solitamente un paio d’anni prima di giungere a una qualche conclusione e questo sistema è un modo per eludere la responsabilità immediata.

Il movimento Hindutva

Il gruppo che sta dietro la violenza è il movimento Hindutva, ossia della identità indù. Si tratta di un movimento identitario che sfrutta il sentimento religioso per scopi politici. Non sono veramente dei fondamentalisti dal punto di vista religioso, in quanto la religione è soltanto uno strumento politico. Questo movimento ha circa novant’anni di vita e numerose ramificazioni. Alla base vi è un gruppo chiamato Rashtriya Swayamsevak Sangh, RSS, "Organizzazione nazionale di volontari", che raccoglie gli indù e dà loro un addestramento paramilitare, instillando un forte senso dell’identità e una ferrea disciplina personale.
L’ala politica è il Bharatiya Janata Party, BJP, Partito popolare indiano. Questo partito è stato al potere nel governo centrale prima dell’attuale coalizione di governo, e attualmente è al comando in tre stati: Gujarat, Madhya Pradesh e Rajasthan. Nell’Orissa e nel Bihar fa parte di coalizioni di governo guidate da altri partiti locali. L’ala culturale è il Vishwa Hindu Parishad, VHP, Consiglio mondiale indù. La truppa è il Bajrang Dal, Brigata di Hanuman, ossia del dio-scimmia che stava a capo dell’esercito di Rama, un avatar divino, incarnazione di un essere celeste. Vi sono altre organizzazioni per studenti, lavoratori, sannyasi ecc. Il gruppo nel suo complesso è chiamato Hindu Sangh Parivar, Gruppo della famiglia indù.
L’ideologia dell’Hindutva si autoqualifica come nazionalismo culturale. Ritiene l’induismo una cultura più che una religione, che determina l’identità nazionale indiana. Afferma che le altre religioni indiane come il buddhismo, il giainismo e il sikhismo appartengono al più ampio ceppo indù. Per un indù l’India non è solo la madrepatria, ma anche una terra santa. L’islam e il cristianesimo sono considerati religioni straniere dal momento che le loro terre sante sono al di fuori dell’India. L’India deve diventare una nazione indù. Le religioni straniere saranno tollerate. Sebbene questa ideologia sia nata nel 1920 dal libro intitolato "Hindutva" di Vinayak Damodar Savarkar, il desiderio della libertà indù dalla dominazione musulmana e poi cristiana britannica, che aveva imperato per quasi mille anni, era già presente e vivo nella seconda metà del XIX secolo.
Quando l’India nel 1947 divenne indipendente, la leadership di Gandhi e di Nehru optò per uno stato "laico" che rispettasse equamente tutte le religioni. Tuttavia un certo orgoglio indù e una discreta antipatia verso i musulmani per il loro fondamentalismo e verso i cristiani per il loro proselitismo oggi sono diffusi tra gli indù a tutti i livelli, anche se non la manifestano secondo modalità violente.
Una strategia che il movimento Hindutva segue per affermarsi è alimentare tra gli indù la paura di essere una minoranza. Sebbene gli indù siano in India l’80 per cento della popolazione, viene detto loro che a livello mondiale sono una minoranza rispetto ai più potenti cristiani in Europa e nelle Americhe e ai musulmani in Medio Oriente, Pakistan, Bangladesh, Indonesia, Malaysia ecc. Inoltre la presenza cristiana viene presentata come una continuazione del colonialismo. In una democrazia i numeri contano, ed esponenti dell’Hindutva hanno accusato musulmani e cristiani d’incrementare i loro adepti, i primi mediante il loro più alto tasso di natalità, i secondi mediante le conversioni. Anche le conversioni sono viste come un oltraggio alla loro religione.

