Cristianesimo e religioni per il futuro dell’Europa
XIX Incontro internazionale e interreligioso di preghiera per la pace
“Il coraggio di un umanesimo di pace”
Lione, 12 settembre 2005

Intervento dell'Arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi alla Tavola rotonda su “Il futuro dell’Europa”


È proprio la difesa e la promozione della dignità della persona umana e dei suoi diritti, come di tutti i fondamentali valori morali e spirituali che vi sono connessi, a costituire il primo e più immediato ambito di azione che ci può e ci deve vedere impegnati, allo scopo di dare all’Europa il volto “nuovo” di una casa “accogliente” per tutti e “spalancata” sugli orizzonti dell’intera umanità.

<--Assemblea inaugurale

La tentazione dell’“euroscetticismo”

Parlare oggi di “futuro dell’Europa” può sembrare non così scontato, anche perché non si possono nascondere le difficoltà, le fatiche, o addirittura le “battute di arresto”, che il processo di costruzione di una “nuova Europa” va incontrando.

Basterebbe ricordare il travagliato iter di approvazione nei singoli Stati del Trattato costituzionale europeo, con la “bocciatura” che esso ha conosciuto in alcune consultazioni referendarie. Né si possono tacere i problemi economici, sociali e culturali posti al Continente europeo dall’evidente affacciarsi sulla scena mondiale di altri protagonisti, dalle dimensioni gigantesche, con il potere che essi vanno sempre più assumendo in ambito commerciale. Si deve poi aggiungere la “sfida” di un’autentica coabitazione pacifica nella stessa Europa di molteplici e diverse identità culturali e religiose: una “sfida” aggravata dal devastante fenomeno del terrorismo, che va oltre i confini europei e che viene identificato – ritengo in modo pretestuoso – da alcuni e in una certa opinione pubblica come “scontro tra civiltà”.

Tutto questo concorre a diffondere un clima di “euroscetticismo”, che porta a guardare all’Europa e al suo futuro con perplessità e sfiducia.

Ma è proprio in momenti come questi che appaiono quanto mai importanti e urgenti la presenza e l’azione di persone che non si arrendono all’ineluttabile.

La testimonianza di Giovanni Paolo II

Tra costoro – oltre ai “padri fondatori” dell’Europa contemporanea – va annoverato il papa Giovanni Paolo II, morto nello scorso mese di aprile, dalla cui intuizione hanno preso avvio anche questi “Incontri interreligiosi e interculturali per la pace”, promossi dalla Comunità di Sant’Egidio nello “spirito di Assisi”.

Sento vivo il bisogno di ricordarlo perché egli non ha mai smesso di guardare con speranza al “futuro dell’Europa”, ponendo le basi più solide perché esso si possa realizzare nel segno della verità, della giustizia, della libertà, della solidarietà e della pace.

Papa Wojtyla – che pure ha sperimentato il dramma di un’Europa attraversata dalla guerra, divisa in due tronconi e in gran parte soggiogata dalla dittatura – ha continuamente alzato con coraggio la sua voce e si è instancabilmente adoperato perché l’Europa comprendesse tutti i popoli e le Nazioni che le appartengono quasi per “diritto nativo”, ritrovasse la sua unità e si presentasse come autentica “casa comune” e come vera “famiglia di nazioni”.

Appassionatamente partecipe di ogni vicenda del Continente, ha saputo offrire all’Europa prospettive di alto profilo morale e spirituale. E ad essa ha indicato, come compito ineludibile, quello di riscoprire e valorizzare in tutta la loro potenzialità la preziosa e molteplice eredità religiosa e, in particolare, la profonda anima cristiana che hanno sempre caratterizzato e, in qualche modo, fondato l’Europa e il ricco patrimonio del suo umanesimo. In questo senso, il “futuro dell’Europa” è sempre stato descritto dal Papa nella direzione di una “Europa dello spirito”, fondata sui valori superiori che attingono alle dimensioni della trascendenza e della spiritualità e di cui il cristianesimo, insieme con le altre autentiche espressioni religiose, è portatore.

Si comprende, allora, come – ad esempio parlando, il 29 marzo 1999, ai membri dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa – lo stesso Giovanni Paolo II si sia così espresso: «La vostra Assemblea ha recentemente dichiarato che “la democrazia e la religione non sono incompatibili, al contrario… La religione, a motivo del suo impegno morale ed etico, dei valori che difende, del suo senso critico e della sua espressione culturale, può essere un prezioso partner della società democratica” (Raccomandazione 1396 [1999] n. 5)». E – dopo aver apprezzato questa raccomandazione, «poiché essa dà alla vita spirituale e all’impegno delle religioni nella vita sociale e nel servizio dell’uomo il posto che corrisponde loro» – così concludeva: «le religioni hanno un contributo particolare da apportare alla costruzione europea e rappresentano un fermento per la realizzazione di un’unione più stretta fra i popoli» (Giovanni Paolo ii, Profezia per l’Europa, a cura di M. Spezzibottiani, Piemme, Casale Monferrato, 1999, n. 1605).

Il contributo delle religioni per un “umanesimo di pace”

Ma ci chiediamo: in che cosa consiste questo “contributo particolare” e in qualche modo decisivo che le religioni possono offrire per la costruzione dell’Europa di oggi e di domani?

Si tratta di un apporto quanto mai specifico e originale, che affonda le sue radici nell’essenza stessa di ogni religione quale riconoscimento di Dio e della sua trascendenza e divinità da parte dell’uomo credente. Proprio in questo ogni religione ritrova ciò che di più originale e di più solido ha da offrire per il “futuro dell’Europa” e del mondo, nel segno di un nuovo “umanesimo di pace”.

È la storia stessa ad attestarlo. Ogni volta che non si è più riconosciuta la “santità” di Dio, anche la dignità dell’uomo è stata calpestata e la “sacralità” della sua vita non è stata più salvaguardata e tutelata. È, allora, proprio nel proclamare, testimoniare e riconoscere l’esistenza e la “santità” di Dio che le religioni possono offrire il loro insostituibile contributo per un nuovo “umanesimo di pace”, di cui il mondo ha un grande e insopprimibile bisogno.

Questo nuovo “umanesimo” nasce e si sviluppa solo nel riconoscimento di Dio. Quando ciò non avviene, è l’uomo stesso a farne le spese ed è la convivenza tra le persone e tra i popoli a subirne le più gravi e nefaste conseguenze. Quando si prescinde da ogni riferimento religioso e da ogni etica superiore, si smarrisce il senso dell’uomo e si apre la strada a ogni forma di dispotismo, alla manipolazione più radicale dell’uomo e della sua vita, alle più gravi ingiustizie, ai conflitti, al terrorismo, alle guerre. Viceversa, quando il senso di Dio rimane vivo nel cuore di ogni persona e nella cultura dei popoli, l’uomo – ogni uomo, qualunque ne sia la storia, la razza, la religione, la condizione sociale, economica e culturale – viene riconosciuto nella sua quasi infinita dignità e viene aperta la strada per una convivenza a misura dell’uomo stesso, nella solidarietà, nella giustizia, nella libertà e nella pace.

È, dunque, dalla forza debole e inerme delle religioni – che, professandone l’esistenza, mantengono vivo e vitale il senso di Dio – che può e deve venire il “coraggio di un umanesimo di pace”.

Ed è solo nutrendo e rafforzando il coraggio di questo umanesimo che anche l’Europa può avere un “futuro”. Non, però, un “futuro” qualsiasi, ma un “futuro” degno della sua storia e della sua vocazione, che le chiedono di consolidarsi secondo un modello nuovo di unità nella diversità e di realizzare se stessa come una “famiglia di nazioni” tra loro riconciliate, sempre aperta e accogliente nei confronti degli altri popoli e Continenti, responsabilmente coinvolta nell’attuale processo di globalizzazione, instancabilmente impegnata a costruire la pace dentro i suoi confini e nel mondo intero.

Le religioni nell’odierno contesto europeo

Questo, del ruolo e del compito delle religioni in ordine al “futuro dell’Europa”, è un tema particolarmente attuale in un contesto nel quale, a dispetto di ogni “profezia” contraria, il fenomeno religioso continua a presentarsi come un elemento tuttora presente e capace di attirare l’interesse di molti.

In realtà – nonostante che il secolo scorso si sia presentato, soprattutto in Europa, come il secolo più secolarizzato – assistiamo oggi, nel Continente europeo, ad una “rinascita religiosa”, che lascia stupefatti quanti avevano preconizzato, con lo svilupparsi e l’affermarsi della modernità, la “morte di Dio” e la pratica scomparsa delle religioni.

È pur vero che oggi in Europa la religione si propone in maniera diversa da come veniva proposta uno o due secoli fa e che il modo di viverla non è più quello del passato. Ma è altrettanto indubitabile che la vecchia Europa, pur così laica e secolarizzata, conosce una nuova vitalità dell’esperienza religiosa. A ben guardare, l’Europa si presenta come un continente nel quale religione e secolarizzazione sembrano andare di pari passo. Lo testimonia anche la vicenda dei regimi comunisti, nei quali, nonostante la politica antireligiosa più aggressiva, la religione non è mai scomparsa del tutto e nei quali, pur nel crescere di una diffusa secolarizzazione, si assiste oggi ad una fiorente rinascita religiosa.

Certo, quella di molti europei è un’esperienza religiosa spesso vissuta nel segno del “relativismo” e del “fai da te”. La religione diventa, così, sempre più un fatto assolutamente privato. Ne derivano, da parte di alcuni osservatori, la preoccupazione per l’affermarsi di un mondo senza identità e senza sicurezze e, nel contempo, la richiesta di far riemergere con forza il senso della radice etica cristiana dell’Europa: di farlo riemergere come uno strumento identitario che porti chiarezza, talvolta anche come un’arma da brandire per differenziarsi.

Ma parlare di religioni in Europa significa anche far riferimento al tema della “coabitazione” tra diverse religioni, una “coabitazione” che oggi conosce espressioni differenti da quelle di ieri. Le rive del Mediterraneo a maggioranza musulmana sono state per secoli una terra in cui, nel bene e nel male, ebrei, cristiani e musulmani vivevano insieme. Ma oggi, in quegli stessi Paesi, le minoranze sono quasi del tutto scomparse, a causa delle guerre, delle ideologie, dei conflitti religiosi e dell’antisemitismo: a Istanbul, Alessandria, Beirut, fino a Sarajevo, la “coabitazione” è finita e anche a Gerusalemme i cristiani sono sempre di meno. Anche in conseguenza delle immigrazioni, questa “coabitazione” si è, piuttosto, trasferita al Nord: a Parigi, Londra, Milano e in molte altre città europee. Ma oggi essa conosce non pochi problemi e difficoltà, così che la vera sfida è di dare vita ad una “coabitazione”, anzi ad una “convivenza”, nel segno del dialogo, del rispetto reciproco, dell’accoglienza, di una vera e propria amicizia.

Alcune “condizioni” per un positivo apporto delle religioni

In questo quadro, il ruolo importante e decisivo del cristianesimo e delle religioni per il “futuro” dell’Europa può davvero manifestarsi in modo positivo solo ad alcune “condizioni”, che qui richiamo brevemente e senza alcuna pretesa di completezza.

1. È necessario e urgente, anzitutto, riconoscere quanto la religione faccia intrinsecamente parte delle viscere più profonde della civiltà europea. Dimenticarlo o negarlo significa costruire il “futuro dell’Europa” su basi fragili e insicure e, in qualche modo, votare il Continente europeo alla sua dissoluzione. Parlando di religione in Europa, si deve sì far riferimento alle molteplici radici culturali e religiose che hanno segnato la vicenda storica di questo Continente. Ma non si può ignorare che tutte queste ispirazioni hanno storicamente trovato nella tradizione giudeo-cristiana una forza capace di armonizzarle, di consolidarle e di promuoverle. Né si può dubitare che il cristianesimo abbia impregnato, anche se laicizzandosi, le forme di vita e i valori europei. Tutto ciò va riconosciuto e riscoperto con fedeltà creativa, certi che il riferimento al cristianesimo non costituisce una sorta di substrato archeologico per la civiltà europea, ma ha a che fare con l’attualità della vita degli europei.

2. Nello stesso tempo, parlando di cristianesimo, emerge quanto mai pressante e indilazionabile la “sfida” dell’unità tra le grandi tradizioni cristiane: cattolica, ortodossa, anglicana e protestante. Non è più possibile che le Chiese cristiane coabitino nell’indifferenza o, peggio, nella concorrenza tra di loro. La loro responsabilità è di dare vita, con sempre maggiore determinazione e coraggio, ad una vera e propria testimonianza comune. È, questa dell’ecumenismo, una “sfida”, anzi un “dovere”, che esige dalle Chiese e dalle Comunità ecclesiali in Europa un sovrappiù di impegno e di coraggio. Se l’Europa è stata la culla della divisione tra i cristiani, i cristiani in Europa devono sentirsi impegnati più di chiunque altro a cercare le vie più adatte per giungere quanto prima al superamento delle divisioni. Fino a quando ciò non accade, come può il cristianesimo essere, in tutta la sua potenzialità, un reale fattore di unità e di pace e concorrere così all’edificazione di un’Europa a servizio della pace sulla terra?

3. Una terza condizione perché il compito delle religioni per il “futuro dell’Europa” si possa realizzare è di adoperarsi con tutte le energie per dare vita ad una vera “coabitazione” pacifica tra tutte le identità e le confessioni religiose, nella quale si sappia coniugare adeguatamente la dimensione della “identità”, con i suoi aspetti di stabilità, con quella della “evoluzione”. Le identità stesse, per altro, sono sempre realtà in evoluzione, che meglio si precisano e, in qualche modo, si arricchiscono nel confronto e nel dialogo con le altre tradizioni. In questa prospettiva, soprattutto oggi, vivere – anzi, convivere nel segno del rispetto, dell’accoglienza reciproca, della stima e dell’amicizia – con il “religiosamente altro” fa parte – deve far parte! – del codice di comportamento delle comunità religiose che abitano il Continente europeo. Il dialogo interreligioso non è solo un “imperativo etico”, ma è quasi un insopprimibile “bisogno” starei per dire fisiologico, se non si vuole che la compresenza di diverse identità religiose si trasformi in fattore di conflitto e di instabilità. E, per essere vero, questo dialogo non deve nascondere o minimizzare le differenze. Deve, piuttosto, riconoscerle con onestà, spronandoci tutti a rispettarci e ad amarci a vicenda anche in ciò che, a causa della nostra intima convinzione religiosa, ci distingue gli uni dagli altri.

4. Ancora: in un’Europa nella quale la presenza ebraica costituisce una componente decisiva e storica della cultura, occorre vedere l’ebraismo europeo come una realtà viva che tutti ci interpella. In questo ambito, è necessario che la memoria della “Shoà” – che ha rappresentato il punto più basso della storia di questo Continente – ci veda tutti responsabilmente coinvolti e ridesti le nostre coscienze, impegnandole ad eliminare ogni conflitto e ogni causa che sta alla radice dei conflitti stessi. Questo è ancora più importante e indilazionabile in un momento nel quale assistiamo con preoccupazione al riemergere dell’antisemitismo in forme nuove e in nuovi contesti e quando vanno manifestandosi nuove forme di ostilità generalizzata verso gli stranieri.

5. C’è, poi, la necessità di superare ogni apatia, disimpegno, parzialità o, addirittura, settarismo nel rapporto con i musulmani. Certo, per l’Islam, l’Europa è ancora una periferia. Ma il nostro Continente può rappresentare, per l’Islam stesso, un terreno di contatto significativo con i valori della nostra civiltà, con la laicità, con la democrazia. Molto dipenderà dal futuro dell’Islam in Europa. È, questa, una “sfida” che non ci deve lasciare passivi o, peggio ancora, in un atteggiamento di paura o di pessimismo. Molto dipenderà anche da tutti noi e, in particolare, dal rapporto che si verrà sviluppando, in Europa, tra cristiani e musulmani. È un rapporto – ricordava papa Benedetto XVI a Colonia, lo scorso 20 agosto – da vivere nel segno di un vero e proprio dialogo interreligioso e interculturale, che «non può ridursi ad una scelta stagionale», ma che si presenta come «una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro» (Ai rappresentanti di alcune comunità musulmane, Colonia, 20 agosto 2005, in «L’Osservatore Romano», 22-23 agosto 2005, p. 5). E, in questo rapporto, può rivelarsi particolarmente importante la questione dell’educazione dei giovani, una educazione da realizzare nel segno della collaborazione, così da far fronte, con ottimismo e speranza, alle numerose sfide che il nostro tempo ci propone.

6. Un’altra “condizione” ancora vorrei ricordare. È quella dell’azione comune di tutte le religioni per contrastare e superare la dilagante barbarie del terrorismo, che – qualunque ne sia la matrice – è sempre una scelta perversa, vile e crudele, indegna di ogni essere umano. È, questo, un impegno che non può conoscere indecisioni e non può accettare fiacchezze di nessun genere. È un impegno che esige da ogni credente di estirpare dai cuori qualsiasi sentimento di rancore, di non lasciare spazio a nessuna forma di intolleranza, di opporsi ad ogni violenza, di adoperarsi per sradicare dalla convivenza tutte le cause che possono favorire l’affermarsi di questa deriva del terrore. È un impegno, infine, che deve contare sulla forza disarmata e disarmante della preghiera.

Tutti uniti al servizio dell’uomo

Concludo rilevando che a tutti noi credenti – qualunque sia la nostra religione – è affidato un compito importante e irrinunciabile: quello di non arrenderci di fronte alle difficoltà e all’ineluttabilità di situazioni che possono sembrare senza via di uscita.

Il “futuro dell’Europa” dipende in gran parte anche da noi. Per noi tutti c’è un grande spazio di azione in cui essere uniti al servizio degli europei di oggi e di domani. È lo spazio di una fattiva, concreta, coraggiosa e fiduciosa collaborazione per la difesa e la promozione della dignità della persona e di tutti quei diritti che da essa scaturiscono, a iniziare dal diritto alla vita.

È proprio la difesa e la promozione della dignità della persona umana e dei suoi diritti, come di tutti i fondamentali valori morali e spirituali che vi sono connessi, a costituire il primo e più immediato ambito di azione che ci può e ci deve vedere impegnati, allo scopo di dare all’Europa il volto “nuovo” di una casa “accogliente” per tutti e “spalancata” sugli orizzonti dell’intera umanità.

È il nostro stesso essere “credenti” ad esigerlo! Ed è questa una condizione fondamentale perché il “futuro dell’Europa” sia all’insegna di un autentico “umanesimo di pace”.

+ Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano
 

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