Il futuro dei cristiani di
Iraq si decide sulla tomba di Alì
Sandro Magister, su l'espresso del
24 agosto 2004
ROMA – In un’intervista del 22
agosto alla radio pubblica italiana RAI, il cardinale segretario di
stato Angelo Sodano è tornato a offrire la disponibilità della Santa
Sede a mediare per far tacere le armi a Najaf, la città santa dei
musulmani sciiti in Iraq.
Già il 17 agosto questa disponibilità era stata affermata in un
comunicato ufficiale della sala stampa vaticana: ma “a condizione
che esista davvero la volontà di imboccare vie pacifiche per la
soluzione dei conflitti”.
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In effetti,
richieste pubbliche di una mediazione vaticana sono venute sinora
solo da Moqtada al Sadr, il leader radicale asserragliatosi in
agosto con un migliaio di suoi guerriglieri nel mausoleo di Alì
ibn Abi Talib, genero del profeta Maometto e primo imam degli
sciiti: non dal governo legittimo di Baghdad né dai comandi
militari degli Stati Uniti. Ma di al Sadr il Vaticano diffida,
come – e ancor più – diffidano di lui i componenti della marjia, il collegio dei più autorevoli capi religiosi sciiti di
Najaf.
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D’altra parte, al Vaticano preme dare di sé un’immagine super
partes. E quindi interessa tendere la mano anche alle fazioni
armate ribelli al governo legittimo.
La ragione principale che spinge il Vaticano a occupare questa
posizione mediana è la protezione della comunità cristiana in
Iraq.
Gli attentati terroristici che hanno colpito il 1 agosto cinque
chiese e comunità cristiane a Baghdad e Mosul hanno prodotto
molta preoccupazione ai vertici della Chiesa.
E questa preoccupazione è cresciuta dopo che il 18 agosto il
ministro iracheno per le emigrazioni, la signora Pascale Icho
Warda, essa stessa cristiana, ha dichiarato al quotidiano arabo
“Asharq al-Awsat” che circa quarantamila cristiani hanno
abbandonato l’Iraq nelle settimane successive agli attentati.
In Iraq i cristiani sono oggi tra i settecento e gli
ottocentomila. Appartengono a due etnie diverse: gli assiri, in
stragrande maggioranza, e gli armeni.
I cattolici sono seicentomila circa. Di essi, ottomila sono armeni
di etnia e di rito. Tutti gli altri sono assiri:
cinquecentocinquantamila di rito caldeo, quarantamila di rito
siriaco e quattromila di rito latino.
Gli ortodossi sono centocinquantamila circa. Quelli di etnia
assira sono nestoriani dell’antica Chiesa di Persia, centomila,
oppure siriaci, quarantamila. Mentre gli armeni sono diecimila.
In quanto assiri, i cristiani dell’Iraq hanno come loro
territorio storico il nord dell’Iraq attorno a Mosul, l’antica
capitale dell’Assiria col nome di Ninive.
Nel 1933, due anni dopo l’uscita dall’Iraq degli inglesi, al
fianco dei quali avevano combattuto, i cristiani assiri furono
vittima di un massacro da parte degli arabi musulmani sunniti del
centro del paese, appoggiati dai curdi.
Sotto il regime baathista e Saddam Hussein i cristiani godettero
di un trattamento relativamente migliore. Ma Saddam rifiutò di
riconoscere l’identità etnica degli assiri: li assimilò
forzatamente agli arabi.
Oggi, col nuovo governo, gli assiri ritrovano la loro
cittadinanza. Nel censimento in programma il 12 ottobre 2004 ogni
iracheno potrà assegnarsi a una di queste cinque etnie: araba,
curda, assira, armena e turcomanna.
Il futuro della comunità cristiana in Iraq è però soprattutto
affidato a una stabilizzazione democratica del paese. Senza di
questa, continueranno a emigrare. Ad esempio, l’80 per cento
degli iracheni che oggi vivono negli Stati Uniti sono cristiani
assiri.
E l’esito della battaglia di Najaf sarà determinante nel
delineare l’assetto del nuovo Iraq.
È una battaglia, quella di Najaf, che deciderà i rapporti di
forze tra i musulmani sciiti, che sono la maggioranza della
popolazione irachena.
Ma c’è di più. Se al Sadr fosse sconfitto, se a Najaf vincesse
la linea “quietista”, non teocratica, del grande ayatollah
Sayyid Ali Husaini Sistani, se Sistani fosse riconosciuto come la
massima autorità religiosa del mondo sciita non solo iracheno ma
internazionale, e se nel vicino Iran prevalessero i pragmatici che
appoggiano il governo legittimo di Baghdad e lo SCIRI, il maggior
partito politico sciita iracheno, anche per i cristiani d’Iraq
le prospettive sarebbero più incoraggianti.
E in Vaticano marcherebbe un successo la politica che punta a
sconfiggere il terrorismo islamista tramite lo sviluppo della
democrazia in Iraq e Medio Oriente. Quando necessario anche con l’invio
di forze armate in “missione di pace”.
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