La Chiesa e l'Europa di fronte alla sfida del pluralismo
Card. Walter Kasper, Camaldoli 2002

Quel che chiamiamo "pluralismo" era già presente al sorgere del cristianesimo, che nella tarda antichità fu percepito in primo luogo solo come una delle molte «offerte di senso» filosofiche e religiose in concorrenza fra di loro. Ma questo pluralismo tardoantico – in un certo qual modo paragonabile al pluralismo della tarda modernità fu condotto alla propria fine esattamente dalla Chiesa cristiana, quando essa ebbe raggiunto il potere necessario, mediante la cristianizzazione di tutti gli ambiti e settori della vita. Invece, il pluralismo moderno si è sviluppato attraverso un movimento contrario per effetto della decristianizzazione della società. Per questo, abbiamo oggi a che fare con una situazione completamente diversa. Ciò che noi chiamiamo pluralismo moderno è un fenomeno sui generis, nel quale Stato e Chiese devono trovare giuste ed equilibrate relazioni. (ndR)
Introduzione

L'identità cristiana dell'Europa

La nascita dell'Europa pluralista
La sfida teologica del pluralismo
Il recupero dell'identità e dell'unità dell'Europa
 

Introduzione       torna su

Inizio la mia riflessione con una tesi: oggi l’Europa felicemente sta ritrovando la sua unità. Ma allo stesso tempo, se è vero che l’Europa sta ricuperando la sua unità, è anche vero che essa corre il rischio di perdere la sua identità. La secolarizzazione e il pluralismo moderno e postmoderno hanno radicalmente cambiato la situazione sia dell’Europa sia della Chiesa in Europa.

Per capire questa svolta bisogna dapprima brevemente riflettere sull’identità dell’Europa. È difficile determinare l’identità dell’Europa. Non la si può determinare geograficamente come si potrebbe fare invece per l’Africa, l’Australia o le due Americhe. Geograficamente l’Europa è solamente una piccola appendice delle enormi distese dell’Asia. Neppure dal punto di vista linguistico l’Europa ha una propria identità; essa infatti vede al suo interno un’enorme varietà di lingue con radici molto diverse: greca, romana, germanica, slava, nordica, finnungarica.

L’identità cristiana dell’Europa          torna su

Si può definire l’identità dell’Europa soltanto storicamente e culturalmente. Ma come? La cultura greca e romana, che senz’altro hanno avuto un grande influsso e hanno profondamente modellato l’Europa, erano limitate più o meno al mondo mediterraneo con contrafforti in Gallia e Germania meridionale e occidentale. La storia di ciò che intendiamo oggi per Europa inizia con la storia che è riportata nel capitolo 16 degli Atti degli Apostoli. Paolo, durante il suo secondo viaggio missionario a Troade in Frigia (Asia minore), ebbe una visione: «gli stava davanti un Macedone e lo supplicava: “Passa in Macedonia e aiutaci!”»; e Paolo subito passò in Macedonia, a Tessalonica, Atene, Corinto e finalmente a Roma. Questi viaggi missionari dell’Apostolo hanno segnato l’inizio di un movimento missionario cristiano che si è esteso nei secoli successivi oltre il mondo mediterraneo fino ai popoli germanici e slavi e fino alla Scandinavia. Tramite questa attività missionaria è stata trasmessa e conservata e la tradizione ebrea e l’eredità della cultura greca e romana. Così l’Europa si è estesa dall’Atlantico agli Urali.

Il cristianesimo ha creato l’Europa. Senza il cristianesimo l’Europa perderebbe la sua identità. Sarebbe dunque incomprensibile e segno di perdita d’identità se queste radici cristiane non fossero menzionate in una futura Costituzione europea.