Il problema delle conversioni

Convertirsi non è semplicemente cambiare religione, ma ha conseguenze sociali e politiche. Ovviamente musulmani e cristiani non votano per il partito indù. Le poche conversioni al cristianesimo riguardano soprattutto i dalit – gli "intoccabili" che stanno nel gradino più basso della gerarchia delle caste – o i tribali, poveri e sottosviluppati, ma sfruttati e dominati dai più ricchi indù. I tribali seguono anche religioni naturali diverse dall’induismo, tuttavia viene fatto ogni sforzo per integrarli nel ceppo indù. I poveri che si convertono al cristianesimo ricevono un’istruzione migliore e una migliore assistenza sanitaria grazie alle istituzioni cristiane. Diventano consapevoli dei propri diritti e cominciano a richiederne il riconoscimento. In quanto cristiani non appartengono, almeno in senso tecnico, al sistema sociale gerarchico indù. La conversione, di conseguenza, affranca i dalit e i tribali e questo non viene certo apprezzato dagli indù economicamente e socialmente dominanti che li hanno sfruttati fino a oggi. Questo è causa di frizioni e di conflitto.
Sebbene la costituzione indiana garantisca a tutti i cittadini il diritto di praticare e di propagare qualsiasi religione, alcuni stati tra cui il Gujarat, l’Orissa, il Madhya Pradesh e il Rajasthan hanno approvato leggi che proibiscono la conversione sia mediante la forza sia mediante la persuasione. Le persone che vogliono convertirsi devono informare il funzionario del governo locale. Questa legge può essere usata per perseguitare missionari e nuovi convertiti, anche se questo non si è mai verificato su vasta scala. In alcune aree vi è un piano per riconvertire la popolazione all’induismo.
Il BJP non è in grado di raccogliere da solo più del 20-25 per cento dei voti nelle elezioni nazionali, ossia, senza coalizzarsi con partiti regionali. Tuttavia esso per affermarsi segue la strategia di dividere gli indù dagli altri gruppi mediante un’azione di falsa propaganda contro musulmani e cristiani. Essi arrivano a fare uso della violenza contro le minoranze solamente negli stati in cui il partito indù è al potere.
Il governo, che punta al sostegno politico, finge di non vedere le attività di questi indù. La polizia, la cui maggioranza è indù, tende a simpatizzare con loro e a non imporre il rispetto della legge, a meno che non vi sia una energica direttiva da parte del governo. In caso di manifestazioni, la polizia è spesso numericamente molto inferiore e impotente. Essa non intraprende alcuna azione di forza se non quando viene attaccata. Per questo motivo, a volte il governo per imporre la legge e riportare l’ordine deve far arrivare rinforzi da fuori del proprio stato, inviati dal governo centrale.

