Intervista a Massimo Cacciari su Islam e Occidente
Il titolo è tratto dalla sua frase finale


È una constatazione di fatto che ci sia una grande differenza tra "gli" islam e "gli" «occidenti» .
Queste differenze non possono essere nascoste, né attenuate. Le civiltà presentano forti individualità, hanno personalità assolutamente caratterizzate e a volte contrapposte e non è una novità. Questo c'è stato tra grecità e mondo orientale, tra Roma e Cartagine. Le civiltà si contrappongono come tutte le grosse personalità. Lo sforzo dovuto è quello di elaborare queste contrapposizioni, di lavorare in modo che diventino fattori di dialogo, di riconoscimento del rilievo, dell'importanza e della singolarità di ciascuna civiltà». Il filosofo Massimo Cacciari, ex sindaco di Venezia, parla della crisi internazionale e prova a spiegare i rapporti tra le due culture.

   Nessuna superiorità da parte dell'una o dell'altra?
   «Certamente no. Io posso ritenere che la mia civiltà, che la mia cultura siano ricche di valori; posso senz'altro ritenere che in un'altra non saprei come fare a vivere, come fare a essere, ma questo non significa che la mia cultura sia superiore. Chi è il giudice terzo che lo stabilisce? 
È del tutto sensato che io dica che apprezzo e che valorizzo i caratteri della mia civiltà, ma guai a me se penso che questi valori e questi caratteri debbano essere esportati e debbano valere per tutti nello stesso modo. Questo è un modo imperialistico di impostare la questione ed è, ovviamente, prologo a ogni disastro, a ogni intolleranza, a ogni guerra».   

Nonostante il momento delicato c'è una possibilità di dialogo?

   «Tra Islam e Occidente i rapporti di scambio sono stati di ogni genere. Soprattutto nel mondo mediterraneo questo è evidentissimo: ne sono rimasti segni e tracce ovunque. Le differenze esistono e vanno apprezzate in quanto tali, ma va anche detto che queste differenze hanno già dialogato. Tra le nostre culture c' è già stato il dialogo e c'è già stata la guerra. Questi scambi, queste relazioni non dobbiamo inventarcele ora, dobbiamo studiarle e conoscerle. Quando il presidente del consiglio dice che l'islam è fermo da 1400 anni dimostra una ignoranza che non è solo sua, ma è degli occidentali in genere. Questa ignoranza ritiene l'islam un monolite immobile e non conosce tutti gli intrecci che ci sono stati tra le nostre civiltà. Lo ripeto: siamo già nel dialogo con l'islam; dobbiamo ricordare le forme di questo dialogo e vedere come svilupparle oggi».


Il S. Padre in dialogo col Rabbino Israel Mei e lo Sceicco Taimi,
a Gerusalemme, nel 2000

Si è parlato, oltre che di Scontro delle civiltà, anche di conflitto religioso. Cosa ne pensa?

    «Le guerre in corso non c'entrano nulla con le religioni. Queste contraddizioni che sono emerse in modo drammatico l'11 settembre non hanno radici religiose. La religione è usata come un instrumentum regni, un meccanismo, una forma di mobilitazione politica. Bin Laden è un politico, un politico estremista, un politico terrorista, non un testimone religioso. Dobbiamo capire che non ci sono più crociati ne da una parte ne dall'altra».

Però si fa riferimento alla guerra santa. Come lo spiega?

    «Da un punto di vista coranico la jihad come la predica Bin Laden è vaniloquio. Sarebbe come se io proclamassi dei dogmi e gli altri dicessero: "Guarda come sono i cattolici: Massimo Cacciari proclama dei dogmi e si dice infallibile". Cosa c'entra? Sarei un politico che dice di essere infallibile, e che mobilita le masse attraverso un linguaggio che allude a una tradizione religiosa. Ma le contraddizioni restano politiche. Attenzione: le azioni di questi signori sono politiche, anche se si usano miti e simboli che hanno aspetto e dimensione religiosa. Non c'è niente di cui stupirsi: è sempre stato fatto nella storia. Ricordiamo Napoleone, Mussolini, Hitler. Il tono profetico religioso è sempre stato usato da posizioni estremistiche politiche per mobilitare e fanatizzare le masse. Ma questo non ha nulla a che vedere con la vera essenza di quelle tradizioni. Niente è più politico che l'uso politico della religione».

In passato ci sono state comunque guerre che avevano alla base motivazioni religiose.

    Ai tempi delle crociate, almeno nel loro sorgere, c'era una fortissima motivazione propriamente religiosa. Così come c'era nel VII e nell'VIII secolo al momento dell'espansione dell'islam. Ma la crisi di oggi non ha nulla a che vedere con quei periodi. Le motivazioni sono politiche».

Che ruolo hanno, in questa crisi, i Paesi arabi moderati?

    Penso che alcuni di loro, tipo l'Iran, siano veramente interessati alla sconfitta di questo terrorismo, così come lo è la Siria. L'Iraq è tutta un'altra questione. Ma non credo che l'lraq oggi abbia la forza di pensare a organizzare un'azione come quella a cui abbiamo assistito. Quindi penso che se gli Stati Uniti si muovono politicamente in modo efficace, questa unione con i Paesi arabi, in questa fase, possa tenere. Però, più in là, è chiaro che si potrebbe riprodurre tutto e anche peggio. È chiaro che o questi Paesi arabi, insieme a noi, costruiscono una relazione, dei rapporti duraturi e fondati oppure le loro frustrazioni, il loro senso di sudditanza verrà accresciuto. Con conseguenze disastrose. I Paesi arabi sono un magma incandescente, un mix di culture e di fondamentalismi religiosi che si legano a estremismi politici. Se si continua a subordinare all'Occidente una grande cultura come l'islam si continua a tenere il vulcano in ebollizione. E questo vulcano è in grado di destabilizzare il pianeta. Bisogna cercare di disinnescare questa bomba».

Affrontando innanzitutto la questione mediorientale?

   «Quella è una questione fondamentale. Nessuno lo dice, ma l'uni-co che aveva l'autorità necessaria per imporre la pace, anche con certi costi e sacrifici per Israele, era Rabin ed è stato ucciso da un israeliani, non da Arafat. In modo assolutamente misterioso come tutti questi grandi attentati politici, da Kennedy a Moro. Da lì bisogna partire, altro che Bin Laden. Oggi Sharon non è l'uomo adatto a condurre questa difficilissima trattativa, questa azione di pace; ammesso che sia ancora possibile arrivarci, perché quando tra due popoli passano fiumi di sangue, fare la pace non è così semplice. Con Rabin si era arrivati a un passo dalla soluzione e un atto terroristico ben mirato ha fatto saltare il banco»./font>

L'azione statunitense può risolvere la questione?

   «Temo che questo enorme dispiegamento di forze nasconda una volontà di occupazione permanente dell'area. Questo dal punto di vista militare. Dal punto di vista politico mi preoccupa capire se la politica e la diplomazia americana hanno il know how per affrontare la situazione. E non credo che ce l'abbiano; anzi, penso che se la politica e la diplomazia americana non hanno risolto queste questioni in passato ciò non sia avvenuto per caso: non le hanno risolte perché l'impostazione culturale è un'altra. Gli Stati Uniti ritengono che il mondo vada ordinato secondo il loro modello. Da quando sono sorti, gli Usa ritengono che, per essere in ordine, il mondo deve essere ordinato come lo sono loro. Il pensiero della differenza, temo sia fisiologicamente alieno dalla loro mentalità, o almeno dalla mentalità delle loro leadership da due secoli a questa parte».

L'Europa può intervenire in questa direzione?

   «L 'Europa potrebbe contare moltissimo, perché ha questo pensiero della differenza nel suo dna. In questo senso potrebbe davvero essere una buona alleata degli Stati Uniti in quanto fa comprendere agli Usa come affrontare questi problemi in modo costruttivo. L'Europa potrebbe avere una grande funzione, ma sinora non l'ha avuta: è mancata totalmente in Medio Oriente, nei Balcani. C'è l'auspicio che possa diventare qualcosa che finora non è stata. Bisogna anche comprendere però che l'Europa fino a 60 anni fa si massacrava. Non è semplice passare da un'Europa in guerra civile permanente a un'Europa come spazio politico unificato in grado di interloquire autonomamente con gli Stati Uniti. Probabilmente ci vorranno altri 60 anni. E nel frattempo cosa succede? La situazione è davvero drammatica.

E il ruolo dei cristiani?

   «Mi sembrano importanti le parole del Papa, quando richiama alla pace senza aggiungere altro. I preti devono predicare il Vangelo. Quando dicono "la pace sì, però" e si avventurano in affermazioni che distinguono tra rappresaglie giuste e non giuste parlano da politici. È invece necessario che ci sia ancora chi richiama alla pace nuda».


Annachiara Valle

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[Fonte: Vita Pastorale - Novembre 2001]

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