L’altro
islam. Quella studiosa dalla penna molto acuminata
Si chiama Latifa Lakhdar. Per i musulmani ortodossi rasenta l’eresia. Ma
anche ai cattolici del dialogo dice cose scomode. Un suo amore?
Sant’Agostino
Sandro Magister
__________
Latifa Lakhdar è tunisina, musulmana, discepola alla Sorbona di Mohamed
Arkoun. Insegna alla facoltà di scienze umane e sociali dell’università
di Tunisi. E ha scritto libri importanti, specie sulla condizione della
donna nelle società islamiche.
La sua tesi di fondo è che l’integralismo musulmano di oggi, anche
terroristico, non è una scheggia impazzita, ma fa tutt’uno con
l’ortodossia islamica: quella dell'università di Al Azhar, dei gran
mufti, dei celebrati teologi, degli imam che predicano nelle più
importanti moschee, delle monarchie, dei governi. La medesima ortodossia
islamica con la quale la Chiesa cattolica si sforza di dialogare.
E questa sua tesi controcorrente l’ha esposta lo scorso 11 ottobre in
Italia, a Riccione, in un convegno dal titolo “Islam e democrazia”. Il
quindicinale “Il Regno” dei religiosi dehoniani di Bologna ne ha
riportato il testo nel suo numero in data 15 ottobre, sotto il titolo:
“Ortodossia e integralismo. Gli ostacoli a una coscienza musulmana
moderna”.
Ecco come Latifa Lakhdar, in questo testo, argomenta la sua tesi.
La premessa è ottimistica: l’islam, «checché ne dicano gli spiriti
positivisti, può essere il fondamento di una coscienza musulmana moderna,
illuminata e liberale».
E non è vero che nessun rinnovamento sia in corso. Latifa Lakhdar porta
ad esempio l’Iran, dove la situazione è molto più mossa di quanto
generalmente si creda.
Il compito è comunque immenso ed urgente. E deve passare per «una
demistificazione della falsa linea di demarcazione fra l’ortodossia
musulmana e l’integralismo».
La demistificazione «consiste nel trattare il movimento integralista, che
ora è l’espressione maggiormente presa di mira dall’opinione pubblica
mondiale e quella più problematica, non come movimento religiosamente
scismatico rispetto all’ortodossia (come si tende a collocarlo
tacitamente), ma quale esso è realmente, cioè come movimento che si pone
nel cuore dell’ortodossia, così come essa venne fissata, chiusa e
dogmatizzata perlomeno fin dal V secolo dell’egira, e che da allora vive
sul proprio passato, [...] barricata dietro gli steccati teologici
dell’epoca classica dell’islam».
Questa fissità antimoderna dell’ortodossia islamica non è stata
intaccata dai movimenti di rinascimento (nahdha) e riforma (islah) del
secolo XIX. «I suoi pensatori volevano, da un lato, oltrepassare il
taqlid (la tradizione) e il naql (modo di conformarsi alla lettera), che
sono i veri meccanismi della riproduzione dell’ortodossia, ma,
dall’altro lato, lo facevano in vista di un progetto che si inseriva in
un modello esemplare appartenente al passato, in questo caso il modello
profetico. Attingendo le fonti della verità nel passato, il loro discorso
poteva essere solo tradizionale e quindi incapace di partecipare
efficacemente alla critica riformatrice dell’ortodossia».
E dal loro fallimento trasse nuovo vantaggio proprio l’ortodossia, «come
dimostra anzitutto il successo storico del wahhabismo, movimento che
attinge la propria dottrina dal hanbalismo sunnita, e in secondo luogo la
nascita e l’importante radicamento sociale dei raggruppamenti noti come
fratelli musulmani in Egitto e in India».
Arrivando al presente, Latifa Lakhdar mostra che c’è differenza solo
marginale «fra l’islam ortodosso, ufficiale, legale e non turbolento
dei regimi petroliferi arabi e quello contestatore, violento e attualmente
braccato di Bin Laden e dei suoi simili [...]. Le due forme attingono agli
stessi riferimenti teologici, hanno la stessa percezione culturale,
propongono o difendono lo stesso progetto di società».
A tipico esempio di questa comunanza di fondo tra ortodossia ed
estremismo, Latifa Lakhdar cita lo sceicco «egiziano e azhariano» Yusuf
Al-Qaradhawi, stabilitosi dagli anni Settanta nel Qatar, direttore nella
locale università del Research Centre for Sunna Studies e predicatore
popolarissimo dagli schermi della tv satellitare Al-Jazeera. I suoi
discorsi «hanno l’effetto di una bomba distruttrice sulla concezione e
la percezione moderne della vita nelle società arabo-musulmane e
soprattutto sullo statuto giuridico delle donne. In un paese come la
Tunisia, che è all’avanguardia per quanto riguarda questo statuto, un
numero crescente di donne torna a velarsi sotto l’influenza della parola
autoritaria di questo sceicco».
Di conseguenza, «l’integralismo musulmano non scomparirà dalla scena
moderna del mondo finché l’islam in quanto ortodossia (sunnita o
sciita, poco importa) non avrà conosciuto una sua rivoluzione critica».
Latifa Lakhdar respinge la previsione formulata da Gilles Kepel e da altri
intellettuali europei di un «declino dell’islamismo». A sparire a
forza sono piuttosto, fa notare, i pensatori musulmani modernizzanti, come
Hassan Hanafi in Egitto, il gruppo «15/21» in Tunisia e Mahmoud Mohamed
Taha in Sudan, quest’ultimo messo a morte dal giudice-teologo Hassan
Al-Turabi, altro maestro d’ortodossia e insieme ispiratore e protettore
di Osama Bin Laden.
Perché «l’ortodossia è il terreno di coltura dell’integralismo»
anche quando a parole lo condanna. E «l’integralismo è l’espressione
contemporanea, politicamente e ideologicamente offensiva, contestataria e
demodernizzante, dell’ortodossia».
Neppure i nazionalisti andati al potere in Egitto, Tunisia, Algeria e
Marocco hanno aiutato una modernizzazione dell’islam. Per neutralizzare
l’ortodossia, l’hanno «statalizzata». E così da allora lo Stato «ipoteca
la parola e i margini di libertà alle forze moderniste»; costringe
all’allineamento le classi borghesi moderate; contiene le spinte
integraliste con la sola forza della repressione «senza accorgersi con ciò
di avvantaggiarle a medio e lungo termine».
Insomma, se l’ortodossia «rappresenta il vero ostacolo alla modernità
intellettuale» è proprio perché «è sfuggita a lungo al confronto con
la storia».
La sua fissità dipende da come s’è formata. «L’ortodossia musulmana
è stata costituita e definitivamente chiusa in un tempo molto breve,
senza paragoni con la storia dell’ortodossia delle altre religioni
monoteiste».
E fin dall’inizio ha avuto una marcata caratterizzazione normativa e
politica. «Nei secoli IV e V dell’egira l’islam sunnita dominante
disponeva già praticamente di tutti i suoi testi normativi. La teologia,
intelligenza della fede come la definisce sant’Agostino, non potè
continuare nel pensiero musulmano oltre il V secolo dell’egira e si fermò
in seguito a una decisione politica. A continuare e a realizzarsi
pienamente fu invece il fiqh, che divenne, nel corso del tempo e
attraverso le stratificazioni dei manuali, tanto numerosi quanto
impoverenti, un meccanismo consistente nel dispensare la fede
essenzialmente attraverso la legge e le norme [...]».
«Così l’islam in quanto ortodossia si trova oggi ridotto a espressioni
giuridiche, alla sharia o ancora agli hudud, un insieme di leggi
disciplinari e punitive, che riflettono solo contingenze storiche nel
testo coranico, che pure è un testo trascendente, forte, con un
linguaggio pieno di segni, simboli e metafore, un discorso destinato
essenzialmente all’anima e all’assoluta trascendenza della fede».
Conclude Latifa Lakhdar: «Il problema è che la teologia islamica ha
cessato di essere un movimento di mediazione fra la fede e la storia, come
dovrebbe essere per essenza, per diventare un semplice movimento di
ripetizione. Ne consegue che l’islam sta vivendo un grande paradosso
storico: quello di un legame con il mondo moderno stabilito mediante una
mediazione medievale. È questo paradosso a fare posto, ancora una volta,
all’integralismo».
__________
Il testo integrale di Latifa Lakhdar
si trova in “Il Regno”, n. 18, 15 ottobre 2002, pagine 596-599. Per
gli abbonati è disponibile anche on line:
__________
Tratto da l'Espresso, gennaio 2003
|