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Il card. Scola: "La candidatura della Turchia
all'UE svela la debolezza strutturale dell'Unione"
“La candidatura della Turchia all’Unione Europea, per la sua particolare
difficoltà, dovuta soprattutto all’elevato numero di abitanti e alla sua
singolare configurazione storico-culturale legata all’Islam, sta svelando la
debolezza strutturale in cui versa l’Unione Europea e impone un esame
articolato di ‘quale’ Europa si voglia costruire”. Lo ha detto il card. Angelo
Scola, patriarca di Venezia, intervenendo, stamattina, al convegno “Quale
Europa? Il caso Turchia”, promosso dal Meic di Venezia, oggi e domani nella
città lagunare. “Nella storia europea le vicende religiose – ha ricordato il
patriarca - e le vicende socio-politiche si presentano così strettamente
intrecciate da essere di fatto inseparabili”; ma oggi sembra prevalere l’idea
che “quand’anche le convinzioni morali e le evidenze elementari avessero un
legame con la religiosità della persona, il confronto pubblico di cui si nutre
la democrazia deve assolutamente prescindere dalla radice religiosa”. Per il
card. Scola, invece, è “auspicabile affermare la necessità del riconoscimento
di una ‘sfera pubblica plurale e religiosamente qualificata’, in cui le
religioni svolgano un ‘ruolo di soggetto pubblico’, ben separato
dall’istituzione statuale e distinto dalla stessa società civile benché
all’interno di essa”.
Da parte del potere politico, ha osservato il patriarca di Venezia, “si
tratta di superare il rapporto di tolleranza passiva nei confronti delle
religioni a vantaggio di un atteggiamento di ‘attiva apertura’, che non riduca
la rilevanza pubblica della religione agli spazi concordatari con lo stato”;
da parte delle religioni “è necessario l’abbandono di autointerpretazioni di
tipo privatistico o fondamentalista per creare il terreno di un interscambio
diretto con le altre religioni e le altre culture; uno spazio di dialogo in
cui le religioni possono giocare il loro ruolo di discorso pubblico sui valori
di civiltà ed esprimere il loro giudizio storico”. In questo senso, “un’Europa
che sappia custodire e promuovere una concezione ed un’esperienza umana come
quella imperniata sul rapporto verità-libertà scaturita nel suo seno a partire
dalla tradizione giudaico-cristiana”, sarà per le nazioni americane “un
imprescindibile interlocutore culturale”, sarà capace “di intrattenere un
rapporto adeguato con le raffinate civiltà asiatiche” e “di assumere i suoi
gravi ed improcrastinabili doveri verso il mondo africano”, in particolare
“dei Paesi del Sud del Sahara”.
Rispetto alla questione dell’integrazione della Turchia nell’Unione
europea, il card. Scola ritiene che si deve tener presente “la posizione sulla
candidatura della Turchia all’Unione” dei cristiani che vivono in quel Paese,
considerando in particolare “la presenza del Patriarcato ecumenico a
Costantinopoli”. Un “secondo criterio orientativo per valutare il caso Turchia
è relativo alla concezione e alla pratica dei diritti umani”. Per il card.
Scola, “non bisogna pensare i diritti umani in astratto, come un puro elenco
di principi. Ed in proposito ci possono aiutare le religioni viste come
soggetto pubblicamente qualificato. L’universalità dei diritti umani potrebbe
trovare maggior efficacia se alimentata dall’universalità delle religioni”. Se
si imposta un “corretto rapporto tra ragione, fede e religione”, l’esperienza
religiosa “può alimentare la promozione e la difesa dei diritti umani”, aiuta
a concepirli “come diritti inalienabili delle persone che si nutrono di
positive appartenenze comunitarie e sono capaci di un’azione ad un tempo
capillare ed universale”. In questo quadro, ha concluso il patriarca, “la
libertà religiosa non può non fungere da criterio guida anche per il caso
Turchia”.
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