Qui vorrei ricordare solo una delle grandi e, a mio avviso, irrinunciabili eredità del cristianesimo, che è diventato il fondamento della cultura europea: l’immagine cristiana dell’uomo. Già nella prima pagina della Bibbia si legge che Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1,27). Si tratta di un’affermazione rivoluzionaria per il mondo d’allora. Si riconosce a ogni singolo uomo, senza eccezione, indipendentemente dalla sua appartenenza etnica e nazionale, dalla sua cultura e religione, dal suo sesso, dalla sua razza e classe una dignità infinita, inalienabile e inviolabile. Questo oltrepassa di gran lunga l’umanesimo greco, che continuava a distinguere fra liberi e schiavi, greci e barbari. Quest’aspetto dell’immagine cristiana dell’uomo è entrato in tutte le costituzioni democratiche moderne dell’Europa e del mondo.

Parlando di ogni singolo uomo e della sua dignità si afferma anche la solidarietà fra tutti gli uomini. Secondo la Bibbia tutti sono figli e figlie dell’unico Padre celeste; tutti formano un’unica famiglia umana. Così il cristianesimo è una forza che comprende, unisce e riconcilia i popoli, le culture, le lingue e i sistemi politici. Questo era, ed è, pensiero globale ben prima che si parlasse di globalizzazione in senso odierno.

Si può obiettare che lo stesso cristianesimo ha spesso amministrato male questa eredità e spesso l’ha tradita in pratica. Purtroppo è vero. La storia dell’Europa è anche una storia di colpa e di mancanze; essa ha bisogno della conversione, del perdono, della purificazione della memoria e del rinnovamento delle radici spirituali della sua identità. Tuttavia, la storia dell’Europa e del cristianesimo non è una storia criminale come le teorie dell’attuale decostruttivismo vogliono farci credere. La storia dell’Europa resta una storia grande. Sotto il segno della Croce ha lasciato una grande eredità umanista.

La nascita dell’Europa pluralista          torna su

Hanno diviso l’Europa soprattutto le due grandi e persistenti divisioni nella Chiesa – quella fra la cristianità latina e la cristianità orientale avvenuta circa 1.000 anni fa e quella fra la cristianità cattolica e la cristianità evangelica avvenuta circa 500 anni fa, con tutte le polemiche e gli aspri scontri che ne sono seguiti. Dalla divisione nella religione sono nati una divisione e un allontanamento nella cultura e nella mentalità fra l’Europa orientale e l’Europa occidentale.

L’allargamento della Comunità europea e l’integrazione dell’Europa orientale sono dunque molto più che semplici problemi economici: essi pongono enormi problemi di acculturazione e non saranno possibili senza un avvicinamento con le Chiese ortodosse che hanno modellato la cultura dei popoli dell’Europa orientale.

Sin dalla divisione dall’Oriente, l’Europa non ha potuto più respirare con i suoi due polmoni. Una parte preziosa della sua eredità cristiana e culturale era assente nel secondo millennio; ciò ha portato a restringimenti e irrigidimenti soprattutto nel tardo medioevo. Il ritardo delle riforme all’interno della Chiesa è stato una delle cause della Riforma del XVI secolo. Di nuovo la divisione della Chiesa portava a espressioni culturali diverse, in una cultura, una mentalità, un milieu cattolico e un milieu protestante modellato dalla libertà cristiana del singolo cristiano. Non vorrei giurare sulla correttezza della tesi di Max Weber relativa alla parentela e affinità fra lo spirito calvinista e lo spirito capitalista, ma è vero, come ha mostrato Ernst Troeltsch, che esiste un nesso fra cultura moderna nei paesi germanici e protestantesimo.

Dopo la perdita dell’unità nella fede in Europa occidentale, l’Europa non è stata più in grado di fondare il suo ordine politico sulla fede comune, ma ha dovuto fondare l’ordine della pace sulla sola ragione comune a tutti gli uomini, mentre la fede cristiana è stata limitata alla sfera privata. Così i conflitti confessionali e le guerre confessionali del XVI e del XVII secolo, a loro volta, sono stati una concausa della secolarizzazione moderna. La divisione confessionale ha portato alla secolarizzazione e ha indebolito l’identità e l’unità dell’Europa. Il futuro dell’Europa dipende anche dal futuro del processo ecumenico.

Non possiamo, e non vogliamo, condannare in blocco l’Illuminismo, dobbiamo riconoscere che esso – spesso malgré soi-même – ha conservato molto dell’eredità cristiana e ha prodotto molti frutti positivi, soprattutto un’accresciuta consapevolezza dei diritti umani, del principio della libertà e della tolleranza, l’umanesimo moderno, le scienze moderne e la tecnologia moderna che hanno facilitato e rivoluzionato la vita umana.

Ma l’Illuminismo ha anche minato le radici dell’uomo moderno, privandolo di una patria spirituale. Nel secolo appena trascorso, l’Europa è stata caratterizzata da ideologie e utopie non cristiane e anche anti-cristiane. Il nazionalsocialismo, il comunismo, ma anche la fede occidentale nel progresso hanno sostituito il vuoto, ma con quale disastroso risultato? Queste ideologie sono state i fondamenti di sistemi totalitari che hanno precipitato l’Europa in un bagno di lacrime e sangue e hanno lasciato molte rovine: non solo danni materiali ma anche ferite spirituali. Il risultato è stato la perdita di milioni di vite umane, ma anche di valori fondamentali umani e di orientamento.

La seconda guerra mondiale e il dopoguerra hanno modificato radicalmente la situazione all’interno dell’Europa. Lo sfollamento, il trasferimento forzato delle popolazioni durante e dopo la seconda guerra mondiale, l’emigrazione dovuta alla ricerca di un lavoro, alla povertà e alle persecuzioni, le possibilità offerte dai nuovi mezzi di comunicazione, il turismo moderno, tutto ciò ha condotto al crollo delle linee di demarcazione fino allora esistenti tra i vari ambienti confessionali e culturali. Rappresentanti di religioni diverse, soprattutto musulmani, vivono oggi tra di noi.

Questa nuova situazione spesso ha dato origine a tensioni e paure, fino a sfociare a volte nella xenofobia più primitiva e in un sordo sciovinismo. Dietro a tale fenomeno si cela una questione molto seria: quella della propria identità culturale.

Tuttavia, sarebbe erroneo e fuorviante interpretare l’attuale nuovo pluralismo solo come un problema legato alla presenza di stranieri nel proprio paese. La questione è molto più profonda. Il mondo moderno è caratterizzato da continui processi di differenziazione e da una considerevole complessità (cf. Niklas Luhmann). Il mondo moderno è in se stesso pluralista e complesso. Dopo il venir meno della fede cristiana come tessuto connettivo a causa della secolarizzazione moderna, si sono sviluppati numerosi sistemi indipendenti di norme, di orientamenti e di significati: la sfera della vita pubblica e quella della vita privata, la sfera del lavoro e del tempo libero, la sfera della cultura, dell’arte, della scienza, della politica, dell’economia. La religione e le Chiese sono divenute pertanto solo uno dei tanti campi della vita moderna, accanto a queste sfere di cultura e di specializzazione che rivendicano la propria autonomia. A sua volta, ognuna di queste sfere è in se stessa estremamente differenziata, complessa e pluralistica. Il sapere è cresciuto fin quasi all’infinito. Uno studioso universale o un genio universale che possa abbracciare tutto questo patrimonio di conoscenze e ne faccia una sintesi è oggi ormai inconcepibile. Non esiste più un’ideologia complessiva, un sistema-quadro. Da tale situazione, la filosofia post-moderna (François Lyotard) ha tratto le sue conclusioni. Non c’è più la verità, ma le verità, al plurale. Chi difende la verità viene subito sospettato e accusato di fondamentalismo. Ciò che contrassegna la postmodernità è il relativismo, lo scetticismo, addirittura il nichilismo. La postmodernità s’intende come «pensiero debole» (Gianni Vattimo).

Gli stessi diritti umani fondamentali – lodati a lungo come il più importante successo del nostro tempo – sono respinti adesso come un’invenzione prettamente europea e come un segno della pretesa egemonica dell’Europa e dell’America, e questo avviene non solo da parte di regimi autoritari quali la Cina, ma anche da parte di pensatori occidentali, che rimettono in discussione questi diritti come patrimonio ideologico eurocentrico.

Dopo il totale fallimento delle ideologie e delle utopie create da un messianismo puramente terreno nel secolo che ora è giunto al termine, si è prodotto un grande vuoto spirituale. Molte questioni etiche, che nel passato raccoglievano una quasi universale unanimità, sono divenute oggi controverse. Uno dei cambiamenti più evidenti è quello della concezione del ruolo dei sessi, della coppia e della famiglia, della protezione della vita al suo inizio e alla sua fine, valori che fino a poco tempo fa erano condivisi da tutti. Dopo il crollo del marxismo, molti hanno indicato come nuovo profeta Friedrich Nietzsche, il quale ha proclamato la morte di Dio e lo ha sostituito con il nichilismo. Il pluralismo postmoderno, il relativismo e il nichilismo rappresentano oggi la sfida principale per la Chiesa e per la verità universale difesa dal Vangelo.

Tuttavia, anche il campo della religione è diventato pluralista. Non solo cristiani cattolici, protestanti, ortodossi, ebrei, musulmani e appartenenti a religioni tradizionali asiatiche vivono gli uni accanto agli altri, ma ci sono anche nuovi movimenti religiosi, nuove e vecchie sette, movimenti giovanili, di risveglio, gruppi di seguaci di guru. Inoltre, all’interno stesso delle Chiese e delle religioni tradizionali, sono sorte, da una parte, tendenze moderniste volte alla disintegrazione e alla confusione dell’identità confessionale, e, dall’altra, correnti e gruppi fondamentalisti inclini a volte alla violenza e al terrorismo.

La più grande confessione nell’Europa contemporanea è però quella di coloro che sono indifferenti nei confronti della religione e che da questa prendono le distanze. Essi non sono – come alcuni ritengono – nuovi pagani. Infatti, gli antichi pagani avevano una religione e un senso del sacro. Si può anche discutere, come lo si fa in effetti in teologia, se in questi «uomini privi di musica religiosa» (Jürgen Habermas) l’anima naturaliter christiana (Tertulliano) sia ancora presente forse soltanto repressa e celata sotto forme secolari quasi-religiose, oppure se essa sia del tutto assente e se quindi ci troviamo di fronte a un nuovo fenomeno post-cristiano e post-religioso (Dietrich Bonhoeffer; Alfred Delp). Ma cosa succede se non c’è più niente di sacro, né Dio, né la vita? Non rappresenta questo la fine di tutte le culture e il ritorno alla barbarie?

La sfida teologica del pluralismo         torna su

Il pluralismo ideologico e il suo relativismo mettono in dubbio l’identità dell’Europa e del cristianesimo. Non solo marginalizzano il cristianesimo ma rimettono profondamente in discussione la testimonianza stessa della Bibbia. Unità e universalità sono categorie fondamentali della Bibbia e non possono essere eliminate dalla testimonianza biblica senza ferire il suo vero e profondo messaggio.

Secondo la Bibbia Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza (cf. Gen 1,27). Qui si parla infatti dell’uomo, indipendentemente dalla sua appartenenza etnica e nazionale, dalla sua cultura e religione. Si riconosce a ogni singolo uomo, senza eccezione, una dignità infinita, inalienabile e inviolabile. Parlando di ogni singolo uomo e della sua dignità si afferma anche la solidarietà fra tutti gli uomini. Secondo la Bibbia tutti sono figli e figlie dell’unico Padre celeste; tutti formano un’unica famiglia umana. Tale universalismo si applica anche alla missione della Chiesa. Gesù ha mandato i suoi discepoli in tutto il mondo, a tutti i popoli, a tutti gli uomini (cf. Mt 28,19). La missione della Chiesa è dunque universale. Non è legata a un popolo specifico, a una cultura o a una lingua particolare, né a un particolare sistema politico o economico. La Chiesa è, per così dire, un global player, un attore globale. Essa trascende tutte le differenze etniche, nazionali e culturali e solo così può essere segno e strumento di pace tra i popoli e le culture.

L’unità e l’universalità sono fondate sull’unicità. La Bibbia testimonia il solo e unico Dio (cf. Dt 6,4; Mc 12,29), padre di tutti gli uomini, dei buoni e dei malvagi (cf. Mt 5,45). Essa riconosce l’unico Signore Gesù Cristo (cf. 1Cor 8,6; Ef 4,5). Egli è il solo e unico mediatore tra Dio e gli uomini (cf. 1Tim 2,5).

Così, non è tanto il pluralismo di fatto quanto il pluralismo ideologico-religioso che rappresenta oggi la sfida principale per il cristianesimo e per la Chiesa. Chi riconosce l’unità e l’universalità di cui ci parla la Bibbia deve navigare contro corrente, contro la corrente dello spirito del tempo, che lo voglia oppure no.

Il recupero dell’identità e dell’unità dell’Europa     torna su

La sfida del pluralismo ha conseguenze anche per il futuro dell’Europa. Dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, quella europea è stata l’idea probabilmente più felice e feconda della seconda metà del secolo appena trascorso. Sono stati politici cristiani che hanno dato questo impulso, quest’ispirazione cristiana (Konrad Adenauer, Robert Schuman, Alcide De Gasperi). Ma l’impulso e l’ispirazione cristiana sono nel frattempo evaporati. Così abbiamo ogni ragione di chiederci: come possiamo costruire l’Europa del futuro sul fondamento cristiano?

Una cosa è certa: non possiamo più ritornare all’Occidente cristiano e al suo pensiero unitario. Fra il medioevo e la nostra epoca c’è la Riforma del XVI secolo e c’è, soprattutto, l’Illuminismo europeo. Non solo lo stato, ma anche le scienze moderne e lcultura moderna si sono emancipate e rese autonome. Non possiamo e non vogliamo ritornare indietro. La stessa Chiesa cattolica, dal concilio Vaticano II, ha riconosciuto la legittima autonomia delle realtà terrene (cf. Gaudium et spes, nn. 36, 41, 56, 76) e la libertà religiosa (cf. Dignitatis humanae).

Ma allo stesso tempo il concilio Vaticano II ha gettato le basi per una nuova presenza storica del cristianesimo nel mondo di oggi e di domani, soggetto a continui cambiamenti. Questo è avvenuto nel testo che, sino alla conclusione del Concilio, è stato il documento più controverso e che alla fine ha condotto alla svolta principale nella dottrina valida fino ad allora: si tratta della dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae.

Secondo la dottrina ecclesiale in vigore fino al Concilio, solo la verità aveva il diritto di esistere, e non l’errore. In tale prospettiva, la Chiesa ha respinto, nel XIX secolo, la libertà religiosa intesa in senso liberale. La svolta fondamentale si è verificata soprattutto grazie alla teologia nordamericana, e in particolare al contributo di John Courtney Murray († 1967). L’America del nord, certo, non era e non è gravata dal peso degli scontri ideologici scatenatisi in Europa. Essa ha una propria tradizione di libertà, che si distingue dall’Illuminismo francese. Questa sua esperienza fu dunque integrata nella Chiesa universale.

La più chiara espressione di questo nuovo modo di pensare si ebbe con l’intervento, nell’aula conciliare, dell’allora arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla. Egli sottolineò che noi possediamo la verità solo nella libertà; a sua volta, la libertà non è un atteggiamento qualsiasi, ma deve orientarsi verso la verità. La verità e la libertà sono dunque complementari e l’una presuppone l’altra. Questa tesi riprende in un certo senso l’idea moderna della libertà religiosa ma la trasforma allo stesso tempo radicalmente. Nel significato dato dal Concilio non si tratta della libertà liberale e individualista ma della libertà personale che è fondata sulla verità e orientata verso la verità e che in quanto libertà personale ha una costitutiva dimensione sociale. Libertà e responsabilità sono le due facce della stessa medaglia.

Ciò è particolarmente vero per la fede cristiana. La fede è un atto libero da parte dell’uomo e da parte di Dio. La fede è un dono gratuito di Dio come anche una risposta data liberamente dall’uomo, resa possibile da tale dono. Così, il diritto della verità presuppone il diritto del soggetto e lo fonda. Pertanto, la libertà di cercare la verità e di professare la verità riconosciuta è, dal punto di vista cristiano, uno dei diritti fondamentali dell’uomo. La fede cristiana può avanzare la sua rivendicazione universale e incondizionata solo fin tanto che essa riconosce e difende la libertà di tutti.

Tale concezione è diventata il fondamento della politica relativa ai diritti umani portata avanti dall’attuale pontificato. Essa ha contribuito notevolmente al crollo del muro di Berlino e del sistema comunista – come ha detto una persona che doveva ben saperlo, Michail Gorbaciov.

La pretesa di assolutismo del cristianesimo, se ben compresa, non è dunque totalitaria, ma, al contrario, anti-totalitaria. Essa, insieme al proprio diritto, afferma e difende anche il diritto degli altri. Allo stesso tempo, difende la fiducia nella verità e nella capacità degli uomini di pervenire alla verità contro lo scetticismo, che minaccia di sfociare nell’indifferenza o addirittura nel nichilismo.

Con ciò, la situazione è mutata radicalmente rispetto al XIX secolo, come ha fatto osservare il santo padre nella sua prima visita in Germania (1980) e nell’enciclica Fides et ratio (1998). Chiesa e modernità, Chiesa e scienza oggi non sono più avversarie, ma sono divenute alleate nella lotta in difesa della verità, della capacità umana di pervenire alla verità e in difesa del diritto dell’uomo di ricercare la verità.

Con tale concezione il lungo periodo costantiniano è definitivamente tramontato e allo stesso tempo sono state poste le basi per quello che la fede cristiana può diventare nuovamente, anche se in modo diverso: il fondamento spirituale e il tessuto connettivo di un mondo e di una cultura pluralistici. Certo, il cammino da compiere è lungo, arduo e irto di difficoltà. Sarà una discussione difficile e un conflitto duro fra la concezione liberale, il relativismo moderno e postmoderno da un lato e la concezione personale del cristianesimo dall’altro lato. Sarà un nuovo parto doloroso dell’Europa. E noi uomini non siamo in grado, con tutte le nostre forze e la nostra volontà, di prevedere quale sarà la forma concreta di una cultura europea rinnovata.

Una Chiesa diaconale

Ci domandiamo: quale sarà il posto della Chiesa in un’Europa pluralistica? Questo posto può essere descritto, nel modo migliore, con la definizione di Chiesa diaconale. Con ciò non voglio dire che la Chiesa deve rinunciare alla sua rivendicazione di verità, trasformando la propria missione in un compito puramente pastorale e terapeutico. Anzi, la Chiesa non può concepire se stessa come una stazione di servizio sociale o come un conglomerato di strumenti d’emergenza disparati. Non si può aiutare l’essere umano privandolo della verità. La verità e solo la verità, come dice il Vangelo (cf. Gv 8,32), rende liberi. Chiesa diaconale significa allora una Chiesa che difende la verità nel suo carattere liberatorio, dunque terapeutico e pastorale.

La concezione diaconale deriva dal modo in cui Gesù stesso ha proclamato la verità. Egli ha rivendicato la verità in una maniera del tutto unica e inaudita, considerata scandalosa dai suoi avversari. Nelle antitesi del discorso della montagna, ripete più volte: «Ma io vi dico» (Mt 5,22.28.32.34.39.44). Sostiene di essere la verità in persona «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6).

Allo stesso tempo, Gesù sta in mezzo ai suoi discepoli «come colui che serve» (Lc 22,27). È al servizio degli altri; non è venuto per dominare, ma per servire e per dare la sua vita in riscatto «per molti» (Mc 10,45). Un canto delle origini dedicato a Cristo dice: «Come colui che sussiste nella natura di Dio, egli non vi è attaccato come a un bottino, ma si abbassa, si fa ubbidiente e diviene tale quale un servo fino alla morte in croce. Come colui che spoglia se stesso fino alla morte, egli viene innalzato e reso Signore dell’universo» (cf. Fil 2,6-11). Attraverso il suo servizio, che si consuma e si offre fino in fondo, Cristo diventa Signore del mondo; egli diventa la nuova legge mondiale dell’amore.

In Gesù, dunque, incontriamo la pretesa assoluta della verità non come una rivendicazione autoritaria di dominio, ma come forma di servizio. L’assolutezza del Vangelo corrisponde all’assolutezza e al carattere incondizionato della carità. Non schiaccia l, non lo assorbe, ma, al contrario, si ritrae e gli lascia spazio. Si tratta, appunto, della verità nell’amore (cf. Ef 4,15). La verità senza l’amore può essere dura e può respingere. L’amore senza la verità, anche la tolleranza senza la verità, sono falsi, vuoti e superficiali.

La pretesa di unità e unicità dell’economia di salvezza cristiana non è dunque una tesi imperialistica, che assorbe o soffoca le altre religioni. Essa concepisce se stessa come servizio nella verità e come servizio per gli altri. Preserva e difende il suo diritto, e allo stesso tempo il diritto inalienabile del singolo. Proprio sulla sua posizione così fermamente opposta a ogni relativismo e sincretismo essa fonda un rapporto tollerante, rispettoso, dialogico e diaconale con le altre religioni, un rapporto che è ben lontano sia dal relativismo sia dal fondamentalismo.

Grazie a tale concezione della verità, la Chiesa offre un servizio all’umanità, un servizio che solo essa può donare. Infatti, la verità dell’amore, del perdono, della riconciliazione, della misericordia è il messaggio proprio e originario del Vangelo, un messaggio che non può essere lanciato da nessun’altra istituzione. Ed è per l’appunto di questo messaggio che il mondo ha attualmente bisogno.

Questo messaggio prende sul serio il singolo nella sua individualità e nella sua personalità, ma anche nel suo interagire con la società. Non lo confonde con la massa, in maniera indifferenziata, all’interno di un sistema globale. Il singolo non è un numero tra i tanti.

Allo stesso tempo, il singolo non corre neppure il rischio di venire isolato ed estraniato dal resto, un rischio insito invece nel pluralismo che può condurre a una situazione di freddezza e di sgretolamento delle relazioni umane. L’isolamento è infatti una delle caratteristiche del nostro tempo. L’amore, al contrario, unisce e mantiene uniti. È solidale e protegge dall’egoismo individualistico. Si preoccupa del bene comune, difendendo e garantendo il bene del singolo. Non è contrario alla globalizzazione in sé, ma non si accontenta di una globalizzazione dei giganti dell’economia e dei mercati finanziari internazionali, vuole una globalizzazione della solidarietà. Non costruisce dunque una muraglia cinese intorno alla casa Europa, ma s’impegna a favore dei paesi poveri e di quelli più svantaggiati.

Pluralità all’interno della Chiesa

Il pluralismo non è solo una sfida esterna, ma è anche una sfida interna che la Chiesa dovrà affrontare nel suo darsi una forma futura. Anche per la Chiesa sono essenziali in forma analoga i due principi etico-sociali della personalità e della solidarietà. Solo se essa li attua al proprio interno, può essere credibile come Chiesa diaconale. Naturalmente, all’interno della Chiesa non può esistere un pluralismo ideologico e religioso. La Chiesa concepisce se stessa come comunità di fedeli. E la fede può essere soltanto una. Ma vi può essere una pluralità di stili, forme, pietà, riti, teologie ecc. Ciò è già avvenuto nel passato e si verificherà probabilmente in modo ancora più marcato in futuro. Questa pluralità non è un male necessario, non è un segno di debolezza, ma è un indice di vitalità e di ricchezza interna. Pertanto, la Chiesa deve permetterla e promuoverla, in maniera consapevole e non cercare di reprimerla con misure disciplinari che in ultima analisi risultano sempre inutili.

Per rispettare il principio della personalità individuale, la Chiesa deve ancora di più rendere giustizia alla crescente diversità della vita, degli stili di vita, della storia personale di ognuno, che a volte comporta anche tensioni e conflitti. Non deve imporre al singolo, con la forza, la verità vincolante per tutti, ma deve tentare di capire e interpretare l’esperienza concreta dell’individuo, in modo pastoralmente benevolo (principio d’equità e d’epicheia o d’economia). Questo è possibile se viene raggiunto un maggior equilibrio tra le norme della Chiesa universale, senza dubbio necessarie per le questioni fondamentali, e l’autonomia legittima delle Chiese locali nelle questioni particolari.

Lo stesso vale in forma analoga per il principio della solidarietà. Applicato alla Chiesa, ciò significa che essa deve sviluppare mezzi di comunicazione corrispondenti alla spiritualità di comunione e alla sua struttura di comunione. La leadership della Chiesa deve dunque favorire il consenso e la ricezione, sforzandosi di promuovere la più ampia partecipazione possibile. Nella Chiesa devono esservi un’opinione pubblica, un dialogo costante e un dibattito aperto. Questo presuppone un rafforzamento delle strutture collegiali e sinodali.

La Chiesa, in questa nuova situazione, può dunque mostrare che l’unità e la pluralità non si escludono l’un l’altra ma sono complementari, ovvero si completano a vicenda. La Chiesa può accogliere la pluralità e, allo stesso tempo, rimanere fedele avvocata dell’universalità della dignità umana. La dignità umana può essere incondizionata solo se fondata su principi assoluti e non arbitrari, opposti a ogni forma di relativismo. La difesa di ciò che è sacro come un bene non privato ma universale ha una grande forza pacificatrice. Infatti, cosa avverrebbe se tutto fosse percepito in maniera indifferente e non ci fosse più niente di sacro?

La nuova realtà in cui viviamo rappresenta per la Chiesa non solo un pericolo, ma anche una sfida e un’opportunità. Essa dà alla Chiesa l’occasione di realizzare la sua natura in modo più autentico, più fedele alle origini e – nel senso positivo del termine – più radicale. Non abbiamo bisogno né di una Chiesa che si conforma in maniera acritica agli eventi né che si continua a lamentare dei tempi brutti. Papa Giovanni XXIII, all’inizio del concilio Vaticano II, ha contraddetto tutti i profeti di sventura che prevedono solo il peggio. La Chiesa deve infondere e diffondere speranza.

Non a caso il tema del secondo Sinodo straordinario per l’Europa, tenutosi nel 1999, era «Gesù Cristo vivente nella sua Chiesa sorgente di speranza per l’Europa». Oggi, la speranza è merce rara. Soffriamo di una spaventosa mancanza di idee in grado di entusiasmarci. L’annuncio della speranza che scaturisce dalla fede è il contributo più importante che la Chiesa possa offrire al futuro dell’Europa. Senza speranza nessuno può vivere: nessun individuo, nessun popolo e neppure l’Europa. Ecco la sfida e la missione dei cristiani, oggi.

Walter card. Kasper

Incontri di Camaldoli 2002

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