Inizio
la mia riflessione con una tesi: oggi l’Europa felicemente sta
ritrovando la sua unità. Ma allo stesso tempo, se è vero che
l’Europa sta ricuperando la sua unità, è anche vero che essa
corre il rischio di perdere la sua identità. La secolarizzazione
e il pluralismo moderno e postmoderno hanno radicalmente cambiato
la situazione sia dell’Europa sia della Chiesa in Europa.
Per
capire questa svolta bisogna dapprima brevemente riflettere
sull’identità dell’Europa. È difficile determinare
l’identità dell’Europa. Non la si può determinare
geograficamente come si potrebbe fare invece per l’Africa,
l’Australia o le due Americhe. Geograficamente l’Europa è
solamente una piccola appendice delle enormi distese dell’Asia.
Neppure dal punto di vista linguistico l’Europa ha una propria
identità; essa infatti vede al suo interno un’enorme varietà
di lingue con radici molto diverse: greca, romana, germanica,
slava, nordica, finnungarica.
L’identità
cristiana dell’Europa
torna su
Si
può definire l’identità dell’Europa soltanto storicamente e
culturalmente. Ma come? La cultura greca e romana, che
senz’altro hanno avuto un grande influsso e hanno profondamente
modellato l’Europa, erano limitate più o meno al mondo
mediterraneo con contrafforti in Gallia e Germania meridionale e
occidentale. La storia di ciò che intendiamo oggi per Europa
inizia con la storia che è riportata nel capitolo 16 degli Atti
degli Apostoli. Paolo, durante il suo secondo viaggio missionario
a Troade in Frigia (Asia minore), ebbe una visione: «gli stava
davanti un Macedone e lo supplicava: “Passa in Macedonia e
aiutaci!”»; e Paolo subito passò in Macedonia, a Tessalonica,
Atene, Corinto e finalmente a Roma. Questi viaggi missionari
dell’Apostolo hanno segnato l’inizio di un movimento
missionario cristiano che si è esteso nei secoli successivi oltre
il mondo mediterraneo fino ai popoli germanici e slavi e fino alla
Scandinavia. Tramite questa attività missionaria è stata
trasmessa e conservata e la tradizione ebrea e l’eredità della
cultura greca e romana. Così l’Europa si è estesa
dall’Atlantico agli Urali.
Il
cristianesimo ha creato l’Europa. Senza il cristianesimo
l’Europa perderebbe la sua identità. Sarebbe dunque
incomprensibile e segno di perdita d’identità se queste radici
cristiane non fossero menzionate in una futura Costituzione
europea.
Qui
vorrei ricordare solo una delle grandi e, a mio avviso,
irrinunciabili eredità del cristianesimo, che è diventato il
fondamento della cultura europea: l’immagine cristiana
dell’uomo. Già nella prima pagina della Bibbia si legge che Dio
ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1,27). Si
tratta di un’affermazione rivoluzionaria per il mondo
d’allora. Si riconosce a ogni singolo uomo, senza eccezione,
indipendentemente dalla sua appartenenza etnica e nazionale, dalla
sua cultura e religione, dal suo sesso, dalla sua razza e classe
una dignità infinita, inalienabile e inviolabile. Questo
oltrepassa di gran lunga l’umanesimo greco, che continuava a
distinguere fra liberi e schiavi, greci e barbari. Quest’aspetto
dell’immagine cristiana dell’uomo è entrato in tutte le
costituzioni democratiche moderne dell’Europa e del mondo.
Parlando
di ogni singolo uomo e della sua dignità si afferma anche la
solidarietà fra tutti gli uomini. Secondo la Bibbia tutti sono
figli e figlie dell’unico Padre celeste; tutti formano
un’unica famiglia umana. Così il cristianesimo è una forza che
comprende, unisce e riconcilia i popoli, le culture, le lingue e i
sistemi politici. Questo era, ed è, pensiero globale ben prima
che si parlasse di globalizzazione in senso odierno.
Si
può obiettare che lo stesso cristianesimo ha spesso amministrato
male questa eredità e spesso l’ha tradita in pratica. Purtroppo
è vero. La storia dell’Europa è anche una storia di colpa e di
mancanze; essa ha bisogno della conversione, del perdono, della
purificazione della memoria e del rinnovamento delle radici
spirituali della sua identità. Tuttavia, la storia dell’Europa
e del cristianesimo non è una storia criminale come le teorie
dell’attuale decostruttivismo vogliono farci credere. La storia
dell’Europa resta una storia grande. Sotto il segno della Croce
ha lasciato una grande eredità umanista.
La
nascita dell’Europa pluralista
torna
su
Hanno
diviso l’Europa soprattutto le due grandi e persistenti
divisioni nella Chiesa – quella fra la cristianità latina e la
cristianità orientale avvenuta circa 1.000 anni fa e quella fra
la cristianità cattolica e la cristianità evangelica avvenuta
circa 500 anni fa, con tutte le polemiche e gli aspri scontri che
ne sono seguiti. Dalla divisione nella religione sono nati una
divisione e un allontanamento nella cultura e nella mentalità fra
l’Europa orientale e l’Europa occidentale.
L’allargamento
della Comunità europea e l’integrazione dell’Europa orientale
sono dunque molto più che semplici problemi economici: essi
pongono enormi problemi di acculturazione e non saranno possibili
senza un avvicinamento con le Chiese ortodosse che hanno modellato
la cultura dei popoli dell’Europa orientale.
Sin
dalla divisione dall’Oriente, l’Europa non ha potuto più
respirare con i suoi due polmoni. Una parte preziosa della sua
eredità cristiana e culturale era assente nel secondo millennio;
ciò ha portato a restringimenti e irrigidimenti soprattutto nel
tardo medioevo. Il ritardo delle riforme all’interno della
Chiesa è stato una delle cause della Riforma del XVI secolo. Di
nuovo la divisione della Chiesa portava a espressioni culturali
diverse, in una cultura, una mentalità, un milieu
cattolico e un milieu
protestante modellato dalla libertà cristiana del singolo
cristiano. Non vorrei giurare sulla correttezza della tesi di Max
Weber relativa alla parentela e affinità fra lo spirito
calvinista e lo spirito capitalista, ma è vero, come ha mostrato
Ernst Troeltsch, che esiste un nesso fra cultura moderna nei paesi
germanici e protestantesimo.
Dopo
la perdita dell’unità nella fede in Europa occidentale,
l’Europa non è stata più in grado di fondare il suo ordine
politico sulla fede comune, ma ha dovuto fondare l’ordine della
pace sulla sola ragione comune a tutti gli uomini, mentre la fede
cristiana è stata limitata alla sfera privata. Così i conflitti
confessionali e le guerre confessionali del XVI e del XVII secolo,
a loro volta, sono stati una concausa della secolarizzazione
moderna. La divisione confessionale ha portato alla
secolarizzazione e ha indebolito l’identità e l’unità
dell’Europa. Il futuro dell’Europa dipende anche dal futuro
del processo ecumenico.
Non
possiamo, e non vogliamo, condannare in blocco l’Illuminismo,
dobbiamo riconoscere che esso – spesso malgré
soi-même – ha conservato molto dell’eredità cristiana e
ha prodotto molti frutti positivi, soprattutto un’accresciuta
consapevolezza dei diritti umani, del principio della libertà e
della tolleranza, l’umanesimo moderno, le scienze moderne e la
tecnologia moderna che hanno facilitato e rivoluzionato la vita
umana.