Il caso dell'Orissa

Questo è lo sfondo di ciò che è accaduto in Orissa. Qui la maggior parte delle violenze ha avuto luogo nel distretto di Kandhamal. La maggioranza della popolazione (650.000) è qui costituita da poveri: tribali (52 per cento) e dalit (18 per cento). I cristiani sono circa il 16 per cento, mentre nell'intero stato sono solo il 2,4 per cento. Il 60 per cento dei cristiani appartiene al gruppo di dalit chiamati panas. L’area è principalmente agricola e sottosviluppata. Si estende all’interno dello stato ed è di difficile accesso. Fra i tribali e i dalit vi è sempre stata tensione sia sul versante economico sia su quello sociale. Economicamente i dalit sembrano stare un po’ meglio. Facendo da intermediari in operazioni di prestiti di denaro da parte ricchi mercanti venuto da fuori hanno approfittato di questo ruolo per impadronirsi di terre appartenenti ai tribali. I tribali ovviamente non lo sopportano e vi si oppongono.
La costituzione prevede programmi di lotta alle discriminazioni delle minoranze, assegnando sia ai tribali sia ai dalit posti riservati negli istituti scolastici e posti di lavoro nell’amministrazione pubblica. Ma i dalit che diventano cristiani non sono classificati più come dalit dal governo, dal momento che il sistema delle caste è considerato un fenomeno essenzialmente indù. I dalit allora si sono mobilitati per essere riconosciuti come tribali, categoria alla quale essi rivendicano di aver appartenuto in origine. Ai dalit indù essere classificati come tribali faciliterebbe il possesso e il controllo delle terre, dal momento che vi sono leggi che cercano di tutelare la proprietà terriera. Ai dalit cristiani permetterebbe di avere accesso ai programmi contro la discriminazione delle minoranze, dal momento che i tribali, a differenza dei dalit, sono riconosciuti come tribali anche quando diventano cristiani. Questo implicherebbe anche un qualche tipo di avanzamento sociale per i dalit perché così non farebbero più parte del sistema castale indù.
Ma i tribali si sono opposti perché ciò significherebbe un dominio nei loro confronti da parte dei dalit, che godono di un maggior livello d’istruzione e di un maggior benessere economico, poiché occuperebbero i posti riservati nelle strutture scolastiche e nel mercato del lavoro nella pubblica amministrazione. Vi sono stati scontri occasionali tra i due gruppi da alcuni anni a questa parte. La novità degli ultimi anni è che i gruppi dell’Hindutva hanno aggiunto una dimensione religiosa a questo conflitto socio-economico, organizzando i tribali come un gruppo indù avversario dei dalit in gran parte cristiani.
Il sannyasi che è stato ucciso era attivamente impegnato nell’organizzazione politica dei tribali come gruppo indù militante. Quando è stato ucciso, i gruppi dell’Hindutva hanno approfittato dell’occasione per incolpare i dalit cristiani di aver architettato il suo assassinio e hanno spinto i tribali indù a rivoltarsi contro di loro. Tra persone povere, oppresse, in gran parte disoccupate è facile trovare giovani pronti a usare la violenza come mezzo per dare sfogo alle proprie frustrazioni, specialmente se c’è la possibilità di saccheggiare le case dei cristiani.
Dal momento che la regione è piuttosto isolata rispetto alle normali vie di comunicazione e la presenza della polizia è sporadica, è facile per gruppi di predatori distruggere con armi improvvisate e benzina tutto ciò che si para loro davanti. L’unica cosa che i cristiani indifesi possono fare è fuggire nella foresta per salvarsi la vita. Quando vi è soltanto un’unica strada stretta per raggiungere un luogo è facile rallentare l’avvicinamento delle auto della polizia, abbattendo un albero e gettandolo di traverso nella strada.
Anche se la polizia fosse stata presente, sarebbe stata comunque di forze troppo esigue per fronteggiare una sollevazione armata. Il governo dell'Orissa è alleato del BJP e non è stato né pronto, né disponibile, né sollecito né zelante nel tenere a freno la violenza. La legge e l’ordine sono responsabilità di ogni singolo stato stato, per cui il governo centrale non può intervenire in maniera diretta, a meno che questo non sia richiesto dallo stato locale. Anche quando il governo centrale invia alcune forze paramilitari, lo stato deve farne un uso effettivo.
Vi è anche il sospetto che, dal momento che le elezioni per il parlamento nazionale si terranno tra pochi mesi, le forze dell’Hindutva stiano usando tali conflitti come un mezzo per mobilitare il voto indù diffondendo paura e agitazione. Il governo centrale sta più che mai attento a non prestarsi al loro calcolo elettorale, benché abbia fornito consigli e chiesto che il governo locale gli inviasse rapporti sulla situazione, come da norma costituzionale.
Se la situazione dovesse portare a un collasso totale della legge e dell’ordine, il governo centrale potrebbe destituire il governo locale. Ma si tratta di un atto politico e il BJP ha già messo in guardia il governo centrale dall’intraprendere questa strada. Con il pretesto che è un’area turbolenta, diversi organismi ecclesiali e altre ONG indipendenti non sono stati autorizzati a entrare nella regione per portare aiuto alla gente che si trova ancora nei campi profughi. Vi sono leader ecclesiali che vivono sotto minaccia. Il movimento Hindutva sta costringendo i cristiani a riconvertirsi all’induismo se desiderano fare ritorno ai loro villaggi e alle loro case ormai distrutte.

