Intervento
dell'Arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi alla Tavola rotonda su
“Il futuro dell’Europa”
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È proprio la
difesa e la promozione della dignità della persona umana e dei
suoi diritti, come di tutti i fondamentali valori morali e
spirituali che vi sono connessi, a costituire il primo e più
immediato ambito di azione che ci può e ci deve vedere
impegnati, allo scopo di dare all’Europa il volto “nuovo”
di una casa “accogliente” per tutti e “spalancata” sugli
orizzonti dell’intera umanità.
<--Assemblea inaugurale
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La tentazione dell’“euroscetticismo”
Parlare oggi di “futuro dell’Europa”
può sembrare non così scontato, anche perché non si possono
nascondere le difficoltà, le fatiche, o addirittura le “battute
di arresto”, che il processo di costruzione di una “nuova
Europa” va incontrando.
Basterebbe ricordare il travagliato iter di
approvazione nei singoli Stati del Trattato costituzionale
europeo, con la “bocciatura” che esso ha conosciuto in alcune
consultazioni referendarie. Né si possono tacere i problemi
economici, sociali e culturali posti al Continente europeo dall’evidente
affacciarsi sulla scena mondiale di altri protagonisti, dalle
dimensioni gigantesche, con il potere che essi vanno sempre più
assumendo in ambito commerciale. Si deve poi aggiungere la “sfida”
di un’autentica coabitazione pacifica nella stessa Europa di
molteplici e diverse identità culturali e religiose: una “sfida”
aggravata dal devastante fenomeno del terrorismo, che va oltre
i confini europei e che viene identificato – ritengo in modo
pretestuoso – da alcuni e in una certa opinione pubblica come “scontro
tra civiltà”.
Tutto questo concorre a diffondere un clima di “euroscetticismo”,
che porta a guardare all’Europa e al suo futuro con perplessità e
sfiducia.
Ma è proprio in momenti come questi che appaiono
quanto mai importanti e urgenti la presenza e l’azione di persone
che non si arrendono all’ineluttabile.
La testimonianza di Giovanni Paolo II
Tra costoro – oltre ai “padri fondatori” dell’Europa
contemporanea – va annoverato il papa Giovanni Paolo II,
morto nello scorso mese di aprile, dalla cui intuizione hanno preso
avvio anche questi “Incontri interreligiosi e interculturali per la
pace”, promossi dalla Comunità di Sant’Egidio nello “spirito di
Assisi”.
Sento vivo il bisogno di ricordarlo perché egli non
ha mai smesso di guardare con speranza al “futuro dell’Europa”,
ponendo le basi più solide perché esso si possa realizzare nel segno
della verità, della giustizia, della libertà, della solidarietà e
della pace.
Papa Wojtyla – che pure ha sperimentato il dramma
di un’Europa attraversata dalla guerra, divisa in due tronconi e in
gran parte soggiogata dalla dittatura – ha continuamente alzato con
coraggio la sua voce e si è instancabilmente adoperato perché l’Europa
comprendesse tutti i popoli e le Nazioni che le appartengono quasi per
“diritto nativo”, ritrovasse la sua unità e si presentasse come
autentica “casa comune” e come vera “famiglia di nazioni”.
Appassionatamente partecipe di ogni vicenda del
Continente, ha saputo offrire all’Europa prospettive di alto
profilo morale e spirituale. E ad essa ha indicato, come compito
ineludibile, quello di riscoprire e valorizzare in tutta la loro
potenzialità la preziosa e molteplice eredità religiosa e, in
particolare, la profonda anima cristiana che hanno sempre
caratterizzato e, in qualche modo, fondato l’Europa e il ricco
patrimonio del suo umanesimo. In questo senso, il “futuro dell’Europa”
è sempre stato descritto dal Papa nella direzione di una “Europa
dello spirito”, fondata sui valori superiori che attingono alle
dimensioni della trascendenza e della spiritualità e di cui il
cristianesimo, insieme con le altre autentiche espressioni religiose,
è portatore.
Si comprende, allora, come – ad esempio parlando,
il 29 marzo 1999, ai membri dell’Assemblea Parlamentare del
Consiglio d’Europa – lo stesso Giovanni Paolo II si sia così
espresso: «La vostra Assemblea ha recentemente dichiarato che “la
democrazia e la religione non sono incompatibili, al contrario… La
religione, a motivo del suo impegno morale ed etico, dei valori che
difende, del suo senso critico e della sua espressione culturale, può
essere un prezioso partner della società democratica” (Raccomandazione
1396 [1999] n. 5)». E – dopo aver apprezzato questa
raccomandazione, «poiché essa dà alla vita spirituale e all’impegno
delle religioni nella vita sociale e nel servizio dell’uomo il posto
che corrisponde loro» – così concludeva: «le religioni hanno
un contributo particolare da apportare alla costruzione europea e
rappresentano un fermento per la realizzazione di un’unione più
stretta fra i popoli» (Giovanni Paolo ii, Profezia per l’Europa,
a cura di M. Spezzibottiani, Piemme, Casale Monferrato, 1999, n.
1605).
Il contributo delle religioni per un “umanesimo
di pace”
Ma ci chiediamo: in che cosa consiste questo “contributo
particolare” e in qualche modo decisivo che le religioni possono
offrire per la costruzione dell’Europa di oggi e di domani?
Si tratta di un apporto quanto mai specifico
e originale, che affonda le sue radici nell’essenza stessa
di ogni religione quale riconoscimento di Dio e della sua
trascendenza e divinità da parte dell’uomo credente. Proprio in
questo ogni religione ritrova ciò che di più originale e di più
solido ha da offrire per il “futuro dell’Europa” e del mondo,
nel segno di un nuovo “umanesimo di pace”.
È la storia stessa ad attestarlo. Ogni volta che
non si è più riconosciuta la “santità” di Dio, anche la
dignità dell’uomo è stata calpestata e la “sacralità” della
sua vita non è stata più salvaguardata e tutelata. È, allora,
proprio nel proclamare, testimoniare e riconoscere l’esistenza e
la “santità” di Dio che le religioni possono offrire il
loro insostituibile contributo per un nuovo “umanesimo
di pace”, di cui il mondo ha un grande e insopprimibile bisogno.
Questo nuovo “umanesimo” nasce e si
sviluppa solo nel riconoscimento di Dio. Quando ciò non
avviene, è l’uomo stesso a farne le spese ed è la convivenza tra
le persone e tra i popoli a subirne le più gravi e nefaste
conseguenze. Quando si prescinde da ogni riferimento religioso e da
ogni etica superiore, si smarrisce il senso dell’uomo e si apre la
strada a ogni forma di dispotismo, alla manipolazione più radicale
dell’uomo e della sua vita, alle più gravi ingiustizie, ai
conflitti, al terrorismo, alle guerre. Viceversa, quando il senso di
Dio rimane vivo nel cuore di ogni persona e nella cultura dei popoli,
l’uomo – ogni uomo, qualunque ne sia la storia, la razza, la
religione, la condizione sociale, economica e culturale – viene
riconosciuto nella sua quasi infinita dignità e viene aperta la
strada per una convivenza a misura dell’uomo stesso, nella
solidarietà, nella giustizia, nella libertà e nella pace.
È, dunque, dalla forza debole e inerme delle
religioni – che, professandone l’esistenza, mantengono vivo e
vitale il senso di Dio – che può e deve venire il “coraggio di
un umanesimo di pace”.
Ed è solo nutrendo e rafforzando il coraggio di
questo umanesimo che anche l’Europa può avere un “futuro”.
Non, però, un “futuro” qualsiasi, ma un “futuro” degno
della sua storia e della sua vocazione, che le chiedono di
consolidarsi secondo un modello nuovo di unità nella diversità
e di realizzare se stessa come una “famiglia di nazioni” tra
loro riconciliate, sempre aperta e accogliente nei
confronti degli altri popoli e Continenti, responsabilmente coinvolta
nell’attuale processo di globalizzazione, instancabilmente impegnata
a costruire la pace dentro i suoi confini e nel mondo intero.
Le religioni nell’odierno contesto europeo
Questo, del ruolo e del compito delle religioni in
ordine al “futuro dell’Europa”, è un tema particolarmente
attuale in un contesto nel quale, a dispetto di ogni “profezia”
contraria, il fenomeno religioso continua a presentarsi come un
elemento tuttora presente e capace di attirare l’interesse di molti.
In realtà – nonostante che il secolo scorso si
sia presentato, soprattutto in Europa, come il secolo più
secolarizzato – assistiamo oggi, nel Continente europeo, ad una “rinascita
religiosa”, che lascia stupefatti quanti avevano preconizzato,
con lo svilupparsi e l’affermarsi della modernità, la “morte di
Dio” e la pratica scomparsa delle religioni.
È pur vero che oggi in Europa la religione si
propone in maniera diversa da come veniva proposta uno o due secoli fa
e che il modo di viverla non è più quello del passato. Ma è
altrettanto indubitabile che la vecchia Europa, pur così laica e
secolarizzata, conosce una nuova vitalità dell’esperienza
religiosa. A ben guardare, l’Europa si presenta come un continente
nel quale religione e secolarizzazione sembrano andare di pari
passo. Lo testimonia anche la vicenda dei regimi comunisti, nei
quali, nonostante la politica antireligiosa più aggressiva, la
religione non è mai scomparsa del tutto e nei quali, pur nel crescere
di una diffusa secolarizzazione, si assiste oggi ad una fiorente
rinascita religiosa.
Certo, quella di molti europei è un’esperienza
religiosa spesso vissuta nel segno del “relativismo” e del “fai
da te”. La religione diventa, così, sempre più un fatto
assolutamente privato. Ne derivano, da parte di alcuni osservatori, la
preoccupazione per l’affermarsi di un mondo senza identità e senza
sicurezze e, nel contempo, la richiesta di far riemergere con forza il
senso della radice etica cristiana dell’Europa: di farlo riemergere
come uno strumento identitario che porti chiarezza, talvolta anche
come un’arma da brandire per differenziarsi.
Ma parlare di religioni in Europa significa anche
far riferimento al tema della “coabitazione” tra diverse
religioni, una “coabitazione” che oggi conosce espressioni
differenti da quelle di ieri. Le rive del Mediterraneo a maggioranza
musulmana sono state per secoli una terra in cui, nel bene e nel male,
ebrei, cristiani e musulmani vivevano insieme. Ma oggi, in quegli
stessi Paesi, le minoranze sono quasi del tutto scomparse, a causa
delle guerre, delle ideologie, dei conflitti religiosi e dell’antisemitismo:
a Istanbul, Alessandria, Beirut, fino a Sarajevo, la “coabitazione”
è finita e anche a Gerusalemme i cristiani sono sempre di meno. Anche
in conseguenza delle immigrazioni, questa “coabitazione” si è,
piuttosto, trasferita al Nord: a Parigi, Londra, Milano e in molte
altre città europee. Ma oggi essa conosce non pochi problemi e
difficoltà, così che la vera sfida è di dare vita ad una “coabitazione”,
anzi ad una “convivenza”, nel segno del dialogo, del rispetto
reciproco, dell’accoglienza, di una vera e propria amicizia.
Alcune “condizioni” per un positivo apporto
delle religioni
In questo quadro, il ruolo importante e decisivo
del cristianesimo e delle religioni per il “futuro” dell’Europa
può davvero manifestarsi in modo positivo solo ad alcune “condizioni”,
che qui richiamo brevemente e senza alcuna pretesa di completezza.
1. È necessario e urgente, anzitutto, riconoscere
quanto la religione faccia intrinsecamente parte delle
viscere più profonde della civiltà europea. Dimenticarlo o
negarlo significa costruire il “futuro dell’Europa” su basi
fragili e insicure e, in qualche modo, votare il Continente europeo
alla sua dissoluzione. Parlando di religione in Europa, si deve sì
far riferimento alle molteplici radici culturali e
religiose che hanno segnato la vicenda storica di questo
Continente. Ma non si può ignorare che tutte queste ispirazioni hanno
storicamente trovato nella tradizione giudeo-cristiana
una forza capace di armonizzarle, di consolidarle e di promuoverle.
Né si può dubitare che il cristianesimo abbia impregnato,
anche se laicizzandosi, le forme di vita e i valori europei. Tutto
ciò va riconosciuto e riscoperto con fedeltà creativa, certi che il
riferimento al cristianesimo non costituisce una sorta di substrato
archeologico per la civiltà europea, ma ha a che fare con l’attualità
della vita degli europei.
2. Nello stesso tempo, parlando di cristianesimo,
emerge quanto mai pressante e indilazionabile la “sfida” dell’unità
tra le grandi tradizioni cristiane: cattolica, ortodossa,
anglicana e protestante. Non è più possibile che le Chiese cristiane
coabitino nell’indifferenza o, peggio, nella concorrenza tra di
loro. La loro responsabilità è di dare vita, con sempre maggiore
determinazione e coraggio, ad una vera e propria testimonianza comune.
È, questa dell’ecumenismo, una “sfida”, anzi un “dovere”,
che esige dalle Chiese e dalle Comunità ecclesiali in Europa un
sovrappiù di impegno e di coraggio. Se l’Europa è stata la culla
della divisione tra i cristiani, i cristiani in Europa devono sentirsi
impegnati più di chiunque altro a cercare le vie più adatte per
giungere quanto prima al superamento delle divisioni. Fino a quando
ciò non accade, come può il cristianesimo essere, in tutta la sua
potenzialità, un reale fattore di unità e di pace e concorrere così
all’edificazione di un’Europa a servizio della pace sulla terra?
3. Una terza condizione perché il compito delle
religioni per il “futuro dell’Europa” si possa realizzare è di
adoperarsi con tutte le energie per dare vita ad una vera “coabitazione”
pacifica tra tutte le identità e le confessioni religiose, nella
quale si sappia coniugare adeguatamente la dimensione della “identità”,
con i suoi aspetti di stabilità, con quella della “evoluzione”.
Le identità stesse, per altro, sono sempre realtà in evoluzione, che
meglio si precisano e, in qualche modo, si arricchiscono nel confronto
e nel dialogo con le altre tradizioni. In questa prospettiva,
soprattutto oggi, vivere – anzi, convivere nel segno del rispetto,
dell’accoglienza reciproca, della stima e dell’amicizia – con il
“religiosamente altro” fa parte – deve far parte! – del codice
di comportamento delle comunità religiose che abitano il Continente
europeo. Il dialogo interreligioso non è solo un “imperativo
etico”, ma è quasi un insopprimibile “bisogno” starei per dire
fisiologico, se non si vuole che la compresenza di diverse identità
religiose si trasformi in fattore di conflitto e di instabilità. E,
per essere vero, questo dialogo non deve nascondere o minimizzare le
differenze. Deve, piuttosto, riconoscerle con onestà, spronandoci
tutti a rispettarci e ad amarci a vicenda anche in ciò che, a causa
della nostra intima convinzione religiosa, ci distingue gli uni dagli
altri.
4. Ancora: in un’Europa nella quale la presenza
ebraica costituisce una componente decisiva e storica della
cultura, occorre vedere l’ebraismo europeo come una realtà viva che
tutti ci interpella. In questo ambito, è necessario che la memoria
della “Shoà” – che ha rappresentato il punto più basso
della storia di questo Continente – ci veda tutti responsabilmente
coinvolti e ridesti le nostre coscienze, impegnandole ad eliminare
ogni conflitto e ogni causa che sta alla radice dei conflitti stessi.
Questo è ancora più importante e indilazionabile in un momento nel
quale assistiamo con preoccupazione al riemergere dell’antisemitismo
in forme nuove e in nuovi contesti e quando vanno manifestandosi nuove
forme di ostilità generalizzata verso gli stranieri.
5. C’è, poi, la necessità di superare ogni
apatia, disimpegno, parzialità o, addirittura, settarismo nel rapporto
con i musulmani. Certo, per l’Islam, l’Europa è ancora una
periferia. Ma il nostro Continente può rappresentare, per l’Islam
stesso, un terreno di contatto significativo con i valori della nostra
civiltà, con la laicità, con la democrazia. Molto dipenderà dal
futuro dell’Islam in Europa. È, questa, una “sfida” che non ci
deve lasciare passivi o, peggio ancora, in un atteggiamento di paura o
di pessimismo. Molto dipenderà anche da tutti noi e, in particolare,
dal rapporto che si verrà sviluppando, in Europa, tra
cristiani e musulmani. È un rapporto – ricordava papa Benedetto
XVI a Colonia, lo scorso 20 agosto – da vivere nel segno di un vero
e proprio dialogo interreligioso e interculturale, che «non può
ridursi ad una scelta stagionale», ma che si presenta come «una
necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro» (Ai
rappresentanti di alcune comunità musulmane, Colonia, 20 agosto
2005, in «L’Osservatore Romano», 22-23 agosto 2005, p. 5). E, in
questo rapporto, può rivelarsi particolarmente importante la
questione dell’educazione dei giovani, una educazione da
realizzare nel segno della collaborazione, così da far fronte,
con ottimismo e speranza, alle numerose sfide che il nostro tempo ci
propone.
6. Un’altra “condizione” ancora vorrei
ricordare. È quella dell’azione comune di tutte le religioni
per contrastare e superare la dilagante barbarie del terrorismo,
che – qualunque ne sia la matrice – è sempre una scelta perversa,
vile e crudele, indegna di ogni essere umano. È, questo, un impegno
che non può conoscere indecisioni e non può accettare fiacchezze di
nessun genere. È un impegno che esige da ogni credente di estirpare
dai cuori qualsiasi sentimento di rancore, di non lasciare spazio a
nessuna forma di intolleranza, di opporsi ad ogni violenza, di
adoperarsi per sradicare dalla convivenza tutte le cause che possono
favorire l’affermarsi di questa deriva del terrore. È un impegno,
infine, che deve contare sulla forza disarmata e disarmante della
preghiera.
Tutti uniti al servizio dell’uomo
Concludo rilevando che a tutti noi credenti –
qualunque sia la nostra religione – è affidato un compito
importante e irrinunciabile: quello di non arrenderci di
fronte alle difficoltà e all’ineluttabilità di situazioni che
possono sembrare senza via di uscita.
Il “futuro dell’Europa” dipende in gran parte
anche da noi. Per noi tutti c’è un grande spazio di azione in cui
essere uniti al servizio degli europei di oggi e di domani. È lo
spazio di una fattiva, concreta, coraggiosa e fiduciosa collaborazione
per la difesa e la promozione della dignità della persona e di tutti
quei diritti che da essa scaturiscono, a iniziare dal diritto alla
vita.
È proprio la difesa e la promozione della dignità
della persona umana e dei suoi diritti, come di tutti i fondamentali
valori morali e spirituali che vi sono connessi, a costituire il primo
e più immediato ambito di azione che ci può e ci deve vedere
impegnati, allo scopo di dare all’Europa il volto “nuovo” di
una casa “accogliente” per tutti e “spalancata” sugli
orizzonti dell’intera umanità.
È il nostro stesso essere “credenti” ad
esigerlo! Ed è questa una condizione fondamentale perché il “futuro
dell’Europa” sia all’insegna di un autentico “umanesimo di
pace”.
+ Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano