Cari fratelli e sorelle,
1. "Io vi lascio la mia pace": a queste parole del Vangelo di Giovanni si è
ispirata la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani di quest'anno. A voi tutti qui presenti rivolgo allora l'antico
saluto biblico e liturgico: Shalom! Pax vobiscum! La pace sia con voi!
Con gioia saluto le comunità cristiane di Roma, e soprattutto i fratelli e le sorelle
delle comunità non cattoliche, uniti a noi nella fede nel Signore Gesù Cristo. Quest'anno un vincolo speciale ci lega ai
cristiani del Medio Oriente ed in particolar modo di Siria, dove - ad Aleppo - è stato preparato il testo per la Settimana di
Preghiera. Chiediamo con fervore che la pace possa ritornare in questa regione del mondo tormentata, una regione che, nei
primi secoli, è stata culla di una ricca cultura cristiana, una regione in cui oggi, però, i cristiani sono una minoranza,
ma danno un buon esempio di convivenza e collaborazione ecumenica. A questi fratelli e sorelle va la nostra gratitudine e la
nostra preghiera: "La pace sia con voi!".
2. Alla pace gli uomini guardano da sempre con speranza, con nostalgia. Da sempre, gli
uomini sono avversi alla violenza, alla guerra e continuano a credere che, alla fine, sarà la pace ad avere l'ultima parola.
Questo grido innalzato dagli uomini assetati di pace è ascoltato da Dio, poiché Dio è il Dio degli uomini, è un Dio che
risponde alla nostra invocazione. Pace è uno dei Suoi nomi (cfr 1 Cor 14, 33). Schalom, la pace, è un'antica
promessa, una promessa che ritroviamo sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento.
Pace non significa semplicemente silenzio delle armi. La pace è l'ordinamento voluto da
Dio per tutte le cose, è un mondo in cui gli uomini vivono insieme senza violenza, nella libertà, e nella felicità. La pace
è la pace nel cosmo, è la pace tra le nazioni, è la pace all'interno di un popolo, è la pace nell'intimo del cuore. La
Bibbia si conclude con la visione di un mondo dove Dio tergerà ogni lacrima dagli occhi, dove non ci sarà più la morte, né
lutto, né lamento, né affanno (cfr Ap 21, 4).
Il Nuovo Testamento ci annuncia che questa speranza di pace si è realizzata in Gesù
Cristo. "Egli infatti è la nostra pace" (Ef 2, 14). Sulla croce Cristo ha fondato la pace e ha inchiodato
l'odio, la violenza, l'inimicizia. Nel proprio corpo ha subito la violenza, ma non ha risposto con violenza ma ha pregato per
i suoi stessi persecutori. Egli ha incaricato i suoi discepoli di essere come lui operatori di pace (cfr Mt 5, 9).
Noi non possiamo ricomporre l'unità con le nostre sole forze. Per questo, Gesù ci ha
lasciato la sua pace. Egli ha infuso nel nostro cuore il suo Spirito. Non lo spirito di questo mondo, ma lo spirito di pace,
di giustizia, di riconciliazione, di mansuetudine e di carità, lo spirito che trasforma il nostro egoismo e noi stessi e ci
rende uomini nuovi, uomini nel cui cuore regna gioiosa la pace di Cristo (cfr Col 3, 15). Come uomini a cui è stata
donata la pace noi cristiani dobbiamo essere ambasciatori, testimoni, pionieri della pace in questo mondo.
3. Cari fratelli e sorelle, di fronte all'urgenza di questo messaggio di pace, il nostro
cuore si riempie di dolore e di vergogna, poiché l'immagine che il nostro mondo, e perfino le nostre Chiese ci rimandano è
ben diversa. Le nostre Chiese sono separate; nel corso della storia, la loro testimonianza, piuttosto che comune e in favore
della pace, è stata antagonista.
Tutte le volte che noi cattolici, nel momento della Celebrazione Eucaristica prima della
comunione, diciamo: "vi do la mia pace", aggiungiamo con sincerità: "Non guardare ai nostri
peccati". Ciò significa anche: Non guardare al peccato della divisione, allo scandalo della separazione. E tutti
abbiamo motivo di chiedere: "Donaci unità e pace".
Questa preghiera, centrale nella Celebrazione Eucaristica, mi è cresciuta nel cuore
ormai da molti anni. È per me la preghiera per l'unità dei cristiani. Giorno dopo giorno, soprattutto domenica dopo
domenica, essa è pronunciata da un gran numero di cristiani in tutto il mondo. Per questo, non è possibile che sia recitata
invano, non è possibile che non venga ascoltata. Nel pronunciarla, ci uniamo all'invocazione rivolta da Cristo stesso al
Padre, la vigilia della sua morte: "Che tutti siano una cosa sola" (Gv 17, 21). Gesù pronuncia questa
preghiera davanti a noi, con noi e per noi.
4. Uniti allora nella preghiera con Cristo, possiamo accogliere le parole consolatrici
del Vangelo: "Non sia turbato il vostro cuore". Parole importanti soprattutto nei momenti in cui saremmo
tentati di cedere allo scoraggiamento di fronte alle difficoltà incontrate dall'impegno ecumenico.
Negli ultimi decenni, possiamo riconoscere di aver compiuto, grazie a Dio, grandi
progressi. Non ricorriamo più ad espressioni di odio, di disprezzo e di derisione reciproci. Si è sviluppato un nuovo
spirito di fratellanza. Viviamo, lavoriamo e preghiamo insieme. Siamo diventati amici.
Ma, se guardiamo al mondo con obiettività, non possiamo fingere che tutto sia perfetto.
A volte notiamo accenni di stanchezza ecumenica, segni di un nuovo confessionalismo, tentativi di minare il cammino verso
l'unità. Dopo aver riempito i fossati che un tempo ci dividevano, costatiamo adesso che se ne aprono di nuovi nel campo
etico.
Certo, da un punto di vista meramente umano, vi sono ragioni per preoccuparsi e perdersi
d'animo. Ma non scordiamoci di essere cristiani! "Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di
amore e di saggezza" (2 Tim 1, 7). I cristiani sono uomini della speranza. Questa speranza non ha niente a che
vedere con un ingenuo ottimismo; essa è dono di Dio, preservato nella pazienza (cfr Rom 5, 4), un dono che ci permette
di sperare contro ogni speranza (Rom 4, 18) e di sapere che Dio è più grande. È stato il Concilio Vaticano II a
sottolineare che il movimento ecumenico nasce dall'impulso dello Spirito di Dio. Quando lo Spirito di Dio inizia qualcosa, lo
porta sempre a compimento. Per questo, non c'è motivo di scoraggiarsi: "Non sia turbato il vostro cuore".
5. La festa dell'Apostolo Paolo, che celebriamo oggi a conclusione della Settimana di
preghiera, ci suggerisce la direzione che dobbiamo seguire. Ci mostra il cammino della conversione.
L'insegnamento di Gesù stesso inizia con un invito alla conversione: "convertitevi
e credete al Vangelo!" (Mc 1, 14). Lo stesso vale per l'ecumenismo, se vogliamo fare passi avanti. Il decreto
sull'ecumenismo del Concilio Vaticano II esprime chiaramente che non può esserci ecumenismo senza conversione, senza
purificazione della memoria e del cuore, senza un cambiamento del nostro pensiero, del nostro linguaggio e del nostro
comportamento (cfr "Unitatis redintegratio", 4; 7; Enciclica "Ut
unum sint", 15 s; 21 etc.). Non può esserci ecumenismo senza apertura alla riforma ed al rinnovamento. Anche la
Chiesa santa, come dice il Concilio Vaticano II, "è sempre bisognosa di purificazione, incessantemente si applica alla
penitenza e al suo rinnovamento" ("Lumen gentium", 8).
Noi siamo abituati a parlare della conversione degli altri. Ma la conversione deve
iniziare in noi stessi. Non dobbiamo osservare la pagliuzza nell'occhio del fratello mentre non ci accorgiamo della trave che
abbiamo nel nostro occhio (cfr Mt 7, 3). L'ecumenismo ci incoraggia ad esercitare autocritica. Come ha detto il Santo
Padre, esso adempie anche "alla funzione di un esame di coscienza" e deve essere un'esortazione a chiedere perdono (cfr
"Ut unum sint", 34). Non gli altri devono convertirsi, noi tutti
dobbiamo convertirci a Cristo. Nella misura in cui siamo uniti a Lui, siamo anche uniti tra di noi.
Vorrei aggiungere un secondo punto, che riguarda il dialogo. Il dialogo è il metodo
stesso dell'ecumenismo. Non è un semplice scambio di pensieri e di argomentazioni, ma è uno scambio di doni ("Ut
unum sint", 28). Non dobbiamo concentrarci su ciò che manca all'altro, ma prestare attenzione ai suoi punti di
forza, alla sua ricchezza. Possiamo imparare gli uni dagli altri, arricchirci vicendevolmente. Dobbiamo essere una benedizione
gli uni per gli altri. È falso dunque pensare che l'ecumenismo sia un processo d'impoverimento, dove l'incontro con l'altro
avviene intorno al minimo comune denominatore. Al contrario, l'ecumenismo non fa perdere nulla: è un processo di
crescita e di arricchimento. Tramite il dialogo, lo Spirito vuole guidarci all'intera verità (cfr Gv 16, 13).
Occorre pertanto avere umiltà e capacità di riconoscere che anche noi abbiamo bisogno
degli altri. La virtù principale dei cristiani non è l'arroganza o l'ostinazione, ma è l'umiltà. E perché questo non
dovrebbe valere anche per l'ecumenismo?
Vorrei ricordare infine l'importanza della spiritualità di comunione. L'invito
dell'Apostolo è chiaro: "comportatevi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà,
mansuetudine e pazienza, sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello Spirito per mezzo del
vincolo della pace" (Ef 4, 3). Senza tale spiritualità di comunione, la comunione istituzionale diventerebbe un
apparato senz'anima. La spiritualità di comunione significa, come il Santo Padre ha espresso molto bene, fare spazio
all'altro, condividere con lui i suoi desideri, il suo fardello, le sue sofferenze (Lettera Apostolica "Novo
Millennio ineunte", 43). Non dobbiamo dunque puntare il dito contro le debolezze dell'altro, ma dobbiamo stargli
accanto solidali e aiutarlo a superare le sue difficoltà. Questo ci unisce. Questo fonda la pace.
Invochiamo allora lo Spirito di pace; preghiamolo di renderci suoi strumenti. Che la
pace del Signore, capace di superare ogni tensione, riempia i vostri cuori. Il Signore sia misericordioso e ci conceda la sua
pace. Amen.