La reazione dei cristiani

Sebbene vi siano state provocazioni anche in precedenza, i cristiani non erano mai andati oltre a delle blande proteste. Mentre la Chiesa cattolica e le principali Chiese protestanti non sono troppo attive nel fare conversioni, le Chiese pentecostali sono molto attive e addirittura aggressive, condannando le altre religioni come diaboliche. Ma gli indù non fanno distinzioni nei loro attacchi. Ora, per la prima volta, tutti i cristiani si sono uniti in un’azione comune di autodifesa.
Tutte le istituzioni cristiane in tutta l’India, in settembre, sono rimaste chiuse per una giornata in segno di protesta, e hanno fatto pressione in vari modi sul governo centrale perché prendesse provvedimenti adeguati. A Delhi i cristiani hanno fatto un pubblico sit-in di protesta per un’intera settimana e l’hanno poi concluso con un corteo alla tomba del Mahatma Gandhi, pregando per l’armonia nella comunità. Questa dimostrazione di protesta è stata condivisa da molti leader di altri gruppi religiosi.
Un altro sviluppo positivo è stato il fatto che i cristiani hanno spostato la questione del conflitto dal piano religioso a quello dei diritti umani e della società civile: il diritto e la libertà di ogni indiano di praticare la propria religione. Grazie a questo, persone di tutte le religioni e ideologie si sono unite alla protesta dei cristiani. Sono state contattate le commissioni per i diritti umani dell'India e delle Nazioni Unite.
Un gruppo di sfollati ha fatto appello alla commissione delle Nazioni Unite per i rifugiati perché li riconosca come rifugiati. Una parte dei media e della magistratura ha dato ampio sostegno. La commissione nazionale per le minoranze ha visitato l’area, ha condannato l’inazione del governo locale e ha chiesto un intervento del governo centrale. Sono state avanzate richieste di vietare alcune delle organizzazioni più attive dell’Hindutva, come il Vishwa Hindu Parishad e la Bajrang Dal. In tal modo la Chiesa sta percorrendo una via non violenta, ma politica, per fare pressione e cercare giustizia. Come potenza mondiale emergente, gli indiani devono essere attenti anche all’opinione della comunità internazionale.
Penso che, se nel paese vi saranno maggiore sviluppo economico, più giustizia, più uguaglianza e meno povertà, vi sarà anche meno violenza perché vi saranno meno soldati impegnati in battaglie per conto di altri. Fino ad allora i politici continueranno a usare temi come la casta, l’appartenenza etnica e la religione per provocare conflitti.
A Mumbai un gruppo si è mobilitato contro immigrati da altre zone dell'India, giunti in città in cerca di lavoro. All’inizio di ottobre sono scoppiati scontri nel Nordest fra tribali del luogo e immigrati musulmani provenienti dal Bangladesh. Un paio di mesi fa nel Kashmir vi è stata una mobilitazione di musulmani, durata un mese, contro il governo perché quest’ultimo aveva concesso in affitto un terreno a un ente pubblico indù per facilitare la sistemazione di grossi gruppi di pellegrini.
Il conflitto tra indù e musulmani sta peggiorando e sta assumendo connotazioni terroristiche. E così questa storia andrà avanti ancora. Che cosa significa "dialogo interreligioso" in una situazione del genere? Non possiamo dialogare con fondamentalisti e identitari. Il dialogo dovrà cominciare dalla risoluzione dei conflitti per poi spostarsi al livello della collaborazione per il rispetto dei diritti umani nella società civile, prima di raggiungere il livello religioso.


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