Ma
l’Illuminismo ha anche minato le radici dell’uomo moderno,
privandolo di una patria spirituale. Nel secolo appena trascorso,
l’Europa è stata caratterizzata da ideologie e utopie non
cristiane e anche anti-cristiane. Il nazionalsocialismo, il
comunismo, ma anche la fede occidentale nel progresso hanno
sostituito il vuoto, ma con quale disastroso risultato? Queste
ideologie sono state i fondamenti di sistemi totalitari che hanno
precipitato l’Europa in un bagno di lacrime e sangue e hanno
lasciato molte rovine: non solo danni materiali ma anche ferite
spirituali. Il risultato è stato la perdita di milioni di vite
umane, ma anche di valori fondamentali umani e di orientamento.
La
seconda guerra mondiale e il dopoguerra hanno modificato
radicalmente la situazione all’interno dell’Europa. Lo
sfollamento, il trasferimento forzato delle popolazioni durante e
dopo la seconda guerra mondiale, l’emigrazione dovuta alla
ricerca di un lavoro, alla povertà e alle persecuzioni, le
possibilità offerte dai nuovi mezzi di comunicazione, il turismo
moderno, tutto ciò ha condotto al crollo delle linee di
demarcazione fino allora esistenti tra i vari ambienti
confessionali e culturali. Rappresentanti di religioni diverse,
soprattutto musulmani, vivono oggi tra di noi.
Questa
nuova situazione spesso ha dato origine a tensioni e paure, fino a
sfociare a volte nella xenofobia più primitiva e in un sordo
sciovinismo. Dietro a tale fenomeno si cela una questione molto
seria: quella della propria identità culturale.
Tuttavia,
sarebbe erroneo e fuorviante interpretare l’attuale nuovo
pluralismo solo come un problema legato alla presenza di stranieri
nel proprio paese. La questione è molto più profonda. Il mondo
moderno è caratterizzato da continui processi di differenziazione
e da una considerevole complessità (cf. Niklas Luhmann). Il mondo
moderno è in se stesso pluralista e complesso. Dopo il venir meno
della fede cristiana come tessuto connettivo a causa della
secolarizzazione moderna, si sono sviluppati numerosi sistemi
indipendenti di norme, di orientamenti e di significati: la sfera
della vita pubblica e quella della vita privata, la sfera del
lavoro e del tempo libero, la sfera della cultura, dell’arte,
della scienza, della politica, dell’economia. La religione e le
Chiese sono divenute pertanto solo uno dei tanti campi della vita
moderna, accanto a queste sfere di cultura e di specializzazione
che rivendicano la propria autonomia. A sua volta, ognuna di
queste sfere è in se stessa estremamente differenziata, complessa
e pluralistica. Il sapere è cresciuto fin quasi all’infinito.
Uno studioso universale o un genio universale che possa
abbracciare tutto questo patrimonio di conoscenze e ne faccia una
sintesi è oggi ormai inconcepibile. Non esiste più
un’ideologia complessiva, un sistema-quadro. Da tale situazione,
la filosofia post-moderna (François Lyotard) ha tratto le sue
conclusioni. Non c’è più la verità, ma le verità,
al plurale. Chi difende la
verità viene subito sospettato e accusato di fondamentalismo. Ciò
che contrassegna la postmodernità è il relativismo, lo
scetticismo, addirittura il nichilismo. La postmodernità
s’intende come «pensiero debole» (Gianni Vattimo).
Gli
stessi diritti umani fondamentali – lodati a lungo come il più
importante successo del nostro tempo – sono respinti adesso come
un’invenzione prettamente europea e come un segno della pretesa
egemonica dell’Europa e dell’America, e questo avviene non
solo da parte di regimi autoritari quali la Cina, ma anche da
parte di pensatori occidentali, che rimettono in discussione
questi diritti come patrimonio ideologico eurocentrico.
