Intervento del
presidente del Pontificio Consiglio per l'unità dei cristiani al
Meeting Internazionale «Religioni e culture: il coraggio di un nuovo
umanesimo» organizzato dalla Comunità di S. Egidio, Milano 5 -7
settembre 2004
Dopo la fine della guerra fredda e la
caduta del muro di Berlino era nata la speranza di un periodo di pace
e di uno sviluppo pacifico e democratico nel mondo. Ora sappiamo che
questa speranza è stata del tutto illusoria. Il nuovo flagello dell’umanità
e la nuova sfida posta all’intera civiltà è il terrorismo –
accanto alla fame ed alla povertà nel mondo. In un certo senso solo
la fine del bipolarismo ha reso possibile il terrorismo. Senza dubbio
ció significa una sfida per tutti gli stati civilizzati che
verosimilmente segnerà tutto il secolo appena iniziato.
Le cause di questo
fenomeno orribile sono complesse. Certo anche i problemi sociali hanno
un ruolo. Ma il terrorismo non può essere giustificato mai con le
strutture di ingiustizia esistenti e con la distribuzione gravemente
ingiusta dei beni; esse tuttavia giocano un ruolo importante nei
tentativi di giustificazione da parte dei terroristi, e sono di aiuto
per i gruppi terroristici per lo più piccoli o servono almeno per
essere tollerati da parte di alcuni strati della popolazione.
Inoltre il dibattito
spesso mette in luce un’altro problema e cioè il legame fra
terrorismo e religione. Soprattutto le tre religioni monoteiste,
Ebraismo, Cristianesimo e Islam, vengono sospettate di intolleranza, e
quindi di essere quantomeno inclini alla violenza a causa della loro
fede esclusiva –realmente o così intesa- in un Dio unico.
Essende autocritici e
sinceri non possiamo semplicemente negare tutti gli esempi della
storia che potrebbero sostenere questa tesi. Nel libro che i cristiani
chiamano il Vecchio Testamento e gli ebrei la Tanakh si trovano tanti
testi che parlano di guerre sante e di annientamento dell’avversario.
Per quanto riguarda la storia della chiesa vengono rammentate spesso
le vicende legate alle crociate, alle persecuzioni sanguinose degli
eretici, ed alle guerre di religione. Infine si rinfaccia all’Islam
di volersi diffondere con la spada e di glorificare la guerra santa
contro gli infedeli. Allora tutte e tre le religioni monoteiste hanno
motivo per una revisione critica della propria storia e per una „purificazione
della memoria storica“.
Tutte e tre le
religioni monoteiste sono costrette a confrontarsi anche con fenomeni
attuali, noti e spiacevoli, come il conflitto in Irlanda del Nord, la
politica di sicurezza d’Israele, gruppi terroristici di matrice
islamica. Ma anche nelle religioni non-monoteiste si trovano dei
gruppi intolleranti che sono pronti ad usare la violenza, per esempio
nell’induismo. Chi si interessa in modo più approfondito di questo
fenomeno sa che i motivi sociali, economici e politici vengono
mischiati con motivi religiosi, e che la religione spesso serve come
copertura ideologica, e viene quindi strumentalizzata. Ma le
religioni, si oppongono con sufficiente chiarezza a questa
strumentalizzazione?
Si tratta di fenomeni
che non possono essere negati, e non ha senso dare la colpa agli
altri. È un modo in cui i bambini litigano, quando discutono su chi
ha iniziato la lite e su chi ha provocato l’altro per primo.
Superando questo modo
infantile di confrontarsi la domanda diventa fondamentale. È la
domanda, se i fenomeni descritti siano espressione di un disordine
della religione e ne siano un abuso riprovevole, o se questo aspetto
di intolleranza e di inclinazione alla violenza che arriva all’annientamento
fisico o alla sottomissione violenta dell’avversario infedele faccia
parte dell’essenza stessa della religione, specialmente della
religione monoteista.
Una risposta è possibile a tre livelli: Il primo livello: Tutte le religioni nominate
possono riferirsi a brani centrali nei loro testi sacri che vietano in
modo assoluto ogni tipo di violenza e specificatamente il terrorismo.
La regola d’oro che dice che non bisogna fare all’altro ciò che
non si desidera che sia fatto a se stessi si trova in modo diverso in
tutte le religioni. Anche il Corano contiene frasi che parlano
esplicitamente di tolleranza. Il divieto di uccidere del decalogo con
l’unica eccezione dell’autodifesa diretta è di grande importanza;
Nel cristianesimo si aggiunge il comandamento dell’amore fino all’amore
del nemico e l’invito a perdonare. Tutte e tre le religioni
monoteiste vietano anche il suicidio ed escludono perciò
categoricamente gli attentati suicidi. Pertanto chi compie tali
attentati suicidi non dovrebbe -secondo i principi del Corano- essere
venerato come martire, ma dovrebbe essere condannato come omicida e
delinquente.
Secondo livello: Il
divieto di uccidere e di commettere suicidio per la tradizione
ebraico-cristiana si fonda sul concetto stesso di Dio. Questa
tradizione è rivoluzionaria perché antepone alla storia speciale
dell’elezione del popolo di Dio in Genesi 1-11 la storia umana
generale, e di ogni uomo che indipendentemente dalla sua appartenenza
etnica, culturale, religiosa, sessuale afferma che è stato creato ad
immagine di Dio; pertanto Dio pone la sua mano su tutti gli uomini,
perché il sangue altrui non debba essere versato. La Bibbia conosce
un solo Dio, però questo Dio unico non è un idolo nazionale, ma
Signore universale di tutta l’umanità; e questi è il motivo della
dignità di ogni uomo. Pertanto il terrorismo come negazione della
dignità dell’uomo è allo stesso momento un‘offesa a Dio. La
giustificazione del terrorismo nel nome di Dio è l’abuso più grave
del nome di Dio e la sua maggiore profanazione. Ed è quindi molto
positivo che durante la giornata di preghiera per la pace di Assisi
tutte le religioni presenti fossero concordi in questa dichiarazione.
Terzo livello: Non
basta essere d’accordo solamente nella teoria; la prassi deve
corrispondere alla teoria. Oggi il terrorismo è diventato una
minaccia per tutta l’umanità; in fondo i terroristi possono colpire
dappertutto. Non possiamo difendere la dignità dell’uomo e la pace
solo attraverso parole pie, dobbiamo difenderle anche attraverso i
fatti. Allora si pone la domanda: Che cosa possiamo fare contro il
terrorismo? Non posso esporre un programma completo, ma posso dare
solo alcune indicazioni.
1. La lotta al
terrorismo internazionale ha bisogno di interventi militari e di
polizia. Le democrazie devono essere pronte, se necessario anche se
questo significasse il sacrificio di vite umane, a difendere con la
forza la loro libertà. Nella lotta al terrorismo tuttavia non può
essere utilizzato ciò che si condanna e si combatte nel terrorismo.
Perciò nella lotta al terrorismo non si possono cancellare i diritti
umani fondamentali e utilizzare lo strumento delle torture che sono
contrarie alla dignità dell’uomo; non si può fare una guerra
preventiva che abolisca le regole della guerra giusta che valgono
solamente come ultima ratio; non si possono compiere uccisioni mirate
senza un giusto processo precedente. La barbarie del terrorismo non
può farci tornare indietro rispetto alle conquiste dell’umanità
civilizzata e farci risprofondare nella barbarie.
2. Bisogna cambiare con
tutte le energie le condizioni che favoriscono l’espandersi del
terrorismo e che potrebbero essere considerate come una
legittimazione; cioè bisogna eliminare le ingiuste situazioni
sociali, economiche, politiche, e bisogna impegnarsi per un‘ordine
mondiale più giusto, soprattutto nelle aree critiche del mondo.
3. Le religioni si
devono svegliare, e devono attivare le proprie risorse spirituali di
resistenza alla violenza terrorista. Tale presa di distanza chiara e
pubblica dal terrorismo è ciò che molti giustamente si aspettano
dall’Islam. Il tratto profondamente nichilista del terrorismo si
può vincere solo attraverso l’affermazione dell’atteggiamento
fondamentale di ogni religione, cioè il profondo rispetto. Questo
significa sia la revisione autocritica della propria storia che la
predicazione non di odio ma di tolleranza e il rispetto delle
convinzioni altrui così come la condanna conseguente di ogni forma di
violenza. Le religioni devono strappare la maschera religiosa dalla
faccia dei terroristi per smascherarli e mostrarli per quello che sono
veramente, cioè nichilisti che disprezzano tutti i valori e gli
ideali dell’umanità.
Si può evitare il “clash
of civilisation” solo attraverso il dialogo delle culture e delle
religioni. Il dialogo antepone il rispetto della comune eredità di
tutte le religioni, il profondo rispetto del sacro; il dialogo però
non significa in nessun modo sincretismo e rinuncia della propria
identità; anzi il dialogo può essere fatto solo da interlocutori che
abbiano ognuno la propria identità, un’identità che conoscono,
stimano, e per la quale si impegnano attraverso le armi dello spirito.
Una tale unità di dialogo delle religioni che condanna il conflitto
fisico, ma che non teme il confronto spirituale, è l’unica via alla
pace nel mondo.