L'attacco a Londra impone all'Europa
di guardare in faccia la realtà
Giuliano Ferrara, su "Il Foglio" dell'8 luglio 2005

Il Foglio pubblica in prima pagina l'editoriale "Il terrorismo è la tecnica, ma sono feroci combattenti della guerra islamista".

Quella parola, islam, nessuno vuole pronunciarla, nemmeno Tony Blair che attaccando il “terrorismo” assicura: “La maggioranza dei musulmani è gente per bene”. Il che è un’ovvietà, ma anche una rimozione, forse comprensibile in bocca a un primo ministro che ospita una immensa e pesante comunità islamica, capace di eleggergli contro il deputato George Galloway e di turbare la City. Tuttavia le rimozioni non funzionano nemmeno per curare la psiche, figuriamoci per difendere il corpaccio nuovamente sfigurato dell’occidente colpito in una delle sue grandi capitali politiche e culturali.

Il G8 aveva cancellato la guerra islamista contro ebrei e crociati dall’agenda dei lavori, i combattenti islamisti hanno cancellato il G8 con le stragi di King’s Cross e con la nuova, spaventosa modalità operativa del tuffo suicida tra i civili che viaggiano in metropolitana o nel bus. Non è l’Ira, non sono i baschi dell’Eta, non è nazionalismo, separatismo o unionismo né la coda di cometa della lotta di classe comunista come per la Raf tedesca o le Bierre italiane.

È l’islam politico e radicale che ha di nuovo battuto il suo tamburo, e il suo retroterra va dai salafiti d’oriente al Waziristan di bin Laden, dall’Iran di Mahmoud Ahmadinejad, neopresidente della Repubblica pre-nucleare dei mullah fino ai segreti e alle ambigue sottigliezze del regno saudita. Ma la sua avanguardia è tra noi, è un islam guerriero che conosce la nostra democrazia e la abita sapendo usarla e abusarla senza complessi, e che lavora alacremente per conquistare il suo spazio politico, culturale e militare.

Nominare le cose con il loro nome è quel segno di forza mentale che vale quanto i concerti per l’Africa, la campagna contro la povertà, le trame diplomatiche e perfino l’intelligence e la mobilitazione di guerra messe insieme.

Sembra che ora ci provi il Vaticano, che con Benedetto XVI ha usato ieri per la prima volta una parola desueta ma significativa (“attentati antiumani e anticristiani”) (1) e con il suo Segretario di Stato ha invocato “la fine dello scontro tra civiltà”, il che significa riconoscere che quello scontro è cominciato.

Un’efficiente operazione bellica ha riportato la sua logica mortale in un’Europa presa da Kyoto, dalle nozze gay, dal benessere tedesco, dalle Olimpiadi, dalle chiacchiere italiane sulla liceità delle extraordinary renditions e di altre attività dell’intelligence. Conosciamo a memoria la cantilena multiculturale, che ha perfino le sue ragioni perché del nostro modo di vita fanno parte l’accoglienza, la mescolanza. Ma se vogliamo salvarlo non è con la musica afro style che ce la faremo, dobbiamo cominciare a battere il nostro tamburo, a considerarci una umma [la comunità per i musulmani ndR], la comunità occidentale.
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(1) In realtà non parla di "attentati anticristiani" la dichiarazione del  Papa che compare nel telegramma, inviato a firma del Card Sodano all’arcivescovo di Westminster cardinale Cormac Murphy-O’Connor, il cui testo è il seguente: ... " Mentre deplora questi atti barbari contro l’umanità [il Papa] chiede di porgere alle famiglie di coloro che sono stati colpiti la sua spirituale vicinanza in questo momento di dolore. Sul popolo della Gran Bretagna invoca la consolazione che solo Dio può donare in queste circostanze [ndR]
 

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