Dopo
il totale fallimento delle ideologie e delle utopie create da un
messianismo puramente terreno nel secolo che ora è giunto al
termine, si è prodotto un grande vuoto spirituale. Molte
questioni etiche, che nel passato raccoglievano una quasi
universale unanimità, sono divenute oggi controverse. Uno dei
cambiamenti più evidenti è quello della concezione del ruolo dei
sessi, della coppia e della famiglia, della protezione della vita
al suo inizio e alla sua fine, valori che fino a poco tempo fa
erano condivisi da tutti. Dopo il crollo del marxismo, molti hanno
indicato come nuovo profeta Friedrich Nietzsche, il quale ha
proclamato la morte di Dio e lo ha sostituito con il nichilismo.
Il pluralismo postmoderno, il relativismo e il nichilismo
rappresentano oggi la sfida principale per la Chiesa e per la
verità universale difesa dal Vangelo.
Tuttavia,
anche il campo della religione è diventato pluralista. Non solo
cristiani cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei, musulmani e
appartenenti a religioni tradizionali asiatiche vivono gli uni
accanto agli altri, ma ci sono anche nuovi movimenti religiosi,
nuove e vecchie sette, movimenti giovanili, di risveglio, gruppi
di seguaci di guru. Inoltre, all’interno stesso delle Chiese e
delle religioni tradizionali, sono sorte, da una parte, tendenze
moderniste volte alla disintegrazione e alla confusione
dell’identità confessionale, e, dall’altra, correnti e gruppi
fondamentalisti inclini a volte alla violenza e al terrorismo.
La
più grande confessione nell’Europa contemporanea è però
quella di coloro che sono indifferenti nei confronti della
religione e che da questa prendono le distanze. Essi non sono –
come alcuni ritengono – nuovi pagani. Infatti, gli antichi
pagani avevano una religione e un senso del sacro. Si può anche
discutere, come lo si fa in effetti in teologia, se in questi «uomini
privi di musica religiosa» (Jürgen Habermas) l’anima naturaliter christiana (Tertulliano) sia ancora presente forse
soltanto repressa e celata sotto forme secolari quasi-religiose,
oppure se essa sia del tutto assente e se quindi ci troviamo di
fronte a un nuovo fenomeno post-cristiano e post-religioso (Dietrich
Bonhoeffer; Alfred Delp). Ma cosa succede se non c’è più
niente di sacro, né Dio, né la vita? Non rappresenta questo la
fine di tutte le culture e il ritorno alla barbarie?
La
sfida teologica del pluralismo
torna
su
Il
pluralismo ideologico e il suo relativismo mettono in dubbio
l’identità dell’Europa e del cristianesimo. Non solo
marginalizzano il cristianesimo ma rimettono profondamente in
discussione la testimonianza stessa della Bibbia. Unità e
universalità sono categorie fondamentali della Bibbia e non
possono essere eliminate dalla testimonianza biblica senza ferire
il suo vero e profondo messaggio.
Secondo
la Bibbia Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza (cf.
Gen 1,27). Qui si parla infatti dell’uomo, indipendentemente
dalla sua appartenenza etnica e nazionale, dalla sua cultura e
religione. Si riconosce a ogni singolo uomo, senza eccezione, una
dignità infinita, inalienabile e inviolabile. Parlando di ogni
singolo uomo e della sua dignità si afferma anche la solidarietà
fra tutti gli uomini. Secondo la Bibbia tutti sono figli e figlie
dell’unico Padre celeste; tutti formano un’unica famiglia
umana. Tale universalismo si applica anche alla missione della
Chiesa. Gesù ha mandato i suoi discepoli in tutto il mondo, a
tutti i popoli, a tutti gli uomini (cf. Mt 28,19). La missione
della Chiesa è dunque universale. Non è legata a un popolo
specifico, a una cultura o a una lingua particolare, né a un
particolare sistema politico o economico. La Chiesa è, per così
dire, un global player,
un attore globale. Essa trascende tutte le differenze etniche,
nazionali e culturali e solo così può essere segno e strumento
di pace tra i popoli e le culture.
L’unità
e l’universalità sono fondate sull’unicità. La Bibbia
testimonia il solo e
unico Dio (cf. Dt 6,4; Mc 12,29), padre di tutti gli uomini,
dei buoni e dei malvagi (cf. Mt 5,45). Essa riconosce l’unico
Signore Gesù Cristo (cf. 1Cor 8,6; Ef 4,5). Egli è il solo
e unico mediatore
tra Dio e gli uomini (cf. 1Tim 2,5).
Così,
non è tanto il pluralismo di fatto quanto il pluralismo
ideologico-religioso che rappresenta oggi la sfida principale per
il cristianesimo e per la Chiesa. Chi riconosce l’unità e
l’universalità di cui ci parla la Bibbia deve navigare contro
corrente, contro la corrente dello spirito del tempo, che lo
voglia oppure no.
Il
recupero dell’identità
e dell’unità dell’Europa torna
su
La
sfida del pluralismo ha conseguenze anche per il futuro
dell’Europa. Dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale,
quella europea è stata l’idea probabilmente più felice e
feconda della seconda metà del secolo appena trascorso. Sono
stati politici cristiani che hanno dato questo impulso,
quest’ispirazione cristiana (Konrad Adenauer, Robert Schuman,
Alcide De Gasperi). Ma l’impulso e l’ispirazione cristiana
sono nel frattempo evaporati. Così abbiamo ogni ragione di
chiederci: come possiamo costruire l’Europa del futuro sul
fondamento cristiano?
Una
cosa è certa: non possiamo più ritornare all’Occidente
cristiano e al suo pensiero unitario. Fra il medioevo e la nostra
epoca c’è la Riforma del XVI secolo e c’è, soprattutto,
l’Illuminismo europeo. Non solo lo stato, ma anche le scienze
moderne e lcultura moderna si sono emancipate e rese autonome. Non
possiamo e non vogliamo ritornare indietro. La stessa Chiesa
cattolica, dal concilio Vaticano II, ha riconosciuto la legittima
autonomia delle realtà terrene (cf. Gaudium
et spes, nn. 36, 41, 56, 76) e la libertà religiosa (cf. Dignitatis humanae).
Ma
allo stesso tempo il concilio Vaticano II ha gettato le basi per
una nuova presenza storica del cristianesimo nel mondo di oggi e
di domani, soggetto a continui cambiamenti. Questo è avvenuto nel
testo che, sino alla conclusione del Concilio, è stato il
documento più controverso e che alla fine ha condotto alla svolta
principale nella dottrina valida fino ad allora: si tratta della
dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae.
Secondo
la dottrina ecclesiale in vigore fino al Concilio, solo la verità
aveva il diritto di esistere, e non l’errore. In tale
prospettiva, la Chiesa ha respinto, nel XIX secolo, la libertà
religiosa intesa in senso liberale. La svolta fondamentale si è
verificata soprattutto grazie alla teologia nordamericana, e in
particolare al contributo di John Courtney Murray († 1967).
L’America del nord, certo, non era e non è gravata dal peso
degli scontri ideologici scatenatisi in Europa. Essa ha una
propria tradizione di libertà, che si distingue
dall’Illuminismo francese. Questa sua esperienza fu dunque
integrata nella Chiesa universale.
La
più chiara espressione di questo nuovo modo di pensare si ebbe
con l’intervento, nell’aula conciliare, dell’allora
arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla. Egli sottolineò che noi
possediamo la verità solo nella libertà; a sua volta, la libertà
non è un atteggiamento qualsiasi, ma deve orientarsi verso la
verità. La verità e la libertà sono dunque complementari e
l’una presuppone l’altra. Questa tesi riprende in un certo
senso l’idea moderna della libertà religiosa ma la trasforma
allo stesso tempo radicalmente. Nel significato dato dal Concilio
non si tratta della libertà liberale e individualista ma della
libertà personale che è fondata sulla verità e orientata verso
la verità e che in quanto libertà personale ha una costitutiva
dimensione sociale. Libertà e responsabilità sono le due facce
della stessa medaglia.
Ciò
è particolarmente vero per la fede cristiana. La fede è un atto
libero da parte dell’uomo e da parte di Dio. La fede è un dono
gratuito di Dio come anche una risposta data liberamente
dall’uomo, resa possibile da tale dono. Così, il diritto della
verità presuppone il diritto del soggetto e lo fonda. Pertanto,
la libertà di cercare la verità e di professare la verità
riconosciuta è, dal punto di vista cristiano, uno dei diritti
fondamentali dell’uomo. La fede cristiana può avanzare la sua
rivendicazione universale e incondizionata solo fin tanto che essa
riconosce e difende la libertà di tutti.
Tale
concezione è diventata il fondamento della politica relativa ai
diritti umani portata avanti dall’attuale pontificato. Essa ha
contribuito notevolmente al crollo del muro di Berlino e del
sistema comunista – come ha detto una persona che doveva ben
saperlo, Michail Gorbaciov.
La
pretesa di assolutismo del cristianesimo, se ben compresa, non è
dunque totalitaria, ma, al contrario, anti-totalitaria. Essa,
insieme al proprio diritto, afferma e difende anche il diritto
degli altri. Allo stesso tempo, difende la fiducia nella verità e
nella capacità degli uomini di pervenire alla verità contro lo
scetticismo, che minaccia di sfociare nell’indifferenza o
addirittura nel nichilismo.
Con
ciò, la situazione è mutata radicalmente rispetto al XIX secolo,
come ha fatto osservare il santo padre nella sua prima visita in
Germania (1980) e nell’enciclica Fides
et ratio (1998). Chiesa e modernità, Chiesa e scienza oggi
non sono più avversarie, ma sono divenute alleate nella lotta in
difesa della verità, della capacità umana di pervenire alla
verità e in difesa del diritto dell’uomo di ricercare la verità.
Con
tale concezione il lungo periodo costantiniano è definitivamente
tramontato e allo stesso tempo sono state poste le basi per quello
che la fede cristiana può diventare nuovamente, anche se in modo
diverso: il fondamento spirituale e il tessuto connettivo di un
mondo e di una cultura pluralistici. Certo, il cammino da compiere
è lungo, arduo e irto di difficoltà. Sarà una discussione
difficile e un conflitto duro fra la concezione liberale, il
relativismo moderno e postmoderno da un lato e la concezione
personale del cristianesimo dall’altro lato. Sarà un nuovo
parto doloroso dell’Europa. E noi uomini non siamo in grado, con
tutte le nostre forze e la nostra volontà, di prevedere quale sarà
la forma concreta di una cultura europea rinnovata.
Una
Chiesa diaconale
Ci
domandiamo: quale sarà il posto della Chiesa in un’Europa
pluralistica? Questo posto può essere descritto, nel modo
migliore, con la definizione di Chiesa
diaconale. Con ciò non voglio dire che la Chiesa deve
rinunciare alla sua rivendicazione di verità, trasformando la
propria missione in un compito puramente pastorale e terapeutico.
Anzi, la Chiesa non può concepire se stessa come una stazione di
servizio sociale o come un conglomerato di strumenti d’emergenza
disparati. Non si può aiutare l’essere umano privandolo della
verità. La verità e solo la verità, come dice il Vangelo (cf.
Gv 8,32), rende liberi. Chiesa diaconale significa allora una Chiesa che difende la verità
nel suo carattere liberatorio, dunque terapeutico e pastorale.
La
concezione diaconale deriva dal modo in cui Gesù stesso ha
proclamato la verità. Egli ha rivendicato la verità in una
maniera del tutto unica e inaudita, considerata scandalosa dai
suoi avversari. Nelle antitesi del discorso della montagna, ripete
più volte: «Ma io vi dico» (Mt 5,22.28.32.34.39.44). Sostiene
di essere la verità in persona «Io sono la via, la verità e la
vita» (Gv 14,6).
Allo
stesso tempo, Gesù sta in mezzo ai suoi discepoli «come colui
che serve» (Lc 22,27). È al servizio degli altri; non è venuto
per dominare, ma per servire e per dare la sua vita in riscatto «per
molti» (Mc 10,45). Un canto delle origini dedicato a Cristo dice:
«Come colui che sussiste nella natura di Dio, egli non vi è
attaccato come a un bottino, ma si abbassa, si fa ubbidiente e
diviene tale quale un servo fino alla morte in croce. Come colui
che spoglia se stesso fino alla morte, egli viene innalzato e reso
Signore dell’universo» (cf. Fil 2,6-11). Attraverso il suo
servizio, che si consuma e si offre fino in fondo, Cristo diventa
Signore del mondo; egli diventa la nuova legge
mondiale dell’amore.
In
Gesù, dunque, incontriamo la pretesa assoluta della verità non
come una rivendicazione autoritaria di dominio, ma come forma di
servizio. L’assolutezza del Vangelo corrisponde
all’assolutezza e al carattere incondizionato della carità. Non
schiaccia l, non lo assorbe, ma, al contrario, si ritrae e gli
lascia spazio. Si tratta, appunto, della verità nell’amore (cf.
Ef 4,15). La verità senza l’amore può essere dura e può
respingere. L’amore senza la verità, anche la tolleranza senza
la verità, sono falsi, vuoti e superficiali.
La
pretesa di unità e unicità dell’economia di salvezza cristiana
non è dunque una tesi imperialistica, che assorbe o soffoca le
altre religioni. Essa concepisce se stessa come servizio nella
verità e come servizio per gli altri. Preserva e difende il suo
diritto, e allo stesso tempo il diritto inalienabile del singolo.
Proprio sulla sua posizione così fermamente opposta a ogni
relativismo e sincretismo essa fonda un rapporto tollerante,
rispettoso, dialogico e diaconale con le altre religioni, un
rapporto che è ben lontano sia dal relativismo sia dal
fondamentalismo.
Grazie
a tale concezione della verità, la Chiesa offre un servizio
all’umanità, un servizio che solo essa può donare. Infatti, la
verità dell’amore, del perdono, della riconciliazione, della
misericordia è il messaggio proprio e originario del Vangelo, un
messaggio che non può essere lanciato da nessun’altra
istituzione. Ed è per l’appunto di questo messaggio che il
mondo ha attualmente bisogno.
Questo
messaggio prende sul serio il singolo nella sua individualità e
nella sua personalità, ma anche nel suo interagire con la società.
Non lo confonde con la massa, in maniera indifferenziata,
all’interno di un sistema globale. Il singolo non è un numero
tra i tanti.
Allo
stesso tempo, il singolo non corre neppure il rischio di venire
isolato ed estraniato dal resto, un rischio insito invece nel
pluralismo che può condurre a una situazione di freddezza e di
sgretolamento delle relazioni umane. L’isolamento è infatti una
delle caratteristiche del nostro tempo. L’amore, al contrario,
unisce e mantiene uniti. È solidale e protegge dall’egoismo
individualistico. Si preoccupa del bene comune, difendendo e
garantendo il bene del singolo. Non è contrario alla
globalizzazione in sé, ma non si accontenta di una
globalizzazione dei giganti dell’economia e dei mercati
finanziari internazionali, vuole una globalizzazione della
solidarietà. Non costruisce dunque una muraglia cinese intorno
alla casa Europa, ma
s’impegna a favore dei paesi poveri e di quelli più
svantaggiati.
Pluralità
all’interno della Chiesa
Il
pluralismo non è solo una sfida esterna, ma è anche una sfida
interna che la Chiesa dovrà affrontare nel suo darsi una forma
futura. Anche per la Chiesa sono essenziali in forma analoga i due
principi etico-sociali della personalità e della solidarietà.
Solo se essa li attua al proprio interno, può essere credibile
come Chiesa diaconale. Naturalmente, all’interno della Chiesa
non può esistere un pluralismo ideologico e religioso. La Chiesa
concepisce se stessa come comunità di fedeli. E la fede può
essere soltanto una. Ma vi può essere una pluralità di stili,
forme, pietà, riti, teologie ecc. Ciò è già avvenuto nel
passato e si verificherà probabilmente in modo ancora più
marcato in futuro. Questa pluralità non è un male necessario,
non è un segno di debolezza, ma è un indice di vitalità e di
ricchezza interna. Pertanto, la Chiesa deve permetterla e
promuoverla, in maniera consapevole e non cercare di reprimerla
con misure disciplinari che in ultima analisi risultano sempre
inutili.
Per
rispettare il principio della personalità individuale, la Chiesa
deve ancora di più rendere giustizia alla crescente diversità
della vita, degli stili di vita, della storia personale di ognuno,
che a volte comporta anche tensioni e conflitti. Non deve imporre
al singolo, con la forza, la verità vincolante per tutti, ma deve
tentare di capire e interpretare l’esperienza concreta
dell’individuo, in modo pastoralmente benevolo (principio
d’equità e d’epicheia
o d’economia). Questo è possibile se viene raggiunto un maggior
equilibrio tra le norme della Chiesa universale, senza dubbio
necessarie per le questioni fondamentali, e l’autonomia
legittima delle Chiese locali nelle questioni particolari.
Lo
stesso vale in forma analoga per il principio della solidarietà.
Applicato alla Chiesa, ciò significa che essa deve sviluppare
mezzi di comunicazione corrispondenti alla spiritualità di
comunione e alla sua struttura di comunione.
La leadership della
Chiesa deve dunque favorire il consenso e la ricezione,
sforzandosi di promuovere la più ampia partecipazione possibile.
Nella Chiesa devono esservi un’opinione pubblica, un dialogo
costante e un dibattito aperto. Questo presuppone un rafforzamento
delle strutture collegiali e sinodali.
La
Chiesa, in questa nuova situazione, può dunque mostrare che
l’unità e la pluralità non si escludono l’un l’altra ma
sono complementari, ovvero si completano a vicenda. La Chiesa può
accogliere la pluralità e, allo stesso tempo, rimanere fedele
avvocata dell’universalità della dignità umana. La dignità
umana può essere incondizionata solo se fondata su principi
assoluti e non arbitrari, opposti a ogni forma di relativismo. La
difesa di ciò che è sacro come un bene non privato ma universale
ha una grande forza pacificatrice. Infatti, cosa avverrebbe se
tutto fosse percepito in maniera indifferente e non ci fosse più
niente di sacro?
La
nuova realtà in cui viviamo rappresenta per la Chiesa non solo un
pericolo, ma anche una sfida e un’opportunità. Essa dà alla
Chiesa l’occasione di realizzare la sua natura in modo più
autentico, più fedele alle origini e – nel senso positivo del
termine – più radicale. Non abbiamo bisogno né di una Chiesa
che si conforma in maniera acritica agli eventi né che si
continua a lamentare dei tempi brutti. Papa Giovanni XXIII,
all’inizio del concilio Vaticano II, ha contraddetto tutti i
profeti di sventura che prevedono solo il peggio. La Chiesa deve
infondere e diffondere speranza.
Non
a caso il tema del secondo Sinodo straordinario per l’Europa,
tenutosi nel 1999, era «Gesù Cristo vivente nella sua Chiesa
sorgente di speranza per l’Europa». Oggi, la speranza è merce
rara. Soffriamo di una spaventosa mancanza di idee in grado di
entusiasmarci. L’annuncio della speranza che scaturisce dalla
fede è il contributo più importante che la Chiesa possa offrire
al futuro dell’Europa. Senza speranza nessuno può vivere:
nessun individuo, nessun popolo e neppure l’Europa. Ecco la
sfida e la missione dei cristiani, oggi.
Walter
card. Kasper
Incontri
di Camaldoli 2002