I dissidenti dell'Islam: E
Teheran arrestò il filosofo
L'ultimo
intervento di Ramin Jahanbegloo, il filosofo non-violento iraniano
arrestato un mese fa dalla polizia di Teheran
«Essere pro o contro l’Occidente non è
più il problema; quello vero è chi siamo noi. E non possiamo rispondere
senza sentirci parte del mondo e responsabili di quello che vi accade»
Così come c'era da
aspettarsi, i colloqui tra Europa e Iran sono praticamente giunti a un
punto morto. L'Unione Europea ha aderito alla decisione degli Stati Uniti
di portare il caso Iran alle Nazioni Unite per la messa in atto di
eventuali sanzioni.
Va comunque segnalato che i media europei e di altri
Paesi del mondo di solito tralasciano i molteplici aspetti della società
iraniana. Il Paese si trova nel cuore del Vicino Oriente ma la sua
popolazione non è araba. È prevalentemente musulmana, ma shiita. È un
Paese ricco ma sottosviluppato. Ha subìto un grande sfruttamento, eppure
non è mai stato colonizzato. È un mosaico etnico come l'India, ma la sua
unità nazionale è solida. Inoltre - ultimo punto ma non meno importante
- l'Iran è uno dei pochi Paesi musulmani con una società civile vitale e
attiva.
Oggi, in Iran, la società civile è oggetto di un intenso
dibattito sui limiti della responsabilità e sulla decentralizzazione
politica del Paese. I protagonisti della società civile iraniana hanno a
cuore e si occupano delle strutture che collegano il governo e i cittadini
e sono importanti così come lo erano i membri della società civile
durante il periodo comunista in Polonia e nell'ex Cecoslovacchia.
Negli
ultimi 15 anni, il ruolo degli intellettuali è stato fondamentale per
dare una boccata d'aria fresca alla società civile iraniana. A differenza
degli intellettuali rivoluzionari della fine degli anni Settanta e inizi
degli Ottanta, che non sono riusciti a offrire progetti alternativi al
discorso dominante della rivoluzione iraniana, i cosiddetti intellettuali
religiosi degli anni Novanta hanno cercato di ripensare il vecchio
confronto tra modernità e tradizione.
Oggi, gli intellettuali religiosi
sono divisi in due gruppi: riformisti e neoconservatori. Il gruppo dei
riformisti è rappresentato, tra altri, da Abdolkarim Soroosh, Mohsen
Kadivar, Alavi-Tabar, Hasan Yusefi Eshkevari, Mojtahed Shabestari. Tra i
tratti unificanti di questo gruppo spiccano il riconoscimento della
riforma del pensiero islamico, la democrazia, la società civile e il
pluralismo religioso e l'opposizione alla supremazia assoluta del faqih
(giurista islamico).
Soroosh parla della possibilità di una «democrazia
islamica». Secondo lui, il ruolo del filosofo consiste nel conciliare
religione e libertà. Afferma l'esistenza di due concetti religiosi:
quello massimalista e quello minimalista. Nella prospettiva massimalista,
tutto deve scaturire dalla religione, e la maggior parte dei problemi
attuali dell'islam proviene da questa concezione. La visione minimalista
implica che alcuni valori, come il rispetto dei diritti umani, non possano
derivare dalla religione. Secondo Soroosh, deve prevalere il concetto
minimalista, altrimenti l'equilibrio tra islam e democrazia non sarà
possibile.
A differenza degli intellettuali riformisti, i neoconservatori
dell'Iran sono favorevoli al primato della Guida Suprema, il faqih, e
contrari a concetti come democrazia, società civile e pluralismo. Tra
questi Reza Davari-Ardakani, Qolam-Ali Hadad Adel e Mehdi Golshani. Il
più famoso è Reza Davari-Ardakani che, in quanto filosofo
antioccidentale, conosce l'opera di Martin Heidegger. Adotta la critica di
Heidegger alla modernità e la rimodella con una terminologia islamica.
Rifiuta il modello occidentale di democrazia basato sulla separazione tra
politica e religione. Davari-Ardakani, presidente dell'Accademia Iraniana
della Scienza, potrebbe essere considerato il portavoce filosofico del
regime islamico.
Gli intellettuali riformisti e neoconservatori non
dominano la sfera pubblica iraniana. C'è una nuova generazione di
intellettuali iraniani che non proclama ideologie, ma che comunque intacca
i principi filosofici e intellettuali dell'ordine costituito. Una
generazione rappresentata da intellettuali laici postrivoluzionari, come
Javad Tabatabai, Babak Ahmadi, Hamid Azodanloo, Moosa Ghaninejad, Nasser
Fakuhi e Fatemeh Sadeghi, che potrebbero essere definiti «intellettuali
dialoghisti», in opposizione agli intellettuali rivoluzionari degli anni
Settanta e Ottanta.
L'importanza che si conferisce all'idea che la verità
debba dialogare col potere per costituire un nuovo spazio intellettuale
iraniano, rivela le affinità di questa generazione più giovane
all'ideale del pluralismo dei valori. Un pluralismo dei valori che
definisce l'Occidente come «l'altro».
Questi intellettuali della
società civile iraniana credono che l'urgenza iraniana di un incontro con
il mondo globalizzato esiga uno scambio tra culture. Aiutando a mantenere
questo scambio dialogico con la modernità e l'Occidente, la nuova
generazione di intellettuali si sta liberando dal ricatto dell'essere «a
favore» oppure «contro l'Occidente». Essere a favore o contro
l'Occidente non è più il problema. Il vero problema è chi siamo noi. E
non possiamo rispondere a questa domanda senza sentirci parte del mondo e
responsabili di quello che vi accade.
Pertanto, l'idea di responsabilità
è quello che più conta nella società civile iraniana. Ventisette anni
dopo la rivoluzione, grazie al contributo della società civile il nodo
non è più come scegliere tra moralità e politica, ma come forgiare una
politica della responsabilità, poiché se mancasse resterebbe solo la
falsità.
(traduzione di Osvaldo Alzari)
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[Fonte: Avvenire 28 maggio 2006]