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I discorsi di Benedetto XVI sull'Europa pubblicati dal
Patriarca Kirill
L'Europa e le intimidazioni del secolarismo
"Il ruolo delle Chiese per la integrazione culturale dell'Europa" è il tema
della tavola rotonda che si svolge il 2 dicembre a Roma, presso il ministero
dello Sviluppo economico, nell'ambito della sessione italiana del Foro di
dialogo delle società civili italo-russo per presentare il libro Europa
patria spirituale che raccoglie in un'edizione bilingue italiana e russa
curata da Pierluca Azzaro testi del cardinale Ratzinger e di Benedetto XVI
dedicati all'Europa (Mosca-Roma, Russian Orthodox Church - Sofia, 2009,
pagine 231, euro 9,50).
[Introduzione dell'Arcivescovo
Hilarion]
Prove di “possibile cooperazione” tra Vaticano e Chiesa russo-ortodossa
continuano tra Roma e Mosca. E il piano su cui si muovono è sempre quello della
lotta per l'affermazione delle radici cristiane in un'Europa “minacciata dal
secolarismo”. Ultimo episodio che fa sperare in un reale clima di maggiore
vicinanza tra le due Chiese, è la presentazione (oggi a Roma) di “Europa Patria
spirituale”, volume in edizione bilingue italiana e russa che raccoglie i
discorsi che Joseph Ratzinger - Benedetto XVI ha dedicato all’Europa nell’arco
di un decennio. L'aspetto inedito è che per la prima volta l'editore del libro è
lo stesso Patriarcato di Mosca. L'introduzione al volume è del presidente del
Dipartimento per le Relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, l’arcivescovo
Hilarion di Volokolamsk. L’iniziativa editoriale è del Dipartimento Relazioni
esterne del Patriarcato in cooperazione con la Associazione internazionale
“Sofia”.
La pubblicazione avviene alla vigilia della visita che il presidente russo
Dmitry Medvedev compirà proprio domani in Vaticano, dove incontrerà il Papa. Il
capo del Cremlino arriverà il 3 dicembre in Italia in occasione dei vertici
bilaterali dei capi di Stato e di governo dei due Paesi. Negli ambienti
diplomatici legati al Vaticano, da alcuni mesi, circola la voce che sia sempre
più concreta l'ipotesi dell'apertura di un'ambasciata russa presso la Santa
Sede. Pochi mesi fa, lo stesso Medvedev ne aveva accennato, con la stampa
italiana, come a una prospettiva possibile.
Da quando Kirill è stato eletto Patriarca di Mosca e di tutte le Russie a
gennaio, succedendo ad Alessio II, l'attività di incontri, visite e scambi di
messaggi tra rappresentanti delle due Chiese si è moltiplicata. Secondo lo
Ieromonaco Filipp Ryabyh, vicepresidente del Dipartimento per le Relazioni
esterne del Patriarcato di Mosca e Portavoce, tra Benedetto XVI e Kirill c'è
“assoluta identità di vedute e di posizioni rispetto ai moderni processi
sociali” ed “enormi” sono le possibilità di cooperazione cattolica-ortodossa.
I segnali positivi sono molti. Kirill ha già incontrato tre volte Benedetto XVI
in Vaticano (tra il 2005 e il 2007), quando era presidente del Dipartimento per
le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca. L'estate scorsa la first lady
Svetlana Medvedev ha presenziato alla consacrazione della nuova parrocchia
ortodossa all'interno dell'ambasciata russa in Italia. A parole tutto lascia ben
pensare. Secondo il Patriarca, “le nostre posizioni coincidono nell’ambito della
difesa della moralità e dei valori tradizionali nel mondo moderno”.
Ma il nodo più grande da sciogliere rimane. E il primato petrino c'entra poco.
“Non possiamo ignorare i problemi che permangono nei rapporti tra la Chiesa
cattolica e quella ortodossa”, nota lo stesso Kirill. E il riferimento è alle
questioni legate ai greco-cattolici in Ucraina, alla presenza del Patriarcato di
Mosca in questo Paese e al presunto proselitismo della Chiesa cattolica
all'interno del “territorio canonico russo”.
[Fonte:
AsiaNews 2 dicembre 2009
Il presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del
Patriarcato di Mosca introduce un libro in russo e in italiano che raccoglie
tre discorsi del cardinale Ratzinger e un'omelia di Benedetto XVI
di Hilarion Alfeyev
Arcivescovo di Volokolamsk
Viaggiando in Europa, specialmente nei Paesi tradizionalmente
protestanti, mi stupisco sempre nel vedere non poche chiese abbandonate
dalle loro congregazioni, specie quelle trasformate in pub, in club, negozi,
o in luoghi di attività profana di altro genere ancora. Vi è qualcosa di
profondamente deplorevole in questo triste spettacolo. Io vengo da un Paese
nel quale per molti decenni le chiese vennero utilizzate per scopi
irreligiosi.
Tanti luoghi di culto furono completamente distrutti, altri convertiti in
"musei di ateismo", e altri ancora riadattati per destinarli a istituzioni
secolari. Fu questo uno dei tratti del così detto "ateismo militante" che ha
dominato per settant'anni nel mio Paese e crollò solo in epoca piuttosto
recente. Ma in Europa occidentale, quale è la causa di fenomeni simili?
Perché lo spazio della religione all'interno della società occidentale si è
ridotto in modo tanto rilevante nei decenni recenti? Come mai la religione
ha sempre meno spazio nella sfera pubblica? E ancora: perché questa
contrazione nella presenza religiosa in Europa è coincisa con i processi di
consolidamento a livello politico, finanziario, economico e sociale?
Non tenterò di dare una risposta a tutte queste domande. Mi limiterò invece
a qualche osservazione sul ruolo della religione nell'Europa moderna, sul
possibile contributo delle Chiese e delle comunità religiose al processo di
integrazione europea e sui modi in cui le Chiese possono sviluppare il loro
rapporto col mondo. Parlerò sia da rappresentante ufficiale della Chiesa
Ortodossa Russa, sia da persona la cui esperienza personale è maturata anche
dal contatto con culture europee. Esporrò quindi non solo la posizione
ufficiale della mia Chiesa, ma tenterò di offrire anche delle riflessioni
personali.
L'Europa è un fenomeno etnico-culturale unico. In un territorio
comparativamente piccolo, coesistono culture diverse, ciascuna con la
propria identità, lingua e tradizione plurisecolare. Nel corso della loro
storia, le nazioni d'Europa sono state lacerate da contrasti che spesso sono
sfociati in conflitti armati. Nella maggior parte dei casi, questi atti di
aggressione erano il risultato di una collisione degli interessi politici
dei singoli Paesi, ma non di rado la loro origine fu di natura culturale.
Alcuni conflitti hanno avuto anche una dimensione religiosa, come quelli tra
cattolici e protestanti o tra cristiani e musulmani. Certe rivalità
interconfessionali e interreligiose continuano ancora oggi: basti pensare
all'Irlanda del Nord e al Kosovo.
Nell'epoca del colonialismo, quando il mondo venne ripartito dagli imperi
europei nelle rispettive sfere d'influenza, le contraddizioni interne
all'Europa assunsero una portata globale. Le due guerre mondiali del XX
secolo, che coincisero con la disintegrazione del sistema coloniale, furono
infatti guerre europee, poiché esse furono il risultato degli scontri tra
gli Stati dominanti in Europa. Queste guerre, però, colpirono il mondo
intero. Di più: svelarono un enorme potenziale distruttivo nel variegato
conglomerato di nazioni e culture europee.
All'indomani della seconda guerra mondiale, quando l'Europa era in macerie,
divenne evidente la necessità di una solidarietà paneuropea, e non solo per
la sopravvivenza del continente, ma del mondo intero. Bisognava evitare a
tutti costi quella terza guerra mondiale che avrebbe potuto annientare
l'intera razza umana. È per questo motivo che, immediatamente dopo il 1945,
si iniziò a dare forma a un sistema di vicendevole appoggio e solidarietà,
ed ebbe inizio un processo d'integrazione dei Paesi occidentali che mirava
alla costituzione degli "Stati Uniti d'Europa". Anche la presenza di un
"grande fratello" dietro la cortina di ferro spingeva l'Occidente a operarsi
per l'integrazione e l'unificazione.
In principio questo processo ebbe dimensioni solo economiche, militari e
politiche. E tuttavia, col passare del tempo l'esigenza di uno spazio
culturale comune, di un'unica civiltà europea, divenne sempre più acuta. Si
ritenne così necessario sviluppare una nuova, universale ideologia che,
riducendo le tensioni ideologiche e religiose che esistevano tra i diversi
popoli, avrebbe potuto assicurare la tranquilla coesistenza tra le varie
culture nella rete di in un'unica civiltà europea. Per creare un'ideologia
di così ampia portata, era necessario ridurre tutte le tradizioni culturali,
ideologiche e religiose d'Europa a un denominatore comune. Il ruolo di tale
denominatore fu assunto dall'umanesimo occidentale "post-cristiano", i cui
principi essenziali furono formulati nell'epoca dell'Illuminismo e "testati"
durante la Rivoluzione francese.
Il modello di una nuova Europa basata su questa ideologia presuppone
l'edificazione di una società dichiaratamente secolarista, nella quale la
religione può avere spazio unicamente nella sfera privata. In conformità a
questo modello secolarizzato, la religione deve essere separata sia dallo
Stato che dalla società: non deve avere alcuna influenza sullo sviluppo
sociale, né interferire nella vita politica. Un tale modello non solo riduce
a zero la dimensione sociale di ogni religione ma costituisce una sfida per
la vocazione missionaria di tante comunità religiose. Per le Chiese
cristiane, questo modello rappresenta un'autentica intimidazione perché mina
la loro possibilità di predicare il vangelo a "tutte le nazioni", di
annunciare Cristo al mondo. Se il modello secolarizzato verrà
incondizionatamente imposto all'Europa senza tenere in alcuna considerazione
il ruolo specifico che la religione ha nella società, allora essa sarà
spinta nel ghetto, lì dove le sarebbe anche consentito di esistere, ma da
dove le sarebbe sempre difficile emergere.
I fedeli della Chiesa Ortodossa Russa vissero in un ghetto tanti decenni.
Quando nel 1917 salirono al potere i bolscevichi, uno dei primi decreti che
essi emanarono fu quello sulla separazione della Chiesa dallo Stato e della
scuola dalla Chiesa. L'introduzione del primo principio, quello della
separazione della Chiesa dallo Stato, era infatti attesa da tempo. Perché,
sin dall'inizio del secolo XVIII, in Russia la Chiesa si trovava sotto il
controllo dello Stato e cercava il modo per liberarsene. E tuttavia,
separare la scuola dalla Chiesa significava che la Chiesa non avrebbe potuto
svolgere più alcun ruolo nell'educazione. Poco dopo la rivoluzione, quando i
bolscevichi adottarono la dottrina dell'ateismo militante, alla Chiesa fu
vietata la gestione di alcun centro di istruzione proprio. Non le era
permesso pubblicare né libri né periodici, né di insegnare religione a
bambini e ai giovani, né di invitare adolescenti alla divina liturgia come
chierichetti. Per tanti decenni, sino agli anni Ottanta, era inimmaginabile
vedere un prete all' interno di una scuola, o un insegnante andare in
chiesa, o uno scolaretto prestare servizio in una chiesa. Il confine tra il
ghetto e il mondo esterno era tenuto strettamente sotto controllo, e i
trasgressori, quali essi fossero, severamente puniti.
Nell'Unione Sovietica la religione fu perseguitata per settant'anni. Vi
furono diverse ondate di persecuzione, e ognuna ebbe un suo particolare
carattere. Negli ultimi anni Venti e negli anni Trenta, le persecuzioni
furono più crudeli. Gran parte del clero fu messa a morte; tutti i
monasteri, le scuole teologiche e la maggioranza delle chiese furono chiuse.
Un periodo meno brutale seguì alla fine della seconda guerra mondiale,
quando alcuni monasteri furono riaperti insieme a qualche scuola. Negli anni
Sessanta, ebbe inizio una nuova ondata di severe persecuzioni, che mirava al
totale annientamento della religione che avrebbe dovuto compiersi entro
l'inizio degli anni Ottanta. A metà degli anni Ottanta, però, la Chiesa non
solo era ancora viva ma, di fatto, per quanto lentamente, essa stava
crescendo. Mentre il sistema ideologico sovietico cominciava a decadere,
questa crescita diveniva sempre più rapida e lo Stato guardava alla Chiesa
con favore crescente. Erano dunque in atto notevoli cambiamenti nel rapporto
tra Stato e Chiesa. Una cosa, tuttavia, non mutò mai: il divieto comminato
alla religione di uscire da quel ghetto nel quale era stata confinata dal
regime ateo. La Chiesa era esclusa sempre da qualsiasi possibile contatto
con la vita della società che, a sua volta, era "protetta" da uno scudo
contro ogni possibile influenza religiosa. Essere un credente significava
essere un paria: temi riguardanti la fede non si trattavano apertamente, le
proprie convinzioni religiose si tenevano nascoste e venivano evitate
conversazioni su argomenti spirituali.
Ora, i processi che attualmente hanno luogo in Europa hanno qualche
somiglianza con quelli nell'Unione Sovietica. Per la religione, il
secolarismo militante è tanto pericoloso quanto lo fu l'ateismo militante.
Tendono entrambi a escludere la religione dalla sfera pubblica e politica,
relegandola in un ghetto, confinandola nell'ambito della devozione privata.
Le regole non scritte di political correctness vengono sempre più spesso
applicate alle istituzioni religiose. In tanti casi ciò implica il fatto che
i credenti non possono più esprimere le loro convinzioni apertamente, in
quanto l'esprimere pubblicamente la propria convinzione religiosa potrebbe
essere considerata una violazione dei diritti di coloro che non la
condividono.
Si potrebbe aggiungere che in Occidente la stampa laica ha un atteggiamento
in larga misura negativo nei confronti delle Chiese cristiane: la loro vita
reale non interessa i giornalisti. Di solito essi sono interessati agli
scandali tra le comunità o al loro interno. Non si può assolvere le Chiese
dalla loro responsabilità per questi tristi episodi, ma la vita delle Chiese
non è fatta solo di essi, e tuttavia sono solo episodi del genere a essere
seguiti abbondantemente dai media. Sorge questa domanda: tale informazione
negativa dei media costituisce un atto deliberato per minare la
testimonianza cristiana nel mondo? E se così fosse, un tale comportamento
potrebbe essere considerato come parte di una politica più vasta, che tende
alla progressiva emarginazione del cristianesimo dalla società sino alla sua
completa espulsione?
I risultati di questa politica sono abbastanza evidenti. In alcuni Paesi,
specialmente quelli che non sono a maggioranza cattolica od ortodossa, le
maestose cattedrali che sino qualche decennio fa contenevano migliaia di
fedeli in preghiera sono semivuote; i seminari teologici chiudono per
mancanza di vocazioni; le comunità religiose non si rinnovano; le proprietà
delle Chiese sono vendute; i luoghi di culto trasformati in centri per
attività mondane. Ancora una volta è innegabile che in tanti casi sono le
Chiese stesse responsabili della situazione, ma l'effetto distruttivo del
secolarismo non va sottovalutato. La religione è realmente espulsa dalla
sfera pubblica, sempre più marginalizzata dalla società secolarizzata. E
questo nonostante il fatto che in tutto l'Occidente e in Europa in
particolare la maggior parte della gente creda ancora in Dio.
Molti europei si pongono le stesse domande: come possiamo salvaguardare la
testimonianza cristiana per il mondo? Come evitare che la società vada a
fondo nell'abisso del secolarismo? Come riportare i giovani a Dio? Come
costruire ponti tra la Chiesa da un lato e lo Stato, la società e i mass
media dall'altro? La Chiesa Ortodossa Russa, con la sua esperienza unica di
sopravvivenza alle più dure persecuzioni, alla lotta contro l'ateismo
militante, riemergendo dal ghetto allorché la situazione politica cambiava,
recuperando il proprio posto nella società e ridefinendo le proprie
responsabilità sociali, può essere d'aiuto all'Europa per trovare risposte a
questi interrogativi. La Russia e le altre Repubbliche dell'ex-Unione
Sovietica, diversamente da tanti Paesi dell'Europa occidentale, stanno
vivendo un periodo di rinascita religiosa: milioni di persone tornano a Dio;
ovunque si costruiscono chiese e monasteri. La Chiesa Ortodossa Russa che
indubbiamente oggi è una tra le Chiese al mondo che crescono più
rapidamente, non ha penuria di vocazioni: al contrario, migliaia di giovani
entrano nelle sue scuole teologiche per consacrare la loro vita a Dio.
La Chiesa Ortodossa Russa compie seri sforzi intellettuali al fine di
comprendere il ruolo del cristianesimo in un mondo secolarizzato, per
definire il suo rapporto con la società e con lo Stato, affinché venga
formulata con chiarezza la posizione della Chiesa nelle questioni chiave
della modernità. "Le Fondamenta della Dottrina Sociale della Chiesa
Ortodossa Russa", documento adottato dal concilio dei vescovi del 2000, è la
prova scritta del fatto che la Chiesa si accosta a questi problemi in
maniera matura e responsabile, e che essa ha un potenziale intellettuale
tale da essere in grado di dare a essi risposte equilibrate e comprensibili.
Una volta letto questo documento, che è il primo testo di questo genere
nell'intera storia della cristianità ortodossa, ciascuno vede che esso
appartiene a una Chiesa che non vive più in un ghetto, ma si trova piuttosto
nel pieno delle proprie forze. Danneggiata pesantemente dall'ateismo
militante, questa Chiesa non è stata mai distrutta. Al contrario, è uscita
dalla esperienza di fuoco della persecuzione rinnovata e ringiovanita.
Discesa agl'inferi e risorta dai morti, questa Chiesa ha davvero molto da
dire al mondo.
La situazione unica della Chiesa Ortodossa, la sua ricca esperienza
nell'ambito dei rapporti Chiesa-Stato, il suo radicamento nella cultura
europea, e il suo ruolo importante nell'edificazione di una nuova Europa,
sono elementi riconosciuti dagli esponenti ufficiali dell'Unione europea.
Per la Chiesa Ortodossa Russa, non vi può essere un unico modello
ideologico, né un singolo sistema di valori spirituali e morali da imporre
indiscriminatamente a tutti i Paesi europei. La Chiesa Ortodossa Russa vede
un'Europa basata sul pluralismo autentico, un'Europa nella quale la
diversità di tradizioni culturali, spirituali e religiose sia pienamente
rappresentata. Questa pluralità di tradizioni deve essere riflessa in ogni
documento legislativo e rispettata da ogni tribunale nelle sue sentenze. Se
le leggi e se quelle sentenze sono basate esclusivamente sui principi
radicati nell'umanesimo secolarista occidentale - con la sua particolare
concezione di pace, tolleranza, libertà, giustizia, rispetto per i diritti
umani, e così via - esse rischiano di non essere accettate da una larga
parte della popolazione europea, e in particolare da quelli che, in virtù
della loro appartenenza a una tradizione religiosa, hanno una visione
diversa di quegli stessi principi.
Secondo la posizione ufficiale del Patriarcato di Mosca, rispecchiata della
dichiarazione dal suo Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne
fatta in connessione al lavoro della Convenzione sul futuro dell'Europa, il
modello secolarista occidentale non presuppone normalmente nessun legame tra
valori religiosi e ordine sociale. Al contempo, fattori religiosi giocano un
ruolo cruciale nei formare le dottrine politiche e sociali in tanti luoghi
al di fuori della civiltà occidentale.
Le questioni poste dalla Chiesa Ortodossa Russa sono dunque queste: Se
l'Unione europea è chiamata a essere la casa comune per tanta gente, come
può il modello liberal umanistico secolarista circa la struttura politica
avere il diritto di esercitare in essa un monopolio, un modello in gran
parte riconducibile all'Europa occidentale e al Nord America? Non dovremmo
forse considerare maggiormente la crescita dell'influenza religiosa sulla
società, in particolare dell'Ortodossia, ma anche di gruppi neo-carismatici
e dell'islam? Non è giunta l'ora di capire che la società che viene privata
della possibilità di realizzare un'idea religiosa come suo elemento
principale e centrale viene privata del suo stesso futuro? I terrificanti
eventi in America del 2001 hanno mostrato quanto possa essere pericolosa la
collisione tra due "progetti globali", l'uno liberal umanistico e l'altro
radical conservatore allorché ognuno di essi si reputi senza alternativa, e
quando entrambi pretendano di esercitare un monopolio. La distruzione totale
dell'uno da parte dell'altro che a volte è stata proposta apertamente non è
una via d'uscita, piuttosto un suicidio. I partigiani della visione
umanistico liberale secolarista devono accettare un autentico pluralismo
d'idee e di opinioni in tutta l'Europa, devono riconoscere il diritto delle
varie comunità di conservare le proprie identità culturali e spirituali, il
nucleo delle quali molto spesso è costituito dalla religione.
Queste osservazioni di carattere generale hanno portato il Dipartimento per
le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca ad avanzare sin
dall'inizio proposte concrete rispetto alle clausole che dal suo punto di
vista si sarebbero dovute inserire nel futuro e definitivo trattato
costituzionale dell'Unione. In particolare, dovrebbe essere riconosciuto che
per tanti credenti sono i comandamenti di Dio a essere percepiti come la
fonte di valori universali, mentre i non-credenti ritengono che tali valori
abbiano differenti origini. Le organizzazioni religiose dovrebbero essere
trattate come rappresentanti di un settore della società: dovrebbe essere
rispettata e salvaguardata la loro libertà di avere una propria visione dei
valori fondamentali. Nel trattato costituzionale per l'Europa, la libertà
individuale deve avere un contrappeso nella libertà delle comunità culturali
e religiose. Infatti anch'esse hanno il diritto di proteggere la loro
integrità e preservare i valori sui quali si fonda la loro esistenza.
L'estendersi dell'Unione europea verso l'Oriente, prosegue la dichiarazione
del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne, non deve
significare l'espandersi di standard estranei alla cultura e al modo di
vivere dei Paesi che entrano o che stanno per entrare nell'Unione. La
dittatura totalitaria di un tempo non deve essere sostituita da una nuova
dittatura di meccanismi governativi paneuropei. Nell'Ue allargata, ciascuna
cultura e ciascuna nazione devono avere la libertà di esprimere la propria
particolarità e devono avere accesso ai meccanismi decisionali.
Vi dovrebbe essere chiara divisione tra le responsabilità e diritti
dell'Unione da un lato, e quelli degli Stati membri dall'altro. Per la
Chiesa Ortodossa Russa, ogni Stato deve avere il diritto di legiferare come
crede su quello che riguarda lo stato matrimoniale e quello familiare, sulle
questioni di bioetica, sui modelli educativi. I Paesi di tradizione
ortodossa, ad esempio, non accettano leggi che legalizzano l'eutanasia, i
matrimoni omosessuali, il traffico di droga, il mantenimento dei bordelli,
la pornografia, e così via.
Inoltre, crediamo che ogni Paese debba avere il diritto di sviluppare il
proprio modello circa il rapporto tra Stato e Chiesa. La legislazione che si
limita unicamente a garantire ai cittadini il diritto alla libertà religiosa
crea, nei fatti, le condizioni per una "concorrenza selvaggia" tra religioni
e confessioni. Dobbiamo invece creare insieme le condizioni per le quali le
libertà democratiche di un individuo, compreso il suo diritto
all'autodeterminazione religiosa, non si scontrino con i diritti delle
comunità nazionali a preservare la propria integrità, la fedeltà alle
proprie tradizioni, etica sociale e religione. Sono elementi di particolare
rilievo specialmente quando si tratta di creare una normativa relativa ai
movimenti di carattere religioso distruttivi ed estremisti come pure quando
si acquisiscono le prove di violazione della libertà religiosa da parte di
religioni tradizionali, la cui espansione dentro alcune parti d'Europa
minaccia l'ordine pubblico e sociale.
In molte democrazie europee la libertà religiosa del singolo individuo è
bilanciata dalla protezione accordata alle confessioni tradizionali, sia a
livello giuridico, sia al livello sociale. È necessario conservare la
varietà di modelli circa il rapporto tra Chiesa e Stato che l'Europa intera
ha ereditato dalla sua storia, permettendo ai singoli Paesi e ai singoli
popoli di determinare liberamente il grado di compenetrazione tra Chiesa e
Stato, della loro cooperazione in ambito sociale e umanitario, come anche
nel campo dell'istruzione, in quello della cultura, e in altri ancora.
Quanto detto mostra come la Chiesa Ortodossa Russa abbia già preso
accuratamente in considerazione i problemi che riguardano il futuro
dell'Europa, e come questi possano essere inseriti nei documenti fondanti
dell'Unione europea e nella legislazione europea. Il dialogo tra la Chiesa
Ortodossa Russa e le istituzioni politiche europee, è tuttavia solo
all'inizio. C'è da augurarsi che questo dialogo porti a un arricchimento
vicendevole e che la stessa Chiesa Ortodossa Russa possa approfittare di
questa stretta collaborazione con le istituzioni politiche europee. Per la
Chiesa Ortodossa Russa, che cerca di definire compiutamente il suo rapporto
con la società moderna, tale dialogo è essenziale.
Consentitemi ora di tornare al tema dell'integrazione europea e di offrire
alcune osservazioni riguardo le possibili conseguenze pratiche, qualora il
sistema secolarizzato dei valori fosse imposto all'Unione europea. Ove non
si dovesse dare alcuna garanzia alle comunità religiose, collisioni e
scontri tra le istituzioni religiose da un lato e mondo secolarizzato
dall'altro, saranno inevitabili. Questi scontri potranno avere luogo a vari
livelli e in rapporto a varie questioni, ma non è difficile prevedere che,
nella maggior parte dei casi, verteranno su temi attinenti alla morale, che
le comunità religiose da un lato e la società moderna dall'altro intendono
in modo diverso. Vi è già un divario abbastanza lampante tra il sistema di
valori esistente nelle religioni tradizionali e quello che è caratteristico
del mondo secolarizzato.
Le Fondamenta della Dottrina Sociale non è un manuale a uso privato: è un
documento pubblico nel quale la Chiesa Ortodossa Russa esprime le sue
posizioni ufficiali apertamente ed esplicitamente. Il linguaggio del
documento differisce da quello della società secolarizzata: la nozione del
peccato, ad esempio, è praticamente assente dal vocabolario del secolarismo.
Tuttavia, la Chiesa ritiene di avere il pieno diritto di esprimere le sue
posizioni pubblicamente, non solo quando concordano con le opinioni
generalmente accettate, ma anche quando discordano.
Vi sono tante posizioni articolate nelle Fondamenta della Dottrina Sociale
della Chiesa Ortodossa Russa che potrebbero non corrispondere agli standard
del secolarismo. Per esempio, la Chiesa considera l'aborto "un peccato
grave", uguale all'omicidio, e dichiara che "dal momento del concepimento
qualunque intervento contro la vita del futuro essere umano è criminale". La
Chiesa respinge anche, come "contro natura e moralmente inammissibile, la
cosiddetta "maternità surrogata", insieme a ogni forma d'inseminazione
extracorporea. La donazione umana è ritenuta una "sfida inequivocabile alla
natura stessa dell'essere umano e all'immagine di Dio in essa impressa, di
cui fanno parte integrante la libertà e l'unicità della persona". La terapia
fetale è considerata "assolutamente inammissibile". L'eutanasia è condannata
quale "forma di omicidio o di suicidio". Cambiare sesso è considerato una
"ribellione contro il Creatore" che la Chiesa non ammette: se si presentasse
per ricevere il battesimo qualcuno di sesso diverso da quello originario,
egli sarebbe battezzato secondo il "sesso al quale appartiene al momento
della nascita".
Sin quando la Chiesa Ortodossa terrà per se, riservate all'uso interno, tali
posizioni, presumibilmente esse saranno tollerate dalla società moderna
secolarizzata (la Chiesa Cattolica Romana ha posizioni simili). Ma cosa
accadrebbe se un singolo Paese dovesse adottare alcune di queste posizioni e
orientare su di esse la propria legislazione all'indomani dell'integrazione
europea? Non sarebbe forse quest'atto considerato una deviazione dai comuni
parametri europei? Sino a ora ogni Paese in Europa ha avuto il diritto di
stabilire le proprie norme rapportandosi direttamente alla morale umana. È
di importanza cruciale che, nella nuova Europa, ciascun Paese continui a
godere di questo diritto, e che nessuno standard livellante venga imposto ai
membri dell'Unione europea allargata. È d'importanza altrettanto cruciale
che Chiese e comunità religiose abbiano il diritto di esprimere le proprie
posizioni sulle questioni morali non solo privatamente ma anche
pubblicamente, senza essere accusate di interferire con norme stabilite, di
minacciare le minoranze o di promuovere uno spirito di intolleranza.
Alle Chiese deve essere riconosciuto il diritto di seguire le proprie
tradizioni canoniche, preferendole alla legge secolarizzata nei casi in cui
si verificassero sovrapposizioni ovvero un evidente contrasto. Secondo la
Dottrina Sociale della Chiesa Ortodossa Russa, "quando la legge umana
rigetta completamente la norma divina che ha valore assoluto, rimpiazzandola
con una contraria, allora quest'ultima cessa di essere legge e diventa
illegale, quali che siano le vesti giuridiche di cui si ammanta".
Quindi, "in tutto ciò che concerne l'ordine esclusivamente terreno delle
cose, il cristiano ortodosso deve obbedire alla legge, per quanto imperfetta
e sfavorevole essa sia. E tuttavia, qualora il rispetto della legge minaccia
la sua salvezza eterna e comporta l'apostasia o l'obbligo di commettere un
peccato agli occhi di Dio e del prossimo, il cristiano è chiamato a
professare con audacia la propria fede, per l'amore di Dio e della sua
verità e per la salvezza della propria anima, per la vita eterna. Dovrà
denunciare con mezzi legali la chiara violazione commessa dalla società o
dallo Stato contro le leggi e i comandamenti di Dio. E se tale atto dovesse
rivelarsi impossibile o inefficace, allora egli dovrà passare alla
disobbedienza civile". (iv, 9)
Ovviamente, la disobbedienza alla legge civile è una misura estrema, che una
Chiesa particolare può adottare in circostanze eccezionali. È tuttavia una
possibilità che non bisogna escludere a priori, nel caso che un sistema di
valori secolarizzati divenisse l'unico operante in Europa. Proprio al fine
di scongiurare questa possibilità, la legislazione europea dovrà essere
tanto inclusiva, da ammettere che siano rappresentate al suo interno una
pluralità di posizioni, comprese quelle delle maggiori comunità religiose
europee.
Nel 1992, l'allora Presidente della Commissione europea, Jacques Delors,
disse: "Non edificheremo l'Europa solamente su fondamenta legali o sulla
base di conoscenze economiche (...). Se, nel prossimo decennio, non avremo
saputo dare un'anima all'Europa, se non saremo stati in grado di infonderle
spiritualità e senso, allora la partita sarà persa". Nel dire ciò, Delors
molto probabilmente aveva in mente la necessità di riconoscere la dimensione
spirituale dell'integrazione europea, e non il bisogno di inventare una
qualche "spiritualità europea". Certo, l'Europa ha un'anima e una tradizione
spirituale di secoli. È questa tradizione che deve essere riscoperta e
ridonata all'Europa, in un tempo in cui vengono messi in discussione tutti i
valori tradizionali.
Un altro ex-Presidente della Commissione europea, Jacques Santer, affermò
che "l'Europa è ispirata dall'umanesimo che si basa sulla eredità
giudaico-cristiana" che "questo fatto dovrebbe riflettersi nella
dichiarazione dei diritti fondamentali". Concordando con questa
dichiarazione in via di principio, vorrei specificare che l'importanza
dell'eredità giudaico-cristiana non si limita ad aver dato forma alla
civiltà dell'umanesimo: sia la tradizione giudaica che quella cristiana sono
tradizioni vive, e il loro valore, insieme a quello della tradizione
islamica delle altre maggiori religioni, deve essere pienamente riconosciuto
e rispettato. Non è giusto assorbire indiscriminatamente tutte le tradizioni
in un unico "denominatore comune" poiché non sempre i loro sistemi di valore
coincidono con l'elemento di unificazione voluto.
Benché in Europa le Chiese e le diverse tradizioni religiose possono avere
differenti posizioni sui singoli problemi posti dalla modernità esse sono
unite nel chiedere che venga assicurato loro il diritto di preservare ed
esprimere pubblicamente i valori in cui credono. Queste tradizioni hanno
vitale importanza nel processo d'integrazione dell'Europa. Gran parte delle
Chiese d'Europa, attraverso la Conferenza delle Chiese europee e la
Commissione Cattolica delle Conferenze episcopali della Comunità europea,
hanno formulato proposte comuni riguardanti le Chiese e le comunità
religiose nel Trattato costituzionale dell'Unione europea: "L'Unione Europea
riconosce e rispetta il diritto delle Chiese e delle comunità religiose ad
organizzarsi liberamente in accordo con la legge nazionale, le loro
convinzioni ed i loro statuti, e di perseguire i propri obiettivi religiosi
nei contesto dei diritti fondamentali.
L'Unione Europea rispetta la specifica identità delle Chiese e delle
comunità religiose ed il loro contributo alla vita pubblica e mantiene con
esse un dialogo istituzionale.
L'Unione Europea rispetta e non pregiudica lo status che le Chiese e le
comunità religiose hanno rispetto alle singole legislazioni nazionali degli
Stati membri. L'Unione rispetta del pari lo status delle organizzazioni
filosofiche e non-confessionali".
Questi articoli, sottoposti all'attenzione della Convenzione sul futuro
dell'Europa perché fossero inclusi nelle sezioni appropriate della futura
costituzione europea, riflettono l'idem sentire della Chiesa Cattolica,
della Chiesa Ortodossa, delle Chiese protestanti e delle altre Chiese
cristiane. Io credo che la solidarietà tra cristiani europei debba divenire
sempre più manifesta man mano che progredisce il processo di definizione di
un comune sistema di valori europeo. Sarà soltanto insieme che i cristiani,
insieme con i rappresentanti delle altre religioni tradizionali in Europa,
saranno in grado di salvaguardare la propria identità, combattere il
"secolarismo militante" e affrontare le altre sfide della modernità. La
Chiesa Ortodossa Russa è pronta a collaborare a livello interconfessionale,
a livello interreligioso, come a livello politico, a livello sociale e a
tutti gli altri livelli con tutti coloro che non sono indifferenti alla
futura identità d'Europa, con tutti coloro che credono che i tradizionali
valori religiosi sono parte integrante di tale identità.
Vorrei infine commentare la recente sentenza della Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo contro l'Italia, vale a dire il divieto dell'esposizione dei
crocefissi nelle scuole italiane. Questa sentenza va contro il diritto di
ciascuno Stato a preservare le proprie tradizioni e la propria identità,
offende perciò l'inviolabile principio dell'autentico pluralismo delle
tradizioni. È una manifestazione inaccettabile di secolarismo militante.
L'attività della Corte Europea non deve capovolgersi in cinica farsa.
L'atteggiamento ultraliberista che ha prevalso nell'adozione di quella
decisione non deve dominare in Europa. Le fonti dell'Europa sono cristiane.
Il crocefisso è un simbolo universale, ed è assolutamente inammissibile che,
per assecondare gli standard ultraliberisti e ateistici, si privi l'Europa e
le sue istituzioni sociali dei simboli che per tanti secoli hanno formato e
unito le persone. Il crocefisso non è simbolo di violenza, ma di
conciliazione. Penso che in tutti questi ambiti possiamo collaborare con la
Chiesa Cattolica difendendo la tradizione cristiana nei confronti del
secolarismo militante e del liberismo aggressivo.
In tale quadro, vorrei in conclusione porvi la domanda seguente: stiamo noi
costruendo un'Europa completamente atea e secolarista, dove Dio è espulso
dalla società e la religione spinta nel ghetto del privato, oppure la nuova
Europa sarà vera casa delle religioni diverse, diventando così
autenticamente inclusiva e pluralista? Credo sia questa la domanda che le
Chiese in Europa e le comunità religiose devono fare, una domanda alla quale
i politici hanno il dovere di rispondere. È attorno a questa domanda che il
dialogo tra le comunità religiose e le istituzioni politiche europee
dovrebbe incentrarsi.
(©L'Osservatore Romano - 2 dicembre 2009